Tutto funnel e niente arrosto?

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Un argomento molto dibattuto nel mondo del digital marketing riguarda il concetto di funnel: per alcuni è ancora una colonna portante delle strategie di comunicazione, per altri è morto e sepolto. Ma facciamo un passo indietro.

Cosa si intende per funnel?

E’ un modello che identifica i diversi step che l’utente compie (inconsciamente) dal momento in cui ha un primo contatto con il brand fino alla conversione, intesa come acquisto di un prodotto o fruizione di un servizio. Viene solitamente rappresentato come un imbuto (anche se può avere diverse forme in base al contesto di business) perché possiamo catturare l’attenzione di molti ma, in percentuale, pochi diventeranno clienti (lead). I diversi step dell’imbuto prendono diversi nomi o acronimi. Uno di questi è AIDA, ovvero:

  • Attenzione («Ah! ma esiste questa cosa»)
  • Interesse («Sì, questa cosa potrebbe fare per me»)
  • Desiderio («Questa cosa è esattamente quello che stavo cercando»)
  • Azione («Diamine, me ne dia cinque!»).

Spesso vi si aggiunge una S, che trasforma la sigla in AIDAS: l’ultimo step è la Soddisfazione, che fidelizza l’utente a un brand portandolo a ripetere gli acquisti.

Un altro acronimo usato è quello dell’analista Kaushik che traduce l’AIDAS in:

  • See (vedere, interessarsi)
  • Think (interesse, pensarci su)
  • Do (fare, acquistare, convertire)
  • Care (soddisfazione).

Perchè secondo alcuni il funnel è morto?

Ogni qualvolta leggo “[inserire un elemento qualsiasi di digital marketing] è morto” sorrido e alzo le spalle: quando studi fisica al liceo scientifico te lo dicono chiaramente, nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma (eccetto il disordine e i piatti nel lavello, nota di

 redazione della vita adulta). Sicuramente lo strumento del funnel non può essere preso come una tavola biblica che porterà il popolo fuori dal deserto. Pensate anche alla vostra vita di tutti i giorni. Entrate al supermercato perché vi serve solo una cosa e poi vedete nello scaffale i biscotti della Nutella, inoltre hanno messo in sconto quei piatti pronti tattici che “quasi quasi me li prendo, così anche per stasera la cena è fatta”. Siete entrati per un’urgenza ma sul nastro della cassa state appoggiando mezzo supermercato.

Oppure, siete sul treno per lavoro e state facendo una pausa mentale, sfogliando Amazon. Decidete di acquistare il tosaerba perché sostanzialmente vi è capitato in mano e avete valutato che potreste averne bisogno: ne avete già uno ma è vecchiotto, probabilmente da cambiare.

Chiaramente, quando parliamo di investimenti più considerevoli (come spesso accade nel B2B) l’acquisto non è così immediato e casuale. Però questi due semplici esempi possono aiutarci a capire che sì, in effetti il modello del funnel come descritto precedentemente è sicuramente troppo rigido per rappresentare le nostre abitudini di consumo.

Anche Google lo dice in un suo articolo: analizzando il percorso degli utenti non esistono due viaggi esattamente uguali e di certo la forma non assomiglia a un imbuto. La tecnologia digitale e i dispositivi mobili hanno trasformato il nostro comportamento di acquisto e di conseguenza “la struttura dell’imbuto”.

Come sfruttare bene il funnel

Dobbiamo quindi cambiare la prospettiva con cui vediamo il funnel: non deve essere questo strumento a guidare la nostra strategia; viceversa, è la nostra testa che dovrà capire come usare questo strumento per la propria strategia.

Se iniziamo a ragionare su dove e in che modo l’azienda è presente nelle fasi del percorso, seguendo l’utente ormai paragonabile alla pallina di un flipper, stiamo iniziando a creare un funnel sensato. Il percorso della biglia-utente viene definito viaggio del cliente (in gergo, customer journey): il viaggio del rapporto che un utente instaura con un brand. Un percorso nodoso come un serpente, fatto di luoghi e tempi diversi, momenti offline e online. Non si tratta quindi del nuovo teorema “prendi un funnel e trattalo male”: rimane un ottimo strumento se utilizzato con intelligenza e analisi (occhio ai furbetti che ve lo vendono come se fosse la nuova mappa del tesoro!).

Un errore comune è pensare che «dato A, allora B» oppure «dato che sto usando correttamente lo strumento A allora devo avere la conseguenza B». Non funziona nella vita, figuriamoci in un ambito umano come il marketing. Come sempre, bisogna mettersi a provare, cancellare, rifare, analizzare. Diventare più psicologici e meno marketers forse.

L’esercizio finale di oggi, per chi lo vuole fare, non è altro che questo:

  • Prendete un foglio e una penna e iniziare a pensare quali passi muove un vostro potenziale cliente e analizzate come voi siete presenti in quei suoi passi.

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