Di cosa parliamo quando diciamo smart working

Smart Working
Smart Working

Negli ultimi mesi, durante i quali abbiamo potuto spostarci da casa solo per gravi e comprovate necessità a seguito dell’emergenza Covid, molte aziende per evitare la cassa integrazione e soprattutto per continuare a rimanere aperte hanno cominciato ad adottare lo smart working.

Viste le prospettive e le incognite di questi giorni, in cui i contagi non accennano a diminuire ma, anzi, si ripresentano con numeri inquietanti, la riflessione sull’evoluzione del lavoro a distanza merita di essere ripresa nella sostanza.

Come ci siamo trasformati in smart workers

Nell’improvvisa necessità di non poterci recare sul posto di lavoro, nel migliore dei casi ci siamo inventati e adattati a postazioni di lavoro domestiche trasformando le nostre mansioni e le conversazioni quotidiane con i dirigenti, colleghi, fornitori e clienti, in azioni e comunicazioni digitali e riunioni mediate da schermi del pc. Insomma ci siamo inventati un “lavoro agile”, che nel nostro precedente articolo abbiamo definito “emergenziale”.

Sì, perché assomigliava più a un telelavoro attraverso il quale, da postazioni casalinghe improvvisate condivise spesso con figli e partner, abbiamo lavorato controllati dalle nostre aziende, sentendoci sommersi da email e messaggi a tutte le ore, e perdendo il confine tra spazio e tempo personale e lavorativo, sentendoci spesso invasi e sopraffatti.

Eppure, ora che lentamente stiamo tornando a una nuova normalità, sembra che questa esperienza emergenziale una cosa (e forse anche più d’una) ce l’abbia insegnata: sono finiti i giorni in cui lavorare significa necessariamente stare seduti tra le quattro mura di un ufficio, dietro pareti divisorie o impegnati in lunghe trasferte. Possiamo produrre e raggiungere obiettivi anche in modo diverso!

Ci stiamo rendendo conto che l’ambiente di lavoro si può trasformare e che sta cambiando anche il modo in cui possiamo essere efficienti, produttivi e continuare a comunicare.

Insomma, in questo periodo le parole “smart working” e “lavoro agile” sono tra le più chiacchierate, dividendo chi l’ufficio lo rimpiange ed è stato ben felice di tornarci e coloro che invece vorrebbero prolungare questa esperienza, magari con qualche aggiustamento e miglioria.

Come nasce lo smart working

Il modello organizzativo dello smart working, le cui prime pionieristiche applicazioni risalgono agli anni Novanta, nasce proprio per migliorare l’efficacia lavorativa e, al contempo, permettere al lavoratore (dipendente o freelance) di trovare un migliore equilibrio tra la vita professionale e privata, attraverso “un’organizzazione del lavoro flessibile nei tempi e nei luoghi, strutturato per fasi, cicli e obiettivi, concordati tra le parti, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per il suo svolgimento” (Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana ; Legge 22 maggio 2017, n. 81 Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato).

Nei primi anni ’90, infatti, diverse aziende hanno cercato di lavorare smart, rivedendo i processi e le dinamiche organizzative.

L’Olanda è stato il primo paese ad avviare e implementare progetti riconducibili all’attuale concetto di smart working. Purtroppo, l’esperienza di queste aziende ha stentato a decollare. Ma all’epoca non era comune avere un cellulare e, se ci si voleva collegare a internet, si aveva necessariamente bisogno della linea telefonica. Navigare sul web significava anche occupare la linea, impedendo così di essere rintracciabili al telefono. Il Medioevo di internet!

Ora internet ha il suo canale e nella maggior parte delle zone la velocità di connessione è in continuo miglioramento.

Abbiamo smartphone che ci permettono di conquistare il mondo e Google, in pochi istanti, ci dà la possibilità di accedere a un’enorme quantità di conoscenze; possiamo acquisire programmi software sofisticati a costi irrisori e, grazie ai social media, connetterci con esperti di tutto il mondo.

La velocità del cambiamento sembra aumentare sempre di più. L’età dello smart working, quello vero, sta arrivando. Finalmente!

Ma affinché diventi veramente ciò che si propone di essere, cioè un approccio innovativo all’organizzazione del lavoro, caratterizzato da flessibilità, autonomia degli spazi e degli orari, fiducia, responsabilizzazione, collaborazione e ottimizzazione degli strumenti e delle tecnologie (e non semplicemente un telelavoro basato sul controllo e sulle mancanza di limiti di spazi e di tempi) è necessario un cambio di paradigma delle aziende, una trasformazione dei linguaggi, dei comportamenti, dei toni e dei modi in cui si gestiscono le relazioni e si raggiungono gli obiettivi.

In altre parole un cambiamento della cultura organizzativa, che tenga conto dei tre Asset principali del vero smart working, ossia le così dette 3B:

  • Behaviour (comportamenti)
  • Bytes (tecnologie)
  • Bricks (spazi fisici)

Behaviour

 Il vero smart working prevede che si dica addio ai classici orari di ufficio e che ci si affidi agli obiettivi concreti da raggiungere, applicando una nuova metodologia, quella dell’autonomia condivisa, molto ben incarnata dal mindset “agile”.

La regola è “ottenere i risultati previsti nei tempi prefissati, al massimo della qualità” e in un clima gestionale di piena fiducia, pilastro portante su cui si fonda il concetto di smart working.

In concreto si parla di fiducia quando il lavoratore è capace di determinare:

  • che cosa è importante per la propria organizzazione e per il proprio team
  • come è possibile eseguire il lavoro nel modo più efficace
  • con chi è possibile collaborare per ottenere risultati migliori
  • quali sono i mezzi a disposizione per raggiungere gli obiettivi
  • quando è il momento più adatto per svolgere un determinato compito
  • dove è il luogo più adatto e idoneo allo svolgimento delle attività

Perché questo si verifichi è necessario da una parte che il lavoratore smart sia responsabilizzato ed educato alla gestione del tempo, dall’altra che si adotti in modo chiaro uno stile gestionale capace di abbandonare i meccanismi basati sul controllo, caratterizzati da un management incessante, riunioni fisse e utilizzo di ricompense (ad esempio bonus) o punizioni, al fine di minimizzare i rischi e gli errori.

Creare uno stile basato sulla fiducia significa, infatti, far leva sulla motivazione intrinseca del lavoratore, andando a rispondere ai suoi bisogni di Autonomia (necessità di esercitare un controllo sulla propria vita), di Padronanza (bisogno di sentirsi bravo e competente nel fare qualcosa che conta), di Significatività (bisogno di fare qualcosa che appartenga a un progetto più grande di noi) e di Relazione (possibilità di sviluppare relazioni sicure e positive con gli altri nel proprio contesto sociale).

La Teoria dell’Autodeterminazione (Deci e Ryan, 1985) indica che, al soddisfacimento di queste condizioni, siamo più motivati, felici e produttivi. È evidente l’importanza di questa condivisione d’intenti basata sull’essenziale quando si ha a che fare con i bisogni del cliente che si rivolge al noleggio.

Uno stile gestionale basato sulla fiducia e non sul controllo non significa però che il lavoratore sia completamente indipendente e anarchico. Anche se gode di un ampio grado di libertà, lo smart worker può essere inserito in sistemi di valutazione basati sui risultati da raggiungere.

Ciò richiede un approccio basato sulla condivisione, con una visione comune e un dettaglio degli obiettivi. Agire in questo modo e coinvolgere il team consente al lavoratore di avere chiaro il perché di alcuni progetti o attività importanti per l’organizzazione.

Bytes

Il vero smart working si basa sull’uso di appropriati strumenti tecnologici.

Da più o meno vent’anni la comunicazione nel lavoro consiste in quattro elementi: email, fogli di carta, riunioni in ufficio e telefono. Gli ultimi tre elementi esistevano già da tempo e in parte sono stati sostituiti dal primo.

I documenti cartacei sono diventati digitali, ci mettiamo d’accordo via email e gran parte delle telefonate quotidiane non c’è più grazie alla posta digitale.

Ciò nonostante, l’attuale modo di lavorare spesso ci blocca e non ci permette di essere sufficientemente rapidi e agili. Per quanto estremamente più veloci ed efficaci degli appunti cartacei, le conversazioni generate da email creano infatti spesso lungaggini e confusione. C’è sempre il dubbio se rispondere solo al mittente o se considerare anche altri collaboratori o l’intero gruppo di lavoro; la conversazione spesso viene interrotta, duplicata, rivista, integrata; spesso, quando il numero di contenuti è crescente, si è costretti a ripetere le informazioni.

Da qui la nascita di applicazioni più efficaci per gestire progetti di lavoro, come ad esempio Slack.

Per quanto tutti e quattro gli elementi citati continuino a essere importanti e ad avere il loro valore, perché la nostra attività diventi veramente “smart” ci è richiesto un passo successivo nel percorso evolutivo: per rendere più flessibili i nostri processi di lavoro, come dice Google, dobbiamo imparare a lavorare come viviamo (“Work the way you live”).

Proviamo infatti a pensare a cosa accade nelle nostre comunicazioni personali: siamo in grado di rimanere in contatto con i nostri amici e familiari, di essere aggiornati sulle condizioni del traffico, di pianificare un viaggio in ogni momento e in qualsiasi luogo attraverso Whatsapp, Twitter, Facebook, Skype, Google, di stabilire conversazioni private ma anche di rimanere in contatto contemporaneamente con più amici, attraverso la creazione di piccoli o grandi gruppi.

Ecco, per implementare il concetto di smart working dovremmo cercare di strutturare le “best practice” della nostra comunicazione privata e di applicarle al nostro lavoro. Riportare in un contesto professionale le modalità della comunicazione della nostra vita personale vorrebbe dire:

  • ridurre al minimo le informazioni su carta, che sono più complesse da condividere e molto meno accessibili, per favore le informazioni digitali, più facili da creare, condividere e di accesso immediato;
  • lavorare in gruppo, sia in community private che aperte. Ciò renderebbe le comunicazioni e la creazione di appunti e documenti più trasparenti, efficienti e collaborative, rispetto a quelle che avvengono tra due individui. Le community, spazi virtuali condivisi con i colleghi (Slack, Yammer, Facebook, Google Plus, LinkedIn solo per citare alcuni esempi), permettono di avviare conversazioni interattive, attraverso l’inserimento di messaggi e la visualizzazione dei commenti, riportando le informazioni in ordine cronologico, quindi si ha la possibilità di seguire il flusso del discorso anche subentrando in un secondo momento. Tutto questo rende la comunicazione più fluida e immediata;
  • indipendenza/mobilità: significa poter accedere alle informazioni personali e a quelle che i colleghi condividono con noi in qualsiasi luogo. Ciò non implica che tutti dovremmo lavorare nello stesso istante, ma che c’è la possibilità di farlo, in ogni punto e con ogni strumento connesso al web;
  • real time: il nostro lavoro dovrebbe essere organizzato in modo tale che più persone contemporaneamente possano lavorare allo stesso documento o semplicemente visualizzare le modifiche.

Quando questi quattro elementi vengono messi in pratica, si raggiunge un maggior livello di efficienza produttiva nelle attività quotidiane, riducendo il tempo che mediamente dedichiamo per attuarle. Il vero smart working!

Bricks

Già da anni abbiamo assistito al declino del posto fisso tradizionalmente inteso come le quattro mura dell’ufficio, dove ciascuno ha una postazione stabile.

Nel migliore dei casi, nelle aziende sono nate sale conferenze, aree lounge, spazi che riconoscono al lavoratore un ruolo più variabile, flessibile e dinamico, favorendo le relazioni. In altri casi si è assistito alla creazione di open space dove, più per motivazioni di risparmi economici dell’azienda, che di efficienza produttiva e di libertà, i lavoratori si spostano di postazione in postazione. Ma al di là, di queste soluzioni, perché il lavoro diventi davvero “agile” il luogo dove si lavora deve diventare una scelta.

Se è vero che il concetto di smart working dipende fortemente dall’autodeterminazione del lavoratore, allora il professionista deve avere la libertà di organizzare il proprio lavoro e, per questo, scegliere il posto che ritiene migliore per lavorare. E questo può essere la propria abitazione, un ambiente di co-working e, perché no, anche un parco o un bar purché tutti dotati di una buona connessione.

Molte attività possono essere svolte nella propria abitazione, soprattutto se la situazione a casa offre la possibilità di lavorare migliorando l’equilibrio tra vita privata e vita professionale.

Erik Velholden, uno dei fondatori dello smart working in Olanda, sostiene che lavorare a casa non sia soltanto positivo per il lavoratore, ma anche per l’ambiente sociale in cui vive. “La rivoluzione industriale ha creato una separazione innaturale tra la nostra vita privata e quella lavorativa. Ci stiamo spostando verso la rinascita delle piccole e medie città. Se andate da qualche parte, per esempio in ufficio, il viaggio deve valere la pena. Questa è la premessa” (You-Topia: The Impact of the Digital Revolution on Our Work, our Life and our Enviroment; E. Veldhoen).

Gli spazi di co-working, invece, possono essere luoghi di lavoro ideali per programmare appuntamenti e per condividere idee, progetti e trarre ispirazione incontrando gente nuova.

Un esempio di co-working in Italia è Piano C, a Milano: oltre 300 metri quadrati, 20 postazioni, 6 sale riunioni, 4 uffici, area relax, cucina e due zone per bimbi, wi-fi, servizio segreteria. Insomma un ambiente accogliente per lavorare con il proprio pc e confrontarsi con altri freelance o lavoratori presenti. Un progetto creato per fare networking, condividere conoscenze e promuovere la cultura dello smart working.

In conclusione, lo smart working (il vero smart working, e non quello emergenziale che abbiamo saggiato in questi mesi) è possibile e, lungi dal volerci privare di spazi e di tempi personali, ci potrebbe offrire delle grandi opportunità.

Perché questo sia attuabile è necessario però affrontare un cambiamento, una trasformazione dei linguaggi, dei comportamenti, dei toni e dei modi in cui si gestiscono le relazioni e si raggiungono gli obiettivi. È la sfida ad adottare in azienda comportamenti che consentano di incidere sulla cultura organizzativa, generando un nuovo livello di performance.

Cambiare la cultura è una sfida enorme, ma se è vero quanto dice John Kotter, professore di Harvard e uno dei massimi esperti di organizzazione aziendale, che il cambiamento nasce dalla consapevolezza dell’urgenza, ecco allora che le conseguenze sanitarie ed economiche con le quali da mesi stiamo facendo i conti, possono trasformarsi in una faticosa ma avvincente opportunità per avviare un progetto così complesso che, con il tempo, potrebbe restituirci una migliore qualità di vita.

Nel settore del noleggio, il concetto di smart working non è sempre possibile, ad esempio non per chi è coinvolto in attività che prevedono la presenza fisica nel luogo dove si mettono a disposizione macchine e attrezzature e dove si fa la necessaria manutenzione.

In questi casi e per questi soggetti, è possibile però agire sul concetto di autodeterminazione organizzativa e di flessibilità degli orari. Ad esempio, implementando processi di lavoro in modalità “Agile”, cioè in autonomia condivisa.

Contatta Rental Academy se vuoi conoscere e approfondire i benefici dell’organizzazione del noleggio attraverso le regole della Business Agility.

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