Guardare avanti con curiosità e coraggio

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“La misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario” (Albert Einstein)

Lungo il percorso tematico iniziato da alcuni mesi qui sulle pagine di Rental Blog, seguendo le tracce dei bisogni emotivi di sicurezza, appartenenza, stima e autorealizzazione che, per il nostro benessere psicofisico, richiedono e meritano di essere soddisfatti sia nelle nostre vite private che nell’ambito del nostro contesto lavorativo – sul quale ci siamo concentrati in particolar modo – siamo approdati su un terreno affascinante quanto misterioso e spesso fonte di ansie e paure: quello del cambiamento.

Lo abbiamo definito come una strategia intenzionale che mettiamo in atto per modificare uno stato attuale, conosciuto, che viviamo come problematico o non soddisfacente, al fine di raggiungere, creare uno stato nuovo, che immaginiamo diverso e migliore, ma che percepiamo come sconosciuto e solo ipotizzabile.

Mai ci saremmo aspettati di affrontare questo tema in un momento come quello attuale, in cui le parole “crisi”, “cambiamento”, “adattamento” ci risuonano così attuali e tangibili suscitandoci vissuti emotivi di ansia, paura, rabbia, tristezza, ma anche risvegliando un senso di speranza, di voglia di ripartenza, di volontà di tornare in pista o di rimettersi in gioco, personalmente e professionalmente.

In questi giorni più che mai viviamo la parola “crisi” nella sua accezione più negativa: come una situazione di emergenza mondiale, sanitaria ed economica che sta mettendo a serio rischio, sotto ogni punto di vista, i nostri equilibri: da quello psicologico a quello pratico-organizzativo, sconvolgendo le nostre abitudini e le sicurezze acquisite, personali, relazionali, professionali.

L’emergenza Coronavirus, in tal senso, è però solo un esempio di crisi, certo, di enorme portata; ma nella storia, anche solo quella della nostra vita, noi di “crisi” ne abbiamo attraversate e superate tante.

Affrontare una crisi

Una crisi, infatti, si può presentare tutte le volte che una situazione o un evento della vita, sia sul piano personale che professionale, ci colpisce per la prima volta; o quando quelle stesse situazioni che viviamo già da tempo ci suscitano emozioni e  pensieri diversi da quelli del passato. O, ancora, quando le strategie che utilizzavamo per affrontarle si rivelano, da un certo momento, inefficaci.

In questo senso, recuperando l’etimologia greca “Krino”, che significa, discernere, valutare, ecco allora che il concetto di “crisi” assume anche una connotazione potenzialmente positiva, in quanto attiva le nostre più straordinarie capacità di sopravvivenza di esseri umani: la capacità di adattamento e, al contempo, la possibilità di cambiamento.

L’adattamento ha a che fare con la nostra innata capacità di conformarci a particolari condizioni di ambientali e di vita, portando con noi ciò che l’esperienza ci ha insegnato essere buono ed efficace, ma anche con la nostra straordinaria potenzialità di mutare, di trasformare il nostro modo di pensare, di comportarci per conformarci a un contesto in trasformazione, trovando ogni volta la soluzione più giusta per sopravvivere alle condizioni più diverse.

In tutti questi casi, ci è richiesto di fare appello a quella che Darwin ha definito una delle più straordinarie capacità di sopravvivenza dell’essere umano: la possibilità di essere flessibili e aperti al cambiamento, il che significa spesso, sia che ci si muova su un piano personale sia professionale, organizzativo-aziendale, dover cambiare schemi, comportamenti, riferimenti conosciuti per svilupparne altri del tutto nuovi.

La ragione delle resistenze

Anche se è il nostro istinto di sopravvivenza a spingerci al cambiamento, cambiare modi di agire, di pensare, di comportarci non è affatto semplice. Chi più, chi meno, ognuno di noi incontra delle resistenze, cioè emozioni, sensazioni e atteggiamenti, non sempre consapevoli, che ci rendono difficile abbandonare o modificare il “vecchio”, magari non più efficace ma sicuro e conosciuto, per il “nuovo” ancora incerto e ignoto.

Cerchiamo allora insieme di capire quali sono queste resistenze e perché esistono, per addentrarci poi al cambiamento vero e proprio e capire come le resistenze alla trasformazione possono influenzare i progetti di cambiamento organizzativo in ambito lavorativo e aziendale.

Per capire perché cambiare non sia per noi affatto semplice, nonostante il nostro istinto di sopravvivenza ci spinga al cambiamento per adattarci a un ambiente e a condizioni in continua trasformazione, basti pensare a cosa accade alla neurofisiologia del nostro cervello quando avviene un cambiamento.

Ogni volta che noi apprendiamo informazioni o contenuti, svolgiamo un compito o facciamo esperienze, il funzionamento del nostro cervello si modifica attraverso la creazione di nuove connessioni sinaptiche (circuiti neuronali), che si consolidano nel tempo, se utilizzate, oppure diventano sempre più labili, nel caso non vengano esercitate. Per questa sua esclusiva caratteristica di modificabilità, il cervello è l’unico organo del corpo a potersi definire “plastico”. La plasticità è ai suoi massimi livelli nei primi anni di vita e poi decresce progressivamente, fino a determinare il suo invecchiamento.

Quando, nella necessità di interpretare, dare un significato a ciò che accade, di fronte allo svolgimento di un compito o alla risoluzione di un problema, il nostro cervello attiva circuiti neuronali già consolidati, risparmia energia, con relativo minore consumo di ossigeno e di zuccheri.

Da questo assioma deriva il fatto che l’origine della difficoltà che tutti noi troviamo di fronte al cambiamento, deriva, prima di tutto, da un fattore di natura neurofisiologica, in quanto ogni nuovo apprendimento richiede una nuova connessione neurale e, ogni nuova connessione creata dal cervello comporta una vera e propria “fatica neuronale”.

In altri termini, ogni cambiamento ha un suo costo a livello di impiego di energia. Tali costi vengono sostenuti tranquillamente da chi possiede risorse energetiche in abbondanza, come ad esempio i bambini oppure gli adulti particolarmente attivi e creativi. Le persone che invece hanno perduto o non hanno sufficientemente sviluppato la necessaria elasticità mentale, diventano nel tempo molto strutturate ed abitudinarie e vivono i “costi” dei cambiamenti come dei veri e propri stress che generano stanchezza, frustrazione e alti livelli di ansia.

Cambiare l’orizzonte dello sguardo

Le difficoltà o resistenze che si sperimentano nel tentativo di intraprendere un qualsiasi cambiamento, oltre a dipendere da un fattore neurofisiologico, dipendono anche da fattori di natura psicologica e cognitiva: nel corso della nostra vita, sulla base delle nostre esperienze, costruiamo dei nostri paradigmi, vale a dire delle costellazioni di concetti, percezioni consuetudini e valori che creano una particolare visione della realtà, una sorta di lenti attraverso le quali osserviamo, interpretiamo, diamo un significato alla realtà, che determinano quindi il “colore” delle nostre emozioni, dei pensieri e, di conseguenza, dei comportamenti. E, per quel famoso sistema di risparmi energetico, tendiamo, senza neppure accorgercene, a selezionare le informazioni nuove trattenendo solo quelle che sono coerenti e che confermano la nostra costellazione di significati, che viene così, nel tempo, rafforzata.

Cambiare significa quindi “modificare le lenti” con cui osserviamo il mondo, noi stessi e gli altri, mettendo in discussione, e talvolta rinunciando, ai nostri schemi, alle nostre letture interpretative, ai significati che abbiamo costruito, alle nostre consuetudini e ai comportamenti consolidati.

Ecco perché, andare oltre il nostro mondo conosciuto, nonostante la speranza di trovare terre migliori, sia in chi ha una personalità più aperta e flessibile, sia in chi ha dei tratti personologici meno elastici, genera sempre un senso di incertezza e insicurezza per il nuovo.

Questo è vero nell’ambito delle nostre vite personali, sentimentali, dove tal volta, per citare il Gattopardo di Giuseppe Tomasi, ci diciamo che “è meglio un male sperimentato, che un bene ignoto”, adattandoci a sopportare condizioni che non ci rendono felici. In ogni ambito, come vedremo nella terza e ultima parte di questa sezione, anche in quello professionale e lavorativo, dove il cambiamento può essere percepito come una minaccia alla propria sicurezza.

Tag dell'articolo: Coronavirus

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