I vostri collaboratori sono felici di lavorare con voi?

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L’articolo di Alberto Maltese pubblicato qualche settimana fa su Rental Blog tocca un tema attuale e delicato per i noleggiatori. Riprendo anch’io le considerazioni del manager HR di Mollo Noleggio perché gli aspetti evidenziati meritano di diventare una riflessione comune nel settore, indipendentemente dalle dimensioni della singola azienda.

Nessuno deve sentirsi tagliato fuori solo perché non possiede una funzione HR interna o esterna: esistono soluzioni al problema alla portata di tutte le organizzazioni, anche le più piccole.

L’argomento quindi tocca tutti: l’attuale mercato del lavoro è, infatti, sempre più competitivo, le aziende sono alla costante ricerca di competenze specifiche e le opportunità di impiego sono accessibili in maniera semplice.

il rischio di non intercettare o, peggio, di perdere importanti elementi tra le risorse umane è più alto rispetto al passato e, probabilmente, nella vostra azienda sta già accadendo. Dati alla mano (fonte: European Rental Association), il settore del noleggio professionale è sopra la media per il tasso di turnover dei dipendenti; i cambi di posizioni lavorative verso un concorrente sono frequenti e spesso basati sull’aspetto economico.

Il fatto che il noleggio non sia ancora un settore attrattivo e che richieda pratiche specifiche rende l’ambiente più chiuso, aumentando i rischi della volatilità e del turnover all’interno del sistema stesso.

alessandro cavalleri texer

Alessandro Cavalleri, CEO di Texer

I costi del turnover

Le problematiche che ne derivano sono molteplici, sia a livello economico che umano. Molte persone tendono a cercare un nuovo posto proprio dopo che un collega ha lasciato l’azienda. In media, il costo di ramp-up di un nuovo assunto è di 4 mesi di stipendio, tempo necessario perché riesca a svolgere le mansioni in maniera corretta.

A questi si sommano i costi del recruitment, stimati nel 15 per cento della RAL della nuova risorsa, a cui si devono includere gli investimenti per la formazione e l’onboarding. Se poi aggiungiamo la probabilità non remota che un cliente sia più legato alla persona che all’azienda, il rischio di perdere anche il cliente a favore di un concorrente è concreto.

In poche parole, perdere un dipendente, al di là del valore umano e professionale, è uno spreco di risorse a livello economico. Quindi, come evitiamo che un collaboratore ci lasci?

Le motivazioni che portano a un cambio professionale sono spesso banalmente legate allo stipendio o in generale ai benefici economici. Dunque, basta alzare gli stipendi?

Non esattamente, perché il rischio è di non motivare comunque il collaboratore ma piuttosto di attivare un circolo vizioso per cui ogni risorsa bussi alla porta del CEO per chiedere un aumento, mentre nel frattempo sta inviando curricula ai competitor per ogni nuova posizione aperta.

Occorre investire seriamente nelle risorse umane.

Creare senso di appartenenza

Un’azienda deve quindi puntare su altro, sugli aspetti motivazionali più intrinsechi e sui valori di riconoscimento. Sono queste cose a trattenere le persone al di là dell’aspetto economico. A livello HR, il cappello che racchiude tutte le attività volte a migliorare l’ambiente lavorativo, per trattenere e attrarre talenti, si chiama employer branding.

Ci sono molti aspetti che contribuiscono a costruire un “brand” nel mondo del lavoro, e su ognuno si potrebbero scrivere pagine. Alcuni esempi sono:

  • Migliorare la relazione tra manager e personale operativo.
  • Relazioni trasparenti tra colleghi.
  • Creare un ambiente oggettivamente meritocratico.
  • Essere in grado di ascoltare e rispondere alle esigenze del dipendente.
  • Definire percorsi di carriera chiari e strutturati.
  • Garantire bonus e premi basati sulle reali performance.
  • Offrire benefit non strettamente legati all’ambito professionale.

Inviereste voi il curriculum ovunque se foste già felici di entrare ogni mattina in ufficio o nella filiale della vostra attuale azienda? Probabilmente no.

Lascereste un percorso di carriera definito, con aumenti e bonus basati sulle performance e valutate in maniera oggettiva e professionale, per un 10 per cento di RAL in più con tutte le incognite del caso? Probabilmente no.

L’ho provato io stesso come dipendente quando lavoravo in Google, azienda leader per il trattamento delle risorse. I competitor erano spesso alla porta, offrendomi stipendi più alti e posizioni di rilievo, che però puntualmente rifiutavo. Poi ho lasciato Google, ma solo per l’ambizione di aprire la mia startup.

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Come migliorare il clima in azienda

Riassumendo, e riprendendo le riflessioni di Maltese, l’obiettivo per tutte le aziende del settore è quello di creare un ambiente lavorativo sano, che crei valore per le risorse e che venga percepito più elevato rispetto a un’offerta economicamente migliore. Con una giusta strategia non è una missione impossibile, anzi, è più semplice di quello che si possa pensare ed è alla portata di tutti.

Tutto parte dal capire la situazione attuale, da cosa pensano i dipendenti, cosa desiderano, cosa vorrebbero per essere aiutati nella vita lavorativa, e non solo. Per fare il primo passo è già sufficiente un’analisi del clima, un questionario da inviare ai dipendenti dove emergeranno dubbi e insoddisfazioni.

Una volta che si identificano i problemi in maniera chiara è più semplice dare una risposta precisa. Il successo di queste iniziative è però una conseguenza diretta dell’impegno concreto e tangibile da parte della dirigenza nel mettere al centro dell’azienda le persone prima dei risultati, che saranno una logica conseguenza.

Quando si compiono i primi passi, tutti capiscono rapidamente che questi intenti non sono più parole vuote. Dalla mia esperienza i primi risultati sulla “felicità lavorativa” si vedono già dopo i primi mesi; per mantenerli nel tempo è fondamentale continuare con una strategia di employer branding sul medio-lungo periodo.

Sarà cruciale monitorare l’efficacia delle nuove politiche, come agiscono sulla soddisfazione dei dipendenti e, nel caso, adattarle al meglio alle esigenze in evoluzione. È un lavoro continuo e impegnativo, ma le soddisfazioni e i ritorni economici sono enormi.

Per chi mette in atto questo approccio, vedere un dipendente che prima era insoddisfatto lavorare motivato e felice, grazie alle azioni di un dirigente o un CEO, è il massimo che si possa desiderare. Lo sto vivendo ogni giorno in Texer, la startup che ho fondato e che si occupa proprio di questo: aiutare le aziende a ricreare un ambiente lavorativo sano, dando la giusta importanza all’aspetto professionale e ai risultati.

Senza però tralasciare l’aspetto più umano, quello che agisce sulle motivazioni intrinseche, che sono sempre più forti rispetto a un mero interesse economico.

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