Le attività di noleggio nel post Coronavirus

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Alla ripresa delle attività, molti noleggiatori si stanno chiedendo come impattano le nuove norme sull’operatività e sulle disposizioni precedenti.

Premesso che i decreti si susseguono ancora, modificando le cose in tempo reale e andando talvolta a sovrapporsi sul normale standard di norme e procedure che il noleggiatore aveva già codificato, è necessario aggiornare le conoscenze per affrontare con consapevolezza questa fase, ma anche il “dopo”, che sarà un tempo infinito, in cui tutelarsi e tutelare sarà l’obiettivo principale.

Questi temi saranno trattati nella 4^ sessione del Master in noleggio 2020, online nei giorni di martedì 12 e mercoledì 13 maggio (9.00-13-00).

Puoi consultare il programma qui

Avremo con noi l’avvocato Lorenzo Perino, legale esperto del noleggio, e Elisabetta Olivieri, RSPP esperta di rischio biologico nelle attività produttive.

A Lorenzo Perino abbiamo rivolto qualche domanda al fine di spiegarvi meglio i temi su cui è incentrata soprattutto la seconda parte della sessione.

E’ ancora possibile partecipare a questa data del Master prenotandovi qui.

Perino, riguardo ai riflessi contrattuali, come saranno trattate le clausole di forza maggiore?

L’impossibilità di eseguire una prestazione o di consegnare un bene tempestivamente a causa dell’emergenza Coronavirus avranno certamente nei prossimi mesi riflessi legali rilevanti su tutto il territorio nazionale, ma anche all’estero.

Certamente in questa fase sono diventate di straordinaria rilevanza le clausole di forza maggiore all’interno dei contratti, categoria da sempre un pochino bistrattata e ritenuta poco più che “clausole di stile”.

Nei prossimi mesi potrebbero essere determinanti nel condizionare esiti di controversie giudiziarie. Anche i noleggiatori, come qualsiasi altro imprenditore, sono quindi interessati a una verifica della correttezza e completezza di queste clausole all’interno delle loro Condizioni Generali di Noleggio.

Cosa cambia negli obblighi di valutazione del rischio in capo al datore di lavoro?

Per le aziende che hanno operato in queste settimane e che continueranno a farlo nelle prossime, quello su cui concordano tutti è che il datore di lavoro debba effettuare un’attenta e scrupolosa analisi del rischio specifico da Coronavirus in relazione alla propria attività e alle mansioni cui sono addetti i propri lavoratori.

Per questo motivo è diventato rilevante valutare il rischio contagio interno agli uffici o agli stabilimenti, il rischio da contatto con il pubblico, il rischio da contatto con superfici contaminate, eccetera. E per ogni singolo rischio specifico il datore di lavoro è chiamato a predisporre delle misure per eliminarlo o ridurlo a livelli accettabili. In caso di mancata predisposizione di misure di sicurezza il datore di lavoro potrà essere certamente chiamato a rispondere.

Per questo motivo e per evitare di sottoporre i lavoratori a rischio contagio, molte aziende hanno deciso di chiudere temporaneamente i battenti.

In materia di trattamento dei dati personali, quali sono gli aspetti più rilevanti?

Il primo aspetto riguarda l’attività di verifica e monitoraggio svolta dai Titolari del trattamento e datori di lavoro sul personale in fase di primissima manifestazione dell’epidemia. Mi riferisco a questionari sanitari per i dipendenti, rilevamento della temperatura o altre misure volte a indagare lo stato di salute di dipendenti o di terzi presso la sede del Titolare.

Queste pratiche sono state dichiarate non conformi al GDPR dal Garante con una nota del 2 marzo 2020 dove si è posto l’accento sulle iniziative “fai da te” che implicassero trattamenti indiscriminati di dati personali, in particolare di dati sanitari. Azioni comprensibili da un punto di vista psicologico e giustificate dalla volontà di limitare la diffusione del virus, ma che espongono gli interessati a un rischio eccessivo di trattamento illecito e risultano non essere giustificate conformi al principio della “privacy by default” sancito dal GDPR. Quindi direi che sul punto non sussiste più alcun dubbio.

Il secondo aspetto riguarda l’attivazione, da parte di numerosissime aziende, di modalità di lavoro agile o “smart working”. Questa modalità di lavoro da remoto, che consentono alle aziende e ai lavoratori di non perdere produttività pur non uscendo dalla propria abitazione, hanno rilevanti implicazioni in tema di trattamento dati personali perché spesso le forme attuate non danno adeguate garanzie.

Nelle realtà del terziario più strutturate questa modalità di lavoro era già stata attivata in passato, previa attenta e puntuale valutazione dei rischi tecnici, ma molti noleggiatori si sono invece trovati a doverla attivare d’urgenza. Così l’emergenza ha portato in molti casi i lavoratori a utilizzare il proprio PC personale per processare dati aziendali (ad esempio questo è avvenuto per la Pubblica Amministrazione) senza le dovute misure di sicurezza. Oppure, i lavoratori hanno portato presso il proprio domicilio della documentazione aziendale contenente dati personali per poterci poi lavorare da remoto. Queste pratiche devono essere oggetto di attenta riflessione da parte del Titolare e devono essere valutate con la massima cautela perché non ci siano rischi di trattamenti illeciti, accessi illegittimi o perdita di dati personali. In questi casi dovrebbe essere attivata la procedura aziendale per il caso di violazione di dati (data breach) prevista dall’art. 34 del GDPR.

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