Le parole del 2020

Le parole del 2020
Parole 2020

Le parole sono importanti.

Riprendiamo la nota frase di Nanni Moretti-Michele Apicella per trovare quelle che, più di altre, hanno caratterizzato questo incredibile 2020, il significato che hanno avuto per noi e per il nostro lavoro. E magari portarle nel nuovo anno con un significato diverso.

È una riflessione che, per chi si unirà a noi, condivideremo insieme al Rental Business Forum del 15 gennaio. Vi aspettiamo, potete già prenotarvi scrivendo qui.

Io ne ho scelte tre: pandemia, smart working e digitalizzazione.

Pandemia

Ci abbiamo messo un po’ di tempo, ma alla fine ci siamo arresi. L’11 marzo 2020, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che il focolaio internazionale di infezione da nuovo Coronavirus SARS-CoV-2 era da considerarsi pandemia.

Una decisione presa a causa della velocità e della dimensione del contagio; ma anche un ammonimento a tutti i Paesi del mondo per affrontare questa minaccia con un adeguato livello di impegno politico necessario per controllarla.

In Italia, la pandemia ci ha trovati drammaticamente impreparati, senza un piano emergenziale aggiornato.

Il Governo ha reagito inizialmente bene e con coraggio, trascinando con sé una popolazione che ha messo in atto con diligenza le misure decise.

A lungo andare, la classe politica si è però mostrata inadeguata, incapace, confusa, e in molti casi irresponsabile e divisa.

Governanti e opposizione non hanno saputo gestire l’emergenza con spirito di concretezza, programmazione, collaborazione. Nemmeno sono stati capaci di mostrare una chiara visione del futuro post pandemia.

Il linguaggio della politica è tornato via via incomprensibile, schiavo dei sondaggi, delle ansie di potere e delle derive di un populismo che tarda a scomparire.

L’Europa ci ha dato comunque fiducia, accordando al nostro Paese una pioggia di soldi che qualcuno, non si sa ancora chi e come, dovrà gestire per consegnare alle future generazioni un luogo in cui poter sperare di vivere una vita normale.

Su questa gestione, che si spera sarà trasparente e sapiente, fanno affidamento tutti gli imprenditori, anche quelli del noleggio, coinvolti da protagonisti nei processi di sviluppo che si attueranno per creare gli scenari del futuro.

L’uso delle cose sta cambiando radicalmente. Va da sé che il noleggio italiano deve, ora più che mai, farsi trovare pronto compiendo un improcrastinabile salto di qualità imprenditoriale e organizzativo.

Imprenditori e manager dovranno mettere mano al loro futuro coinvolgendo tutti i collaboratori, a ogni livello.

Non si tornerà più indietro. I tentennamenti e le inefficienze del vecchio mondo non saranno perdonati da un mercato che è ormai pronto ad abbandonare la proprietà e le sue catene.

Chi non saprà adeguarsi uscirà di scena.

Non si tratterà più di gestire le sole emergenze, ma di accompagnare la domanda a un utilizzo più moderno, pianificato e consapevole dei mezzi di lavoro.

Insieme alla struttura dell’offerta, anche i media dovranno fare la loro parte, imparando a raccontarlo bene il noleggio. Al di là degli articoli naif e un po’ fini a se stessi che appaiono sporadicamente qua e là per riempire di colore qualche rivista ormai in disarmo.

Se vogliamo portare nel 2021 la parola pandemia come un nemico finalmente sconfitto – anche grazie al miracolo epocale di un vaccino trovato in tempi record – abbiamo il dovere di ricordare l’anno appena trascorso come un’iniezione di consapevolezza personale, culturale e collettiva.

Un cambio radicale di mentalità, anche organizzativa.

Smart Working

Le parole del 2020All’improvviso, tutti abbiamo scoperto che molte cose tradizionalmente fatte in presenza, si riuscivano a fare a distanza con altrettanta efficacia.

Abbiamo imparato a fare azienda online, a usare Zoom e soci e, con sorpresa, lavoriamo da casa senza grosse cadute di produttività e senza troppe problematiche esistenziali.

Certo, abbiamo dovuto organizzare gli spazi domestici, rafforzare le connessioni internet, ma alla fine ce l’abbiamo fatta.

I consuntivi lasciano ben sperare. La maggior parte di imprese e datori di lavoro riconosce che chi ha lavorato da casa ha lavorato bene e con una buona efficienza.

Sono ancora molti però i problemi irrisolti e, anche in questo caso, la differenza la fanno le persone, la consapevolezza di chi si trova a gestire le cose in una modalità che prevede una forte dose di auto motivazione senza il conforto di scambi continuativi, magari al caffè o in pausa pranzo.

E ora? Si tornerà come prima? Oppure si approfitterà dell’esperienza per rendere il lavoro in remoto meglio concepito, regolato, gestito?

Anche in questo caso, gli imprenditori e i manager HR sono chiamati a un ulteriore sforzo di visione, non solo organizzativa.

Quelli del noleggio avranno qualche problema in più da affrontare, data l’impossibilità di lavorare senza ausilio di una presenza fisica, quantomeno nelle fasi di consegna e ritiro dei mezzi.

Gestire i team in remoto sarà la sfida più stimolante.

Fin qui, infatti, si è solo scherzato, interpretando le potenzialità dello smart working con la semplice adozione del telelavoro. Una pratica che necessita ancora di prescrizioni e controlli, seppure a distanza. Quindi senza alcun sostanziale guadagno di efficienza.

Lavorare in smart working significa, invece, rivoluzionare la gestione del tempo, dei luoghi fisici e delle deleghe. Vuol dire esercitare flessibilità (di orari e spazi) in cambio di una maggiore autonomia e responsabilità. Meno procedure e più coinvolgimento.

Un esercito di esecutori e travet si prepara a un salto di qualità operativo e mentale, in cui la proattività e il senso di squadra conteranno più delle procedure e il lavoro non potrà più essere fatto per compartimenti stagni.

Ci saranno i workplace digitali, tool rapidi come Slack dove scambiarsi informazioni e documenti. Soprattutto, sarà possibile misurare le performance personali e aziendali nella massima trasparenza.

Se vogliamo portare nel 2021 la parola smart working come un nuovo modo di lavorare per gli anni a venire, dobbiamo ricorrere a una massiccia e adeguata formazione, che porti tutti i collaboratori all’esercizio dell’autonomia condivisa.

Con benefici anche sulla mobilità, sul traffico e sull’inquinamento.

E sulla soddisfazione dei collaboratori, con ricadute positive sulla loro fidelizzazione e sul conto economico delle aziende per cui lavorano.

Digitalizzazione

Le parole del 2020È questa la parola che, forse più di tutte, è stata chiamata in causa anche a sproposito per interpretare ciò che ci aspetta dopo la pandemia.

Qualcuno si era già mosso prima, ma il coronavirus ha dato a tutti quel “calcio nel culo” definitivo che serviva ad aprire finalmente gli occhi e prendere qualche decisione.

Ma cosa significa digitalizzare il lavoro?

È una questione di uomini piuttosto che di tecnologia o algoritmi. Le macchine saranno dotate di software sempre più evoluti per svolgere compiti sempre più precisi in funzione degli obiettivi per cui sono pensate.

Ma questa, da sola, non è digitalizzazione.

Le tecnologie, che peraltro cambiano rapidamente rendendosi obsolete a seguito di ogni nuova implementazione, servono solamente ad aumentare le capacità umane, liberando le persone da lavori a basso valore per i clienti finali.

La digitalizzazione sta creando una nuova forma di lavoro in team, solo che questi team sono composti da uomini, macchine e utenti finali.

Il mondo del noleggio ha fatto fare un salto di qualità alla domanda quando si è trasformato in sharing economy.

Ma anche nel noleggio tradizionale l’avvento delle piattaforme digitali di utilizzo ha smascherato un concetto semplice da comprendere: la tecnologia, anche quella migliore, da sola non basta.

Serve una community, un ecosistema di valori condivisi e benefici convergenti. Serve una motivazione forte per cambiare il proprio paradigma nell’uso delle cose, e questa motivazione si genera con uno sviluppo continuo basato sulle iterazioni.

Le tecnologie si moltiplicano con una velocità impressionante mentre le persone restano ferme al palo, incatenate da procedure spesso incomprensibili e obsolete o da consuetudini radicate che tardano a modificarsi.

Ecco cosa intendiamo per digital transformation: una rivoluzione culturale e organizzativa più che una ubriacatura di software e applicazioni.

Una volta superate le prime difficoltà, non sapremo più farne a meno.

È ciò che ha fatto funzionare in modo esponenziale Amazon, Uber, Zoom, Netflix… e che farà funzionare anche le nostre soluzioni digitali.

Perché dietro ci saranno persone che, pur interpretando una mentalità diversa, cioè lato offerta e lato domanda, condivideranno la medesima visione e i benefici su larga scala.

Meno attenzione alle burocrazie e più vantaggi derivanti dal valore.

Velocità, funzionalità, gioco di squadra, e perché no, anche divertimento.

Non a caso, molte funzioni aziendali innovative vengono prima sperimentate nell’universo dei “gamer” che, giocando, apportano rapidamente miglioramenti in vista del massimo risultato raggiungibile.

Lo sapete che un nuovo servizio concretamente utile e reale (una piattaforma di noleggio di droni, ad esempio) può essere sviluppato in sole sei settimane di lavoro?

Se vogliamo portare nel 2021 la parola digitalizzazione dobbiamo perciò comprenderne gli effetti sulle persone.

Potremmo trovarci di fronte a immagini ancora inedite. A un modo di usare le cose che abbiamo fin qui solo sognato.

Le aziende di noleggio, proprio per la loro posizione privilegiata di anello di congiunzione tra produzione e utilizzo (vogliamo chiamarlo marketplace?) saranno le prime a trarne beneficio. E alcune prima di altre.

Per questo occorre comprendere bene le parole chiave da applicare rapidamente nel nuovo anno che è appena cominciato, e adottarle senza indugio.

Quali sono le vostre?

Le parole del 2020

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