Come ci segnala il nostro lettore Alessandro, recentemente Uber è stata virtualmente bloccata da una decisione della Corte Regionale di Francoforte, che ha stabilito che i suoi autisti non hanno le necessarie licenze commerciali. Ho scritto “virtualmente” perché Uber ha dichiarato di voler proseguire la sua attività, e anzi di espanderla anche a Stoccarda e Colonia, fintanto che la decisione non sarà confermata in appello.
Ma già in passato una decisione negativa del Ministero dei Trasporti tedesco era stata ribaltata in appello poiché esso non è competente in materia, dove decidono i singoli Land.
Ma oltre a questo ostacolo sul suo sviluppo in territorio europeo, Uber deve affrontare in patria critiche ben più dure, derivanti dagli sviluppi del caso che vi abbiamo raccontato la settimana scorsa.
In un interessante ed estremamente documentato articolo pubblicato sul sito The Verge, un giornalista ha infatti ricostruito il piano di Uber per togliere letteralmente il terreno da sotto i piedi del suo principale concorrente, Lyft. Sembra infatti che i numerosi viaggi su Lyft, prenotati e poi cancellati da persone assunte ad hoc da Uber, facciano parte di un piano molto più complesso, denominato “Operazione SLOG”.
Il piano, confermato da messaggi e documenti raccolti dal giornalista americano Casey Newton, prevede che gruppi di persone, chiamate “ambasciatori”, a cui Uber offre carte prepagate e telefoni usa e getta, prenotino i viaggi su Lyft per condurre interviste volte a far passare i suoi guidatori a Uber. Gli ambasciatori sono persone a cui normalmente è affidato il compito di promuovere Uber nei college o alle feste. Ma ora l’attività di promozione è un’altra, e il premio per ogni autista “convertito” può arrivare a 750 dollari.
I viaggi cancellati sarebbero quindi una conseguenza del piano: quando un ambasciatore di Uber incontra un guidatore che è già passato a quest’ultimo, cancella il viaggio prenotato in precedenza, oppure lo fa per non farsi “beccare” da Lyft.
Sarebbe quindi del tutto falsa l’affermazione di Uber di non sapere nulla di questa iniziativa, di cui la CNN per prima ha parlato qualche settimana fa, e su cui Uber si era limitato a dichiarare di non aver mai usato tattiche di marketing che ledano (cancellando un viaggio) l’attività dei guidatori.
Se il rapporto giornalistico di The Verge sarà confermato (ma l’articolo è ricco di riferimenti molto circostanziati a email messaggi e bacheche interne, che potete leggere qui), emergerà che Uber sta apertamente mentendo a media, consumatori e concorrenti.
Il piano, denominato Operation SLOG (Supplying Long-term Operations Growth, traducibile più o meno con “creazione di crescita a lungo termine”) prevedeva incontri di briefing con gli ambasciatori, mezzi apertamente progettati per non farsi intercettare dal concorrente, come telefoni con contratti da “bruciare” e molteplici profili utente da creare sulla piattaforma di Lyft, nonché un gruppo privato sulla piattaforma di messaggistica GroupMe, dove gli ambasciatori potevano scambiarsi i profili degli autisti già convertiti.
Senza contare i suggerimenti per non farsi scoprire, come la prenotazione di viaggi da posti diversi o la guida su come condurre le interviste per convincere i guidatori a passare alla concorrenza. E’ stato creato anche un hastag chiamato #shavethestache, ossia “tagliamo i baffi”, dalla decorazione (due baffi rosa) che Lyft fa applicare sulle sue auto.
Sempre secondo The Verge, l’operazione SLOG da New York si sta estendendo ad altre 10 città degli USA, mostrando quindi un’estensione e una disponibilità di mezzi imponente.
Boicottiamo Uber?
I difensori del mercato libero molto probabilmente non ci vedranno niente di male. Dopo tutto, in amore e guerra (anche economica) tutto è lecito. E in fondo chi guadagna da un’aspra competizione alla fine sono i consumatori, giusto? E poi ancora le cancellazioni (tra 5.000 e 6.000 secondo la CNN) sono poche rispetto al numero di viaggi di Lyft, quindi questi si possono considerare tutto sommato danni marginali.
Tuttavia forse bisognerebbe guardare un po’ oltre il breve termine. Ad esempio, è interessante notare che Uber è in uno stadio di crescita in cui, invece che generare profitti, è in grado di spendere senza pensieri le generose risorse messe a disposizione dai suoi finanziatori (tra cui Goldman Sachs e Google). Ma che cosa succederà quando un’azienda come Uber avrà risolto tutti i suoi problemi di concorrenza, sia tradizionale (i taxi) che della New Economy (Lyft)? Quando la priorità di Uber non sarà più spendere soldi ma guadagnarne? Se a un certo punto i guidatori non avranno un altro concorrente per cui lavorare, ma solo Uber?
Si potrebbe speculare che, in quello scenario, il compenso dei guidatori sarà il minimo indispensabile, e che chi proverà a protestare potrà essere sostituito senza battere ciglio. E se Uber sarà l’unico a fornire certi servizi, che cosa succederà ai suoi prezzi alla prima goccia di pioggia o alla prima Settimana della Moda?
Ovviamente con questo post non voglio gridare “al lupo”, né chiedere la chiusura di Uber, che pure sta facendo una battaglia giusta per rompere i monopoli che ingessano molti paesi. Sarebbe sbagliato equiparare tutti i servizi di car sharing peer to peer al “cattivo” Uber, decretando a priori che bisogna buttare a mare tutti i servizi come Lyft, Gett e altri.
Sicuramente si tratta di pratiche strettamente ammesse dalla legge americana (i legali di Uber, avvezzi a battaglie ben più dure con città e Ministeri, avranno analizzato la questione in poco tempo…). Ma l’uso di queste tattiche da parte di Uber, se confermato, non fa certo bene all’immagine di tutto il segmento, ed è, per così dire, inquietante. Non stiamo parlando di aspre guerre di prezzo, ma di pratiche “al limite”, che denotano una mentalità machiavellica per cui il fine giustifica i mezzi.