In un lungo e commovente articolo, pubblicato sulla rivista Medium, a metà tra il racconto e l’inchiesta giornalistica, Zak Stone racconta la tragica storia della morte di suo padre. Sarebbe probabilmente una storia come tante altre, se non fosse che questa dolorosa vicenda si è svolta all’interno di una casa presa in affitto con Airbnb.
La famiglia di Zak aveva infatti preso in affitto una casa con giardino in Texas, per trascorrervi la festa del Ringraziamento. Il padre di Zak è morto quando il ramo (marcio da anni) a cui era appesa l’altalena su cui era salito ha ceduto di schianto, colpendolo pesantemente sulla testa.
La storia porta con sé, oltre al dolore per la perdita di una persona, molti dubbi su come Airbnb e gli altri big del consumo condiviso stanno gestendo il tema della sicurezza delle persone che usano i loro servizi. Dubbi che non possono che essere amplificati nel momento in cui questi servizi gestiscono più camere di diverse catene alberghiere messe insieme, e la loro valutazioni superano svariati miliardi di dollari.
Un problema condiviso
Fino a oggi, le imprese della Silicon Valley impegnate nel lancio dei vari servizi legati al consumo condiviso hanno affrontato il tema della sicurezza con un approccio basato più sulla reazione agli eventi che man mano si presentavano, che con una previsione di che cosa può andare storto.
In questo contesto le reazioni delle catene alberghiere e delle strutture tradizionali, ovviamente minacciate dall’emergere di una forma di concorrenza formidabile, hanno un forte sapore di lobby che cerca di difendere i propri interessi, ma sono anche motivate da una logica di fondo tutto sommato corretta. Gli alberghi tradizionali hanno tutta una serie di regolamenti e vincoli di sicurezza da rispettare, dalle normative antincendio a quelle sui sistemi di riscaldamento, dalla sicurezza degli impianti elettrici a quella degli ascensori, e così via.
Anche questi elementi contribuiscono al costo del soggiorno, ed è probabilmente corretto che anch’essi siano messi in conto. Non per niente sembra che negli ultimi mesi, nonostante i suoi tentativi, Airbnb stia avendo più difficoltà nell’entrare nel lucrativo mercato dei viaggi d’affari rispetto a quello dei viaggi leisure: oltre alle differenti necessità dei business traveler (ad esempio una connessione wi-fi affidabile), il tema della sicurezza degli alloggi è tra quelli che spingono le aziende a non affidarsi sempre alle piattaforme condivise.
Si è fatto abbastanza?
Airbnb ha messo a disposizione dei suoi utenti alcuni meccanismi per migliorare la sicurezza, tra cui in primis le recensioni degli utenti, che consentono di eliminare rapidamente le offerte mediocri dal listino. Ma l’approccio generale è simile a quello di molte altre start-up americane, che consiste prima nel creare il servizio, e solo poi nel correggere gli eventuali errori, scusandosi sulla stampa e sul web.
E’ il caso avvenuto ad esempio nel 2011, con una donna di San Francisco che si è vista svaligiare e devastare la casa da un inquilino disonesto. Da quel momento l’assicurazione contro i danni alle abitazioni è passata da 50.000 a un milione di dollari, ed è stato assunto personale di contatto che sia disponibile per i reclami 24 ore su 24.
Ma quando sono affiorati problemi con la sicurezza personale degli ospiti (un americano è stato ad esempio morso da un cane in Argentina), il comportamento di Airbnb è stato simile: prima negare, poi affrontare il problema e aiutare la vittima. (Tutti questi esempi, ovviamente, hanno risalto perché riguardano Airbnb, che è la piattaforma di gran lunga più nota e usata, e non perché essa sia più superficiale di altre in questo ambito).
Ancora adesso non esistono regole standard condivise in tema di sicurezza: né Airbnb né altri operatori adottano procedure di verifica basate ad esempio su visite di controllo alle strutture, come fanno molte associazioni di gestori di bed & breakfast negli USA e in giro per il mondo. Questo perché ovviamente questo ridurrebbe il numero di alloggi messi in offerta, a causa sia della procedura più lenta e complicata, sia del rischio di doverne scartare qualcuno. Senza contare i maggiori costi per Airbnb, che dovrebbe assumere e formare gli ispettori. E senza contare un effetto ancora peggiore: che la responsabilità di eventuali problemi ricadrebbe, almeno in parte, anche su Airbnb e le altre aziende della sharing economy, che vogliono invece rimanere una mera piattaforma di scambio.
Questo però contrasta con un servizio offerto dalla piattaforma a tutti i proprietari: un fotografo professionista che scatti foto di qualità alle strutture, per non lasciare questo compito, fondamentale per il marketing e la vendita online degli alloggi, all’improvvisazione dei proprietari. Ma se Airbnb può offrire un fotografo professionista, perché non può farlo anche per un audit di sicurezza?
Airbnb ha già avuto in passato scontri legali con le amministrazioni di alcune città, come ad esempio New York. Nella Grande Mela c’è una lunga storia (che non c’entra nulla con la sharing economy, ma viene da molto più lontano nel tempo) di hotel illegali che non rispettano le norme di sicurezza, mettendo così in pericolo la vita degli ospiti: per questo esiste una legge che impone di non affittare una casa per meno di 30 giorni se il proprietario non è presente al suo interno. In altre parole: un conto è il proprietario che ospita qualcuno a pagamento per qualche giorno nella casa in cui vive, ben altro è trasformare la propria seconda o terza casa in un simil-albergo, ubicato però in un condominio (che ha standard di sicurezza minimi inferiori a quelli degli hotel veri e propri).
Se qualcuno si comportasse in questo modo, palesemente illegale, sarebbe colpa di Airbnb o della piattaforma di condivisione su cui l’offerta viene pubblicata? Sicuramente la responsabilità principale è di chi, per lucro o anche solo per colpa, non cura gli aspetti di sicurezza della propria struttura. Ad esempio, nel caso di Zak Stone e suo padre, la famiglia che li ospitava probabilmente non aveva neppure ben chiaro che la sua altalena poteva trasformarsi in uno strumento di morte.
Tuttavia ogni volta che capita un caso come questo, la fiducia di tutti gli utenti della sharing economy riceve un colpo, per piccolo che sia.