Cambiamento, non ti resisto

“Il cambiamento non è mai doloroso. Solo la resistenza al cambiamento lo è” (Buddha)

Come abbiamo visto negli articoli precedenti, il cambiamento è ciò che Darwin ha definito una delle più straordinarie capacità di sopravvivenza dell’essere umano, che ci consente di adattarci ai continui mutamenti dell’ambiente permettendoci di trovare ogni volta la soluzione più adatta per sopravvivere alle diverse e mutate condizioni.

Eppure, come stiamo sperimentando in questo periodo di crisi per l’emergenza Coronavirus, cambiare abitudini, comportamenti, modi di agire e di pensare, non è affatto semplice.

E questo non solo perché il nostro cervello, se pur flessibile e plastico, funziona secondo un principio di risparmio energetico, tendendo quindi ad attivare i circuiti neuronali consolidati, vale a dire le informazioni già in suo possesso, selezionandole anche secondo un inconsapevole filtro di coerenza cognitiva.

Ma anche perché, da un punto di vista psicologico, cambiare significare modificare “le lenti” con cui osserviamo il mondo, noi stessi e gli altri, quindi mettere in discussione (e talvolta abbandonare) i nostri schemi, i significati e le letture interpretative che abbiamo costruito e consolidato, insieme alle nostre abitudini e ai comportamenti che adottiamo normalmente.

Significa, in altre parole, abbandonare le nostre sicurezze e mettere temporaneamente a rischio anche il nostro bisogno stesso di sicurezza, per costruire e creare nuovi equilibri.

Resistere al cambiamento, una risposta naturale

La resistenza al cambiamento rappresenta, allora, uno dei fenomeni più tipici di fronte alla necessita di un cambiamento organizzativo, sia che questo riguardi le nostre vite personali sia che abbia a che fare, come vedremo, con la nostra vita professionale o aziendale.

giovane donna alla sua postazione di lavoro inserita in un cantiereCambiare le consuete attività lavorative, abbandonare il proprio ruolo all’interno dell’azienda, essere trasferiti in altre funzioni percepite come meno prestigiose, rappresentano già nella norma alcuni timori che si attivano di fronte a un cambiamento che si profila nostro malgrado, anche se quest’ultimo è riconosciuto come effettivamente necessario per la sopravvivenza dell’azienda e, spesso, anche del benessere personale.

Mi diceva Pier Angelo Cantù quando ci siamo confrontati su questo argomento, e concordo con lui, che nell’ambito della metodologia Agile si dice spesso una verità importante rispetto al cambiamento. E cioè che non è vero che noi non siamo preparati al cambiamento, è che non ci piace “essere cambiati”.

Alla luce di queste considerazioni è importante allora analizzare che cosa, in un ambito aziendale, si nasconde dietro le nostre resistenze al cambiamento; resistenze che possono essere individuali (quando percepiamo una minaccia alla nostra identità occupazionale o alle nostre condizioni economiche), ma anche di gruppo. E che, se non analizzate, possono ostacolare progetti di cambiamento e miglioramento organizzativo.

Attuare un cambiamento o restare fermi, qual è il rischio maggiore?

Abbiamo già visto come mettere in atto un cambiamento richieda una sorta di atto di fede: si decide di muoversi verso una direzione ignota con la promessa che questo porterà a un miglioramento, ma non ci sono mai elementi di assoluta certezza. E tutti noi possiamo sentire che basarci solo su un atto di fede, quando in gioco c’è la nostra identità occupazionale e la nostra condizione economica, è molto rischioso. In questa prospettiva è necessario sviluppare una onesta analisi dei rischi e valutare i dati in modo oggettivo, basato su numeri e fatti

Quale sarà il nostro ruolo una volta attuati i cambiamenti?

In conseguenza a una riorganizzazione aziendale o a un cambiamento lavorativo, possiamo sentire minacciata la nostra competenza consolidata negli anni, in uno specifico settore; possiamo temere una retrocessione, una riduzione dello stipendio, un aumento del carico di lavoro non corrisposto da un aumento degli incentivi.

O ancora, possiamo avere paura di essere estromessi del tutto dal mondo del lavoro, temendo che ciò che sappiamo fare non serva più.

Da parte dell’azienda è importante allora che il modello organizzativo a cui si vuole arrivare venga esplicitato in modo che ciascuno possa trovare il proprio ruolo, magari diverso da quello del passato, ma ugualmente significativo.

Se non si precisano i meccanismi operativi del nuovo modello, c’è il rischio di essere visti come visionari, lontani dalla realtà e che sorgano obiezioni del tipo: “Non si può fare”, mentre occorre sviluppare collaborazione sul come farlo.

È importante anche tenere presente un timore che raramente come individui ammettiamo di avere, quello cioè di non avere le competenze per gestire il nuovo ruolo. All’interno di un progetto di cambiamento e miglioramento, sia aziendale, che personale, è importante portare alla luce questo timore, che rischia di non essere intercettato nel corso di riunioni o colloqui. E’ fondamentale tenerlo presente, predisponendo un tempo adeguato per la formazione o, dove richiesto, per la riconversione professionale.

Sentirsi affaticati e sopraffatti dall’esigenza di cambiamento

Questo ha a che vedere con le abitudini lavorative. Una volta che un certo modo di lavorare è stato metabolizzato, ciò favorisce degli automatismi, un risparmio di energie e l’abbassamento del livello di stress. Ogni cambiamento mette tutto a repentaglio e sentiamo istintivamente di doverci opporre.

È quindi importante che ogni cambiamento venga introdotto con gradualità, in modo da consentire alle persone di metabolizzarne i contenuti e apprezzarne man mano i benefici. Soprattutto in questo periodo di modifiche radicali: spieghiamole bene, comprendiamole altrettanto bene e procediamo per piccoli passi.

L’importanza del gruppo

In ambito aziendale, le resistenze al cambiamento, oltre che dai suddetti fattori individuali, possono essere causati anche da fattori di gruppo.people-working-in-front-of-the-computer

Anche all’interno di un’azienda non suddivisa in team di lavoro ben definiti, le persone possono sentire di far parte di un gruppo e identificarsi con un certo modo di pensare e lavorare. In fondo siamo esseri sociali e tendiamo a identificarci con il lavoro che svolgiamo e nel modo in cui lo facciamo! Questo ci porta a stringere un legame anche affettivo con ciò che facciamo e con le persone che collaborano con noi.

Non è naturale sentirci dire, da un giorno all’altro, che ciò che facciamo non va più bene e che occorre cambiare. È necessaria un po’ di diplomazia e di tatto da pparte degli imprenditori e manager nel porgere la questione, anche per non sollecitare timori che il cambiamento conferisca degli squilibri di potere tra i dipendenti, paura che potrebbe attivare forti resistenze di opposizione e ostruzionismo.

Anche in questo caso, è opportuno rappresentare la situazione in termini analitici, in modo che le persone stesse abbiano gli elementi per trarre le loro conclusioni.

Alcune persone, inoltre, possono in buona fede essere convinte che il cambiamento proposto non possa funzionare. Questo è il gruppo più interessante, perché può dare un contributo determinante se attivamente coinvolto nella fase di progettazione della riorganizzazione. Buona parte di queste convinzioni sono riferite al modo in cui è stato pensato il cambiamento e non all’opportunità del cambiamento stesso. Quindi, coinvolgere queste persone nel definire le modalità da implementare può costituire un primo passo verso il successo e l’acquisizione del consenso da parte del resto dell’organizzazione.

Comportamenti e azioni

Un ultimo dato molto interessante ci arriva dalle ricerche condotte in merito al cambiamento e al miglioramento organizzativo aziendale.

Bartunek (2006)  ha dimostrato che la reazione che le persone hanno nei confronti del cambiamento organizzativo può essere predetta da alcune caratteristiche individuali, tra cui in particolare il locus of control (le modalità con cui un individuo ritiene che gli eventi della sua vita siano prodotti dai suoi comportamenti o azioni – locus of control interno – o da cause esterne, indipendenti dalla sua volontà – locus of control esterno), l’autoefficacia, gli stili di coping e i bisogni motivazionali.

Il locus of control interno e l’autoefficacia sembrano essere correlati con reazioni positive al cambiamento, con una minore percezione di perdita di controllo nelle proprie attività lavorative durante la gestione di importanti processi di cambiamento.

Riguardo agli stili di coping, cioè le modalità con cui fronteggiamo gli eventi, alcune ricerche (Cunningham, 2002) hanno evidenziato che chi presenta uno stile di coping focalizzato sul problema partecipa più attivamente ai processi di cambiamento. Di contro, l’attivazione di meccanismi di difesa, come il diniego, la dissociazione o l’isolamento, determinano comportamenti respingenti il cambiamento organizzativo.

Infine, le teorie motivazionali applicate al cambiamento evidenziano come i lavoratori che presentano bisogni di realizzazione e di crescita tendono a impegnarsi e ad attivarsi concretamente nel processo di cambiamento (Miller, Johnson, Grau, 1994) esprimendo reazioni affettive positive nel lavoro durante le fasi di trasformazione.

Cambiare è necessario

Tutto questo ci porta a concludere che cambiare è necessario, proprio come modificare la taglia dei nostri abiti e delle nostre calzature, adattandoli alla forma del nostro corpo, entro il quale rimaniamo pur sempre noi, ma che si trasforma nel tempo. Eppure, non sempre è facile e richiede molte risorse personali.

La prima risorsa utile è vivere il cambiamento in modo attivo e consapevole.

Proprio perché ha a che fare con una ridefinizione dei nostri schemi, dei nostri paradigmi consolidati che ci sono senz’altro stati utili in passato, ma che possono non rivelarsi più tali nel presente o nel futuro, il cambiamento non può essere assecondato acriticamente, ma ha bisogno di essere reinterpretato e assimilato in modo congruo con le nostre strutture mentali, al fine di evitare il pericolo di un rigetto.

Se ragioniamo o qualcuno ci aiuta a ragionare sui motivi e sui vantaggi di un cambiamento, saremo sicuramente più ricettivi nei confronti di ciò che avverrà. Possiamo, ad esempio, iniziare a domandarci (o a domandare a chi ci vuole cambiare) perché dovremmo farlo, quali vantaggi ci potrebbero essere dall’adottare un punto di vista diverso da quello abituale, un comportamento nuovo.

manager_pensierosoAttenzione però a non cadere nell’alibi di chi dice “Io sono fatto così e non posso cambiare”. Questo atteggiamento pone di solito agli interlocutori un aut aut relazionale e il rischio di tale posizione, se protratta alla lunga, è quello di irrigidire la nostra personalità, precludendo in modo svantaggioso il confronto con le persone e le relazioni in generale, oltre che alle nostre possibilità di crescita.

E’ anche un modo per scaricare all’esterno di noi stessi le responsabilità di assumere il cambiamento come inevitabile e positivo.

Altri “pensieri tagliola”, emblematici di un pregiudizio legato alla chiusura nella propria posizione sono:

  • Non credo nella formazione e nel bisogno di aggiornamento
  • Non ho bisogno di qualcuno che mi dica cosa posso fare
  • Non ho bisogno di nessuno che mi insegni queste cose nuove
  • Con la mia esperienza ne so più di chiunque altro
  • Chi sa fare fa, chi non sa fare insegna
  • Una cosa è la teoria, un’altra è la pratica

Per evitare di rimanere tranciati nella tagliola dei pregiudizi sul cambiamento, è consigliabile sviluppare un atteggiamento di massima apertura mentale. Ecco le convinzioni “ad alto guadagno” della persona “Open Minded”:

  • Chi ha esperienza sa che l’esperienza non è mai troppa
  • Ogni occasione è buona per imparare qualcosa di nuovo
  • Intanto vedo di cosa si tratta, poi scelgo cosa fare
  • Bisogna prendere quello che c’è di buono in ogni docente, relatore e coach
  • Nella vita c’è sempre da imparare
  • Sono curioso di vedere di cosa si tratta
  • Perché non farlo?
  • Perché non provare?

In sintesi, come afferma il trainer Skipp Ross, che per oltre cinquant’anni ha insegnato i principi della leadership e dello sviluppo delle risorse personali:

“Cambiare è possibile, basta che decidiate che tipo di persona volete essere!”.

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