A proposito di cose gratis e del pagare i fornitori

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In questi giorni è tutto un moltiplicarsi di voci. Dentro e fuori dai social, i microfoni sono sempre aperti: si condividono pensieri, non sempre del tutto originali, talvolta poco competenti e spesso nemmeno pertinenti.

Tra bisogni di pragmatismo (dove trovare le mascherine e come metterle) e slanci filosofici (cosa sarà dell’uomo dopo questa pandemia), la condivisione generosa produce anche un fastidioso effetto ridondanza, perché lo stato delle cose si modifica ogni giorno ed è accompagnato dalla necessità di aggiornare anche i pensieri.

Siamo passati dalle declinazioni di #andratuttobene (inni nazionali al balcone inclusi) alle proiezioni su #nientesarapiucomeprima ascoltando, nostro malgrado, voci sempre nuove o ricorrenti che ci spiegano, a ogni ora del giorno, il loro punto di vista su tutto.

Per ragioni di attitudine personale e dovere professionale vivo il tempo esprimendo anch’io i miei pensieri, osservando al contempo come si muovono i pensieri degli altri, soprattutto di chi conosco e fa parte del mio universo di riferimento.

Ognuno si sta sforzando di capire come cambiare e orientarsi, portando con sé la propria grammatica abituale.

Al di là dei pensieri consegnati qua e là, noto che siamo tutti accomunati dal fatto che cambiare paradigmi e consuetudini è un’impresa niente affatto semplice. Ad esempio, chi non ascoltava prima non sta ascoltando nemmeno adesso, e così via.

Forse perché avremmo preferito scegliere noi come e quando cambiare, anziché essere costretti traumaticamente a farlo.

In buona fede, quindi, diamo il nostro contributo nel capire come modificare la prospettiva o risolvere i problemi in campo, ciascuno all’interno dei propri schemi: gli amanti delle procedure ne stanno inventando di nuove e la comunità scientifica si propone per diventare il filtro attraverso cui far passare tutte le scelte.

C’è anche chi si limita a cantare dal proprio terrazzo che ‘il cielo è sempre più blu’; per quanto lo trovi un po’ surreale in questo contesto, non riesco a giudicare neanche loro, perché ricordo ancora cosa diceva la mia mamma: “cuor contento, il ciel l’aiuta”.

Senza quindi voler partecipare a tutti i costi alla costruzione del nuovo ordine mondiale, nel mio piccolo vorrei soffermarmi su due aspetti, e su come mi piacerebbe trovarli nel mondo post pandemia.

Io pago i fornitori

È uno dei temi più delicati al momento. Per come la penso, sarà la cartina tornasole che meglio di altre avrà rivelato come ogni persona o azienda sta interpretando il senso di collettività e di solidarietà che si è inserito nelle nostre vite in modo più evidente rispetto a prima.

La questione è delicata perché si espone a interpretazioni soggettive, e qui entra in gioco l’immagine che ci eravamo già fatti in precedenza dei nostri interlocutori e dei loro modi di agire.

Vi faccio un esempio: qualche anno fa, un’azienda che aveva prenotato uno spazio pubblicitario sulla rivista di cui ho in carico la completa realizzazione, risultava ancora insolvente a distanza di un paio di mesi dalla scadenza della fattura. A quel punto ho chiamato personalmente il titolare per capire quale fosse il problema. “Nessun problema – mi aveva risposto quasi divertito – è che ho istruito la mia amministrazione a pagare solo al terzo sollecito. Chi non sollecita non ha così bisogno di essere pagato, no?”.

No!

In questi giorni, molte fatture scadute non vengono pagate, credo sia un problema comune. Al momento mi sto facendo l’idea che si stia trattando solamente di un problema organizzativo che affligge alcuni e non altri.

Infatti, un buon numero di pagamenti, per fortuna, sta arrivando puntuale.

Ringrazio queste aziende perché mi permettono di mantenere la mia identità, onorando a mia volta il pagamento dei miei fornitori. Diciamo che lo farò in ogni caso, anche andando a cercare i soldi altrove, perché sono persone con cui lavoro da anni e hanno sempre soddisfatto in pieno le mie richieste (essendo pignolo, non è un compito facile).

Non mi sembra questo, insomma, il momento di mettere in crisi una filiera: se tutto deve andare bene anch’io mi sento chiamato a fare la mia parte. 

 

Ecco perché quando, qualche settimana fa, mi sono visto recapitare una lettera in cui un’azienda mi informava che non pagherà le fatture in scadenza a marzo (“non abbiamo venduto perciò non paghiamo”) mi sono sentito un po’ in imbarazzo, per almeno due motivi.

Il primo è la tempestività di questa comunicazione, unita a motivazioni che non ho trovato del tutto convincenti.

Il secondo è una diretta conseguenza del primo e cioè il fastidio di sentirmi trascinato in un processo alle intenzioni che al momento non ho voglia di fare, perchè non conosco la reale singola situazione, ma quella collettiva sì.

Ci devo mettere molto impegno, però. Se è vero, infatti, che lo Stato ha assicurato che nessuno sarà lasciato solo, non riesco a comprendere comportamenti unilaterali come questo e faccio fatica a non interpretarli come la volontà di sottrarsi al sostegno comune per “salvarsi” da solo.

Lo stesso discorso, ovviamente, vale per chi ha scelto di non esplicitare le sue intenzioni e far passare tutto nel silenzio, anche se le scadenze sono scadute, lasciandomi l’incombenza e l’imbarazzo di ricordarglielo, prima o poi.

In entrambi i casi, mi viene naturale fare riferimento all’idea che mi ero fatto di queste aziende prima della pandemia.

Le cose date gratis

Altro tema delicato sono i giudizi negativi verso chi ha messo a disposizione servizi o prodotti, in questa difficile fase, senza chiedere niente in cambio.

Qui mi è molto più semplice dirimere la questione, perché posso fare un esempio personale: una volta compreso che non avrei potuto portare a compimento molte attività con cui mi ero riempito un’agenda fitta e bellissima, che si è bloccata di colpo – tutti gli impegni prevedevano spostamenti fisici e sessioni in aule o aziende – per me e per il mio staff è stato normale e automatico creare contenuti nuovi e offrirli gratuitamente sul web.

Poca cosa, peraltro, se paragonata a chi ha riconvertito la produzione per sostenere l’emergenza sanitaria in mille modi creativi, questi sì tipicamente italiani.

La cosa è piaciuta e ne siamo particolarmente orgogliosi e felici, anche perché ci ha permesso di modificare e testare in modi nuovi l’erogazione di attività normalmente a pagamento.

Dato che l’obiettivo non era ricevere apprezzamenti o creare attenzione per coltivare futuri clienti (questa semmai è un’auspicabile conseguenza), mi hanno dato particolarmente fastidio il giudizio sommario di alcuni e il silenzio assordante di altri.

Ecco, non voglio più trovare queste cose nel mio mondo di domani.

Un fastidio pienamente compensato da chi, invece, non ha perso l’occasione per fare del nostro gesto un momento di scambio di valore, la moneta più bella con cui essere ripagati in questi casi.

La cultura del grazie

L’etimologia del termine gratis è molto semplice. Si tratta di una voce latina pervenuta direttamente nella nostra lingua come forma sincopata di gratiis, ablativo plurale di gratia, che significa grazia, favore e che sta a indicare qualcosa che avviene per pura benevolenza e che quindi non prevede né un pagamento, né una controprestazione.

Questo non significa, però, che chi riceve qualcosa gratis non possa mostrare a sua volta gratitudine.  Ringraziare per qualcosa che si è ottenuto “per grazia” mette in moto un circolo virtuoso in cui viene battuta una moneta che non crea inflazione, ma solamente un contesto migliore.

Lo si può fare anche nelle piccolissime cose, che personalmente da subito mi impegno a mettere in atto.

Al termine di un webinar gratuito, ad esempio, se mi verrà chiesto di impegnare cinque minuti del mio tempo per compilare un questionario di feedback, li dedicherò più volentieri.

Lo sento come un gesto di reciprocità, un modo per restituire il valore ricevuto.

Anzi, mi impegnerò a dare più feedback spontanei perché, ora ne sono certo, sono molto apprezzati.

In definitiva, vorrei dare un senso concreto agli hastag e farli diventare azioni, perché questa emergenza ci accompagnerà ancora per molto e ci sarà bisogno di guardarci bene negli occhi per un bel pezzo: capirci, fidarci e andare avanti insieme.

Poi, chi vorrà, potrà pure tornare a essere egoista.

Quindi, se niente dovrà essere più come prima, perché non cominciare tutti con l’imparare a ringraziare e a non smettere di pagare puntualmente i fornitori (oppure cominciare a farlo a partire da adesso)?

Grazie.

Prego.

Tanti auguri di Buona Pasqua da tutto lo staff.

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Tag dell'articolo: Coronavirus

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