Corsa al digitale, l’abbiamo vinta davvero?

corsa al digitale
corsa al digitale

Per aprire questo articolo ho deciso di utilizzare una frase che, nell’ultimo periodo, probabilmente abbiamo sentito ripetere fino alla nausea. Sto parlando del fatto che, con l’avvento della pandemia, in Italia si è assistito a una vera e propria corsa al digitale.

L’essere chiusi dentro casa da un giorno all’altro ha obbligato le aziende, anche quelle del noleggio, a trovare velocemente una soluzione. Lo stesso Pier Angelo Cantù si è dovuto rimboccare le maniche per trasferire tutte le docenze del Master in noleggio di Rental Academy dalla presenza in aula a Bologna, alle aule di Zoom…letteralmente dall’oggi al domani.

Quando questo processo è iniziato, ha investito ogni realtà, nessuna esclusa: qualcuno non ha incontrato grosse difficoltà nell’adattarsi alla situazione, altri hanno un po’ arrancato, figli forse di una gestione aziendale ancora basata su ideologie e mentalità un po’ retrò.

Sulla base di queste considerazioni, a distanza di due anni, mi chiedo: cos’ha davvero portato con sé questo sviluppo digitale?

Il supereroe digitale

Smart working, call, eventi digitali, telelavoro, chat, e-commerce…quanti nuovi (e meno nuovi) termini abbiamo cominciato a utilizzare quando ci siamo trovati davanti a un computer, incerti su come gestire il rapporto con colleghi che, fino a qualche giorno prima, avevamo come vicini di scrivania?

E, ammettiamolo, in un primo momento non abbiamo saputo reggere bene il colpo. Ci siamo spaventati e ci siamo sentiti un po’ spaesati, inconsapevoli che ben presto quella sarebbe diventata la nostra quotidianità.

Tuttavia, una volta compreso che non si sarebbe trattato solo di qualcosa di temporaneo, abbiamo iniziato a esplorare questa nuova modalità di lavoro. Un po’ timidamente, ci siamo guardati intorno, alla ricerca anche di uno strumento che ci permettesse di portare un po’ di “ordinarietà” all’interno del nostro nuovo lavoro digitale.

Per esempio, la nostra agenda cartacea si è trasformata in un Calendar. Le nostre to do list sono diventate delle dashboard condivise con i nostri colleghi. I nostri archivi hanno assunto la forma di un Google Drive.

Ci siamo impegnati per far sì che questo cambiamento non sembrasse poi così drastico, anche se sapevamo che in fondo in fondo lo sarebbe stato davvero.

E così ci siamo appassionati. Abbiamo fatto talmente tanto nostra questa nuova digitalizzazione, che ci siamo fatti prendere dall’entusiasmo.

Il digitale ci sembrava una gran figata. Poter lavorare in pigiama? Un sogno! Poter tenere la webcam spenta fingendo un guasto tecnico per non doversi interfacciare con qualcuno di scomodo? Un lusso! Avere più tempo per se stessi? Un miracolo!

Che bello questo digitale che ci fa fare un po’ come ci pare“.

Sì, ci fa fare un po’ come ci pare…ma ci fa anche perdere il senso delle cose.

La vera natura delle cose

Un paio di mesi fa stavo discutendo con mia cugina, Project Manager per un’importante azienda di e-learning, sulle nuove disposizioni imposte dal governo relative a un “liberi tutti” generale di lì a pochi giorni.

La sua azienda, sostanzialmente dall’inizio della pandemia, ha trasferito tutti i 300 dipendenti in smart working. Nel caso di riunioni importanti, le figure responsabili avevano la possibilità di trascorrere una giornata in sede, sempre rispettosi delle varie norme anti-Covid suggerite dalle istituzioni.

Nel momento in cui si è iniziato anche solo ad accennare a un ritorno in sede per svolgere la propria attività lavorativa, è successo il finimondo. Alcune persone hanno chiesto se fosse davvero necessario. Altre hanno ridotto la propria disponibilità per alcuni giorni perché avevano preso appuntamento con l’estetista, il parrucchiere, il Personal Trainer…

Quando mi ha raccontato questo aspetto, mi sono chiesta: “Non sarà che hanno paura di tornare in ufficio con così tanti collaboratori?“. Ma poi mi sono anche risposta che se avessero davvero avuto paura del Covid (e questo non implica che qualcuno si sia sentito davvero in allarme), probabilmente non avrebbero nemmeno prenotato i propri improrogabili impegni che ora li costringevano, ahimé, a non potersi recare sul proprio luogo di lavoro.

Ragionando a fondo su questa considerazione, ho maturato un’opinione più concreta su questi fatti: la digitalizzazione tanto acclamata, aveva fallito miseramente il proprio obiettivo.

digital smart workingGli investimenti in nuove postazioni di lavoro, in strumenti digitali all’altezza delle necessità aziendali, in e-commerce o portali che permettessero a dipendenti e clienti di proseguire “come se niente fosse” erano passati completamente in secondo luogo, a favore di una giornata lavorativa più fluida durante la quale, ammettiamolo, probabilmente ci siamo spesso fatti gli affaracci nostri.

Naturalmente, ci sono state diverse aziende che hanno saputo cavalcare l’onda del digitale. Si sono rinnovate e hanno saputo rimanere a galla, lanciando servizi e modalità di lavoro che non hanno minimamente influito sull’attività lavorativa nel suo complesso, se non in meglio.

E questo è successo prevalentemente nelle aziende che già avevano iniziato ad approcciarsi al digitale, indipendentemente dall’avvento della pandemia. Le realtà di dimensioni più piccole e, oserei dire, anche più territoriali non sono riuscite ad abbracciare completamente questo cambiamento.

E la colpa, lasciatemelo dire, non è solo delle persone che si sono sedute sugli allori convinte di poter fare i propri comodi. La responsabilità di questo fallimento è anche delle stesse aziende che, mosse da un mix di entusiasmo e paura, non sono riuscite ad abbracciare completamente l’avvento così repentino del digitale (che, per la cronaca, esisteva anche molto prima della pandemia, ma tant’è…).

Un cerotto per risolvere ogni problema

Avete presente quella pubblicità iper commerciale che, qualche anno fa, si proponeva di vendere uno scotch ultra resistente e impermeabile? Ricordo che l’immagine più evocativa di quello spot era di un tizio che piazzava un bel pezzo di scotch nero sul foro di una gigante marmitta di acqua in plastica…e magicamente l’acqua smetteva di fuoriuscire.

Quanti di voi ci hanno veramente creduto? Io, personalmente, sono sempre stata dell’idea che mettere un cerotto sulla bua non aiuta a farla passare.

Ed è così anche per il digitale. Per cercare di recuperare il terreno perso e tornare in prima linea in questa transizione, molte aziende hanno messo un cerotto sulle proprie ferite.

Ed ecco allora che, dopo aver già predisposto gli strumenti attraverso cui veicolare la propria comunicazione digitale…hanno iniziato a ragionare su quali contenuti potessero essere effettivamente condivisi.

Non vi suona un po’ strano? Quando mai si è scelto prima lo strumento e poi il contenuto?  Ora capisco perché noi esperti di marketing abbiamo accumulato un capello bianco dopo l’altro negli ultimi due anni…

Il problema però è un altro. Per cercare di recuperare il tempo perso, la maggior parte ha puntato su una comunicazione totalmente commerciale. Sono impazzati gli sconti, mossi da una logica di base comune: “in questo momento ci sono difficoltà economiche in Italia, se facciamo degli sconti troviamo un compromesso ottimale“.

Ma davvero? Io credo che, in un periodo nero come quello che abbiamo vissuto, l’importante non sia stato lo sconto di uno piuttosto che dell’altro. A fare la differenza sono stati due elementi interconnessi, che in realtà fanno parte della comunicazione digitale dai tempi che furono…la vicinanza e l’esperienza.

Se percepisco che una realtà mi è vicina, parla il mio linguaggio, sembra interpretare le mie esigenze e mi regala pure un’esperienza estremamente positiva, per me ha già vinto. Certo, poi do una controllatina anche ai prezzi, ma se la qualità del servizio che mi è stata offerta è di un certo livello…non ci sono dubbi su quella che sarà la mia scelta finale.

La fretta è una cattiva consigliera

Mia madre me lo diceva sempre. Quando correvo di qua e di là come una trottola, quando pensavo di poter fare i miei compiti in tempi record…e pure ora, quando commetto qualche errore sul lavoro.

E sapete una cosa? C’aveva pure ragione.

Viviamo in un mondo che, di per sé, accelera giorno dopo giorno. È vero che dobbiamo rimanere al passo, ma questo non vuol dire inseguire qualsiasi occasione si presenti, qualsiasi cambiamento…e la corsa al digitale ne è un esempio particolarmente azzeccato.

Quando abbracciamo qualcosa di nuovo, soprattutto a livello aziendale, dobbiamo farlo con la testa. Quanti e-commerce o marketplace sono nati e tristemente scomparsi negli anni scorsi? Quanti siti, quanti social, quanti canali sono stati aperti mossi dalla convinzione che fosse la strada giusta, per rendersi poi conto di non avere né il tempo né le risorse (economiche e umane) per gestirli?

Ci sono dei passaggi fondamentali da fare, quando ci si approccia al digitale. Non dimentichiamocelo.

Questo è anche il motivo per cui questo sarà solo il primo di una serie di articoli che andranno ad approfondire questa grande tematica. Le mie considerazioni non saranno certo assolute, dovranno essere rielaborate e adeguate alla vostra realtà aziendale. Ma insieme possiamo costruire un buon punto di partenza. Che ne dite?

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