E se smettessimo di chiamarlo noleggio?

Le parole sono importanti, diceva Nanni Moretti in un suo film.

Le parole possono essere esche, e sono di sicuro leve di persuasione.

Pensate alla guerra in Iraq, scatenata dalla necessità di trovare la famosa “pistola fumante” (smoking gun), ossia le prove certe della presenza di armi di distruzione di massa. Usare un termine chiaro, diretto e anche un po’ violento serviva a dare per certa la colpevolezza del regime di Saddam Hussein (cosa che, peraltro, dopo non si è rivelata vera). Se l’avessero chiamata “verifica delle prove” o “ricerca delle prove” sarebbe stato molto più difficile convincere l’opinione pubblica della necessità di un intervento militare.

Un altro esempio: come chiamare i diamanti creati in laboratorio? I produttori di diamanti tradizionali li chiamano “artificiali” o “sintetici”, o meglio ancora zirconi (che non sono diamanti per niente). Chi li produce invece propone “diamanti senza difetti” o “perfetti”.

Allo stesso modo, alcuni consulenti si fanno chiamare non formatori, ma coach, termine che richiama alla mente squadre (per lo più inglesi o americane) che vincono le loro partite grazie al loro allenamento.

Come chiamare il noleggio

Siamo abituati a chiamare noleggio il servizio che consente di disporre di un bene per un tempo limitato, senza doverlo acquistare definitivamente.

Al di là della difficoltà del termine “noleggiare” (che in italiano indica sia il dare che il prendere a nolo), questo termine ormai ha assunto connotati non solo positivi, di servizio, ma in parte anche negativi: in una società che valuta il possesso come status symbol, l’idea del noleggio richiama anche l’assenza di questo potere, magari l’impossibilità di permettersi la proprietà del bene. Con riferimento alla casa, ad esempio, il sogno è vivere in quella di proprietà, e l’affitto (a parte i casi effettivi di studenti e lavoratori fuori sede) è un ripiego di chi non può permetterselo.

Anche il termine “consumo condiviso”, che raccoglie tutte le tematiche dello sharing (di auto, biciclette, case) ha pregi ma anche difetti. Da un lato, infatti, sottolinea l’elemento del consumo, come godimento del bene. Ma dall’altro il termine “condiviso” da alcuni può essere inteso in senso negativo, come assenza di esclusività: siccome lo devo condividere con altri, e quindi non è del tutto e solo mio, è brutto.

Secondo me, una parte della popolazione ha già cambiato mentalità, e per queste persone la flessibilità e l’efficienza del noleggio e del consumo condiviso sono già valori importanti. Occorre però coinvolgere e convincere chi è ancora ancorato alla mentalità tradizionale. Per questi motivi propongo di cambiare i termini “noleggio” e “consumo condiviso”.

Per il primo si potrebbe usare qualcosa tipo “utilizzo intelligente” o “sfruttamento intelligente”. Il verbo corrispondente, per il cliente di un contratto di utilizzo intelligente, potrebbe essere “sfruttare” o “godere”.

Per il secondo “consumo efficiente” o anche “consumo flessibile”.

Mi rendo conto che in alcuni ambiti (come la fricchettona San Francisco, dove molti di questi servizi sono nati) la condivisione è un elemento importante, anche se un po’ neo-hippy. Ma secondo me qui bisogna convincere della bontà di questo modello la popolazione in generale, non chi già lo pensa. L’obiettivo finale è rendere il consumo efficiente “in” per il Cumènda della Brianza, che oggi ha il SUV e un iPhone 5 che magari non sa neppure usare, perché sono questi i simboli della ricchezza.

Mi si obietterà anche che è difficile cambiare termini così radicati (in particolare noleggio), ma ovviamente non penso che sia un cambiamento che deve avvenire in breve tempo. E poi, viviamo nell’epoca in cui si twitta un messaggio o si googla qualcosa su Internet: anche questi termini fino a qualche anno fa ci sarebbero sembrati strani, e ora sono di moda; non sarebbe quindi possibile almeno provarci?