Identità del noleggio, siamo in crisi?

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Apriamo una riflessione sull’identità del noleggio?

Un tema non così scontato, che negli ultimi anni ha subìto diversi scossoni e che dovrebbe interessare tutta la filiera.

Ma andiamo con ordine.

In principio era la pandemia. Due anni sfiancanti in cui ci siamo riorganizzati buttando dentro energie, coraggio e visionarietà. Lo abbiamo fatto in tempo reale e con gli strumenti che avevamo: pianificazioni, intuizioni, attitudine reattiva o proattiva.

Qualcuno ha mantenuto salda la sua identità. Altri si sono fatti travolgere dagli eventi, adottando azioni che hanno finito per snaturare i loro elementi costitutivi.

La pandemia ha lasciato ora il posto a un nuovo contesto reso complicato da altri fattori destabilizzanti.

Prima l’aumento vertiginoso dei costi delle materie prime e dei trasporti, la chip shortage, la mancanza di macchine e le difficoltà nel reperire nuovo personale in un mercato trainato da una forte domanda, complici gli incentivi nelle costruzioni e nell’industria.

Poi l’invasione dell’Ucraina, con l’allargamento del conflitto dal campo di battaglia alla geopolitica internazionale e sui viscidi terreni mediatici, in una crescente confusione nel trovare adeguate chiavi di lettura agli eventi. Ma soprattutto, nell’incertezza di individuare una concreta via d’uscita.

I nostri valori più profondi sono in crisi, è forse questa la risposta alla domanda “come siamo usciti dalla pandemia”?

I governi hanno ammesso di non sapere cosa accadrà nei prossimi mesi. In questa evoluzione incontrollata, vediamo saltare come birilli i parametri che hanno fatto fin qui da guida a persone e imprese per immaginarsi un futuro migliore.

Ad esempio, gli impegni a favore della crescita sostenibile e i piani di sviluppo compatibili con la salvaguardia del pianeta sono stati accantonati senza troppe discussioni. Le dipendenze energetiche incrociate hanno smascherato una clamorosa mancanza di pianificazione, conducendo le nazioni indietro di cinquant’anni con il ricorso a fonti inquinanti come il carbone o il nucleare.

Il risveglio dai sogni green è stato traumatico. Altrettanto inquietante è la consapevolezza che nessuna organizzazione e nessun essere umano, al momento, sembra essere padrone del proprio destino.

Siamo fatalisticamente in attesa di nuovi equilibri che nessuno può prevedere o garantire.

I riflessi sul noleggio

Se inserito in questo scenario ampio e complesso, la filiera del noleggio appare come un universo minuscolo e quasi invisibile.

Noi che lo viviamo ogni giorno sappiamo bene che non è così, e in un precedente articolo mi sono già chiesto chi resterà nel mercato del futuro.

Il noleggio per l’industria e le costruzioni – per definizione anticiclico – si trova ancora una volta a dover interpretare lo scomodo ruolo di ammortizzatore economico e non è facile decifrare come ne verremo fuori.

Forse siamo diventati fatalisti perché la domanda non sta mollando di un centimetro. Ma se alziamo un attimo la visuale e analizziamo il futuro del nostro sistema produttivo, ci accorgiamo che ce la stiamo suonando come l’orchestra del Titanic.

E’ una specie di deja-vu della lunga crisi del 2008, quando i noleggiatori si sono ritrovati a fare da banca per i loro clienti o da distributori per i loro produttori, in un moto perpetuo che ha finito per alterarne l’identità più profonda, quella di generatori di soluzioni nell’ambito di relazioni stabili.

E senza ottenere in cambio benefici sul fronte della qualità della domanda, ma direi anche sulla percezione del sistema noleggio nel suo insieme.

Perciò, trovo questo nuovo scenario simile al 2008: una deriva pericolosa che rischia di bruciare i lunghi anni passati a tenere alto il valore del noleggio in tutti gli ambiti (tranne quello delle istituzioni, dove nessuno in nessun settore è mai riuscito a ottenere cambiamenti di sostanza rispetto a norme carenti per sostenere la categoria).

In questo senso, gli errori in agguato per il noleggiatore sono sempre gli stessi: adottare comportamenti conservativi o, all’opposto, fare salti in avanti con troppa superficialità.

Nel 2008 si vendevano i gioielli pregiati del proprio parco per fare cassa, azzerando così le fonti di reddito tipiche e qualcuno proponeva, un po’ alla disperata, di “fare cartello”.

Negli anni a seguire, si è vissuto il ritorno alle “vacche grasse” ognuno per sé e senza mettere mano a cambi di paradigma strutturali di sistema, capaci di assorbire il meglio dal digitale senza trascurare le competenze del capitale umano e la natura industriale del noleggio.

Si è semplicemente assecondata la domanda in aumento senza guardare troppo a come poter crescere in orizzonte più ampio.

L’importanza dell’identità

Osservo questo mercato da oltre vent’anni e posso dire che il peggio si manifesta proprio quando le aziende cominciano ad allontanarsi dalla propria identità più profonda.

Quella linea guida che deve rimanere solida e immutabile al variare degli scenari esterni e che si esprime in mission e vision chiare, trasparenti e ben incarnate, con risposte precise e tangibili per tutti gli stakeholder alla domanda “chi siamo”.

Non sono cose da lavagne digitali o piani di sviluppo che variano a ogni cambio di stagione o di management. Sono i valori che sanno guidare l’evoluzione e influenzare il contesto, e a cui ogni scelta strategica, tecnologica e organizzativa, deve fare riferimento.

Tutte le volte che un noleggiatore si allontana dalla sua identità, il sistema noleggio va in crisi. Questa è anche la cartina tornasole per valutare la funzione del noleggio all’interno dell’economia degli anni a venire.

L’identità del noleggio italiano

E qui si passa a una visione più focalizzata: da ambito strettamente tecnico e organizzativo a chi questo ambito lo incarna e lo crea nelle singole realtà, influenzando il sistema: imprenditori, manager, consulenti, collaboratori e, perché no, clienti.

Se guardiamo alle principali aziende di noleggio italiane, possiamo dire tutto ma non che non siano guidate da figure apicali capaci ed esperte, che uniscono a doti industriali intuitive e lungimiranti la capacità di orientare la crescita in modo coerente con i valori profondi della propria azienda.

Il noleggio italiano non è nato dalle teorie dei libri di marketing; si è plasmato attorno a queste figure, talvolta identificate nella proprietà, in altri casi manager nati e cresciuti all’interno delle aziende e che hanno assunto il ruolo di guida carismatica.

Mauro Mollo e Max Rossi – giusto per fare due nomi poco accostabili l’uno all’altro – sono accomunati dall’inconfutabile fatto di aver guidato l’evoluzione, visibile anche nei numeri, di due realtà imprenditoriali diverse mantenendo salda la singola specifica identità. Con cui, peraltro, tutto il mercato si può confrontare e anche trarre ispirazione.

Sono due noleggiatori italiani che stanno scalando le classifiche internazionali, incrementando sia i numeri sia la soddisfazione dei loro clienti, degli azionisti e di chi ci lavora.

Mollo e CGTE sono talmente diverse nella loro natura identitaria che semmai mi ha incuriosito il fatto che per parecchio tempo abbiano adottato il medesimo claim: “noleggiamo soluzioni” (nel libro degli aneddoti che scriverò, rivelerò chi lo ha usato per primo).

Senza scendere nei dettagli, con una guida così sicura, autorevole e affidabile, le persone valide rimangono e, anzi, si aggiungono; le altre trovano più naturale andare a portare la loro inconsistenza altrove.

Si possono fare esempi virtuosi anche scendendo di dimensioni o rimanendo nelle medesime, la sostanza non cambia.

Cosa ha permesso a Loxam di incorporare Nacanco senza troppi traumi se non l’identità organizzativa e l’entusiasmo che Marzia Giusto ha dato alle persone nei lunghi e difficili anni precedenti? Un esempio dello stile Nacanco: la profonda dedizione alla sicurezza in tutti i processi del servizio.

E cosa mantiene Venpa tra i leader se non lo stile sobrio di chi la guida da quasi trent’anni –  Emanuela Pege e Mendes Migotto – che dentro ci sono nati, che l’hanno modellata attorno a un’immagine tangibile assorbita dai loro collaboratori, che l’hanno traghettata in mercati buoni o pessimi mantenendo salda l’umiltà negli onori e mangiando in silenzio la polvere degli oneri ogni santo giorno?

Intendiamoci, non sto parlando di persone in quanto tali, ma dell’influenza che hanno sulle aziende che guidano, diffondendo una percezione identitaria che va al di là del marchio.

A volte qualcuno mi chiede quale sia l’identità – ad esempio – di una Giffi Noleggi, o cosa ci sia di concreto dietro ad alcune iniziative dirompenti a cui ci si dovrebbe unire con un atto di fede quasi alla cieca e un consistente esborso di cash. In questi casi, sinceramente, non so mai cosa rispondere; ma probabilmente è una mia lacuna.

Osservo, rifletto, mi faccio un’idea attraverso quel che vedo e negli scambi con persone con cui mi posso confrontare.

Nuove sfide per nuovi manager

A destabilizzare l’identità di chi porta avanti il noleggio italiano ci si è messa ora l’inevitabile sfida del digitale. Un tema di cui si parla molto anche su queste pagine per comprenderne il ruolo, le problematiche e le opportunità.

Nel desiderio legittimo di fare un salto in avanti e battere sul tempo la concorrenza qualche noleggiatore si è affidato a figure esterne non così inserite nelle dinamiche del noleggio che, ricordiamolo, ha una curva di apprendimento che non è banale.

Gente che piomba in aziende con un passato di solidi valori etici e competenze acquisite sul campo, chiamate a guidare la transizione. Soggetti che salgono in cattedra e non si fanno molti scrupoli nel tenere conto di questo passato, accantonandolo a colpi di teorie disruptive che magari si sono dimostrate buone in settori di per sé più votati al digitale.

Purtroppo, digitalizzare un’azienda di noleggio non è come sviluppare Netflix e Just Eat o giocare a Monopoli. Ha a che fare più con le analisi del Total Cost of Ownership che con le caratteristiche di sviluppo di una startup.

Ho visto fallire alcune iniziative di questo genere e altre le vedo arrancare, perse nei meandri di progetti buoni sulla carta o portati avanti con superficiale velocità. Ho visto situazioni in cui si è arrivati a mettere in discussione i progetti stessi, ma nel frattempo si è sacrificato del tempo, del denaro, delle persone e l’identità.

I collaboratori validi nel frattempo se ne sono andati altrove, sommariamente considerati incapaci di adattarsi alla nuova era. Eppure siamo in una fase in cui la forte domanda richiede conoscenze specifiche non facili da costruire e dove non sembra esserci troppo ricambio generazionale disponibile all’orizzonte.

Il noleggio non è attrattivo, pur essendo una tra le professioni del futuro, come si sente dire. Qualcosa allora non torna.

Mi chiedo se in un settore in cui le competenze crescono lentamente sul campo, questo approccio kamikaze votato all’ignoto del digitale emulativo a ogni costo non sia un evidente tratto autolesionista.

Tornare all’identità profonda del noleggio

La crescita di un noleggiatore passa da investimenti strutturali e dalla capacità di generare nuovi ricavi in un orizzonte ampio fatto di competenze, pazienza e qualità. Anche e soprattutto delle relazioni umane.

Non si vive di sole spinte innovative alla cieca e di processi veloci per forza; non a tutti i costi e non nel noleggio. Questo è il mio pensiero e lo dico anche come una sorta di esame di coscienza.

Più concretezza e meno voli pindarici. Anche più umiltà nel confronto tra teoria e pratica, tra didattica ed esperienza.

Il noleggio è un mondo in cui le relazioni valgono più di certe dashboard. Dove la concretezza del valore erogato ha più effetto dei trafiletti comprati sulla stampa nazionale per inventarsi una reputazione che a conti fatti non c’è.

La consapevolezza di questo valore dovrebbe essere il vangelo letto in azienda, tutti insieme, almeno una volta alla settimana.

Si vive e si prospera solo evolvendo una struttura in cui ogni risorsa, dal bullone all’addetto alla reception, è un bene prezioso che acquista valore nel tempo e di cui si è tutti consapevoli. Senza dimenticare il cliente, ovviamente, sempre al centro dell’universo secondo le brochure, ma poco nella pratica.

Tornando ai nomi già citati – che come tutti non sono privi di difetti – ho recentemente apprezzato un altro aspetto, che la dice lunga sul ruolo dell’identità nelle fasi di sviluppo anche in caso di acquisizioni. Quando si sono trovati nella condizione di inglobare alcune storiche realtà e portarle nelle loro grandi famiglie (Parmiani, Monia, GM, fate voi), ho notato una certa attenzione nel valorizzare l’identità delle aziende acquisite, del loro marchio e della loro presenza storica sul territorio.

I compratori ci sono entrati con delicatezza, mettendo a proprio agio le persone e accogliendole come risorsa preziosa, non solo come numeri o oggetti produttivi.

In altri casi, abbiamo visto invece accantonare marchi storici senza troppi problemi, per far posto a una nuova immagine. Che a volte è portatrice di solide identità industriali visibili in altri mercati geografici, mentre in altri casi si tratta di scommesse di marketing ancora prive di identità, ma già alquanto impegnative e costose.

Non è un giudizio a priori: siamo certi che anche in questi casi si stanno adottando tutte le misure necessarie a valorizzare il vissuto professionale e l’identità di chi viene fagocitato, pur evidenziando la nuova identità nascente.

Se funzionerà o meno, lo scopriremo solo vivendo.

Tag dell'articolo: digitalizzazione

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