Almac, tecnologia e innovazione per le nuove generazioni

denny furghieri almacrawler
denny furghieri almacrawler

Denny Furghieri (al centro), Responsabile del Servizio Assistenza e Post-Vendita, insieme ad alcuni collaboratori del Team Service di AlmaCrawler

Gli ultimi mesi sono stati un periodo di grande fermento per AlmaCrawler, conosciuta da molti anche come Almac.

I primi dieci anni dalla fondazione dell’azienda italiana, segnati peraltro da risultati eccezionali se paragonati alle tempistiche normalmente necessarie per avere successo in un mercato competitivo come quello delle piattaforme aeree, sono coincisi con l’acquisizione di una quota di maggioranza da parte del fondo di investimento Wise Equity, entrato in società con l’ambizione di proseguire la rapida crescita del produttore e consolidare ulteriormente l’importante posizionamento ottenuto sul mercato globale.

Nella nostra intervista a Oana Samoila (Responsabile Commerciale e Marketing di AlmaCrawler), pubblicata su queste pagine lo scorso marzo, abbiamo ripercorso le tappe più importanti di questa crescita, approfondendo anche i servizi di pre e post vendita forniti ai clienti noleggiatori e l’organizzazione della presenza commerciale dell’azienda in Italia.

In questo articolo ascoltiamo la voce di Denny Furghieri, che ci aiuta a inquadrare al meglio la forte identità e la peculiare filosofia di progettazione di AlmaCrawler, le cui piattaforme si contraddistinguono per l’innovazione e l’alto contenuto tecnologico, analizzando anche i numeri della produzione e gli obiettivi fissati per lo sviluppo strategico dei prossimi anni.

Finora abbiamo parlato del vostro percorso di crescita, soffermandoci su tutti gli elementi che in soli dieci anni hanno permesso ad Almac di affermarvi con decisione sia sul mercato italiano che su quello internazionale. Se dovessimo invece parlare di errori commessi, che tipo di autocritica potreste farvi?

Forse non è una critica vera e propria, però possiamo ammettere senza problemi che nel corso di questi dieci anni qualche piccola imperfezione fisiologica c’è stata. Il presupposto è molto semplice: noi progettiamo macchine che devono soddisfare tutta l’Unione Europea, l’Australia, gli Stati Uniti e anche mercati orientali come il Giappone, e come potete intuire non è facile. Quindi dietro alle nostre macchine ci deve essere sempre una grande ricerca che ci permetta di produrre un modello che sia abbastanza standard da soddisfare tutti, ma con un insieme di mercati così ampio una macchina per forza di cose non andrà mai bene al cento per cento per tutti. Ma questo è il compromesso necessario per poter lavorare in modo efficace in più di trenta Paesi.

Nell’ambito di questa fase di ricerca, su quali aspetti vi concentrate maggiormente?

In questo ultimo periodo ci stiamo concentrando tantissimo sulla user experience, perché lavorando con noleggiatori sempre più grandi abbiamo meno spazio per andare a modificare i progetti in corsa. Quando facciamo uscire un modello cerchiamo di fare sì che sia subito pronto per essere noleggiato, senza che ci sia il bisogno di fare particolari modifiche. Le nostre macchine dispongono inoltre di un software che ci permette di risolvere piccoli dettagli anche da remoto, quindi collegandoci direttamente con la macchina riusciamo a vedere la configurazione, suggerire cosa fare per risolvere una situazione di blocco oppure modificare alcuni parametri.

almac jibbi 1890 primo

La Jibbi 1890 Primo di Almac

Quindi possiamo dire che ora il vostro focus è sull’accessibilità e sull’immediatezza d’uso?

Sì, possiamo metterla così. Una parte importante del nostro lavoro di sviluppo è capire come possiamo rendere l’utilizzo delle nostre macchine più semplice e intuitivo possibile. In questi anni abbiamo migliorato molto l’interfaccia utente, in modo da renderne l’apprendimento rapido e accessibile per tutti. Se così non fosse, i nostri clienti farebbero fatica a capire da subito tutti i vantaggi che le nostre macchine possono offrire grazie alla loro peculiarità e all’alto livello tecnologico.

Parlando di disponibilità del prodotto, quali sono al momento le vostre tempistiche di consegna?

Le nostre tempistiche sono sempre pianificate. Se una piattaforma telescopica viene ordinata oggi, ad esempio, occorrono dalle 12 alle 16 settimane al massimo per effettuare la consegna. Solo per le scissor serve un po’ più di pazienza perché, essendo il nostro best-seller, abbiamo già molti ordini prenotati.

Quali sono attualmente i vostri volumi di produzione?

L’anno scorso abbiamo prodotto 650 macchine; per quest’anno l’obiettivo è arrivare a 850. In ogni caso, parliamo di numeri sensibilmente più alti rispetto agli anni scorsi.

Di queste 650 macchine, quante sono andate a noleggiatori e quante a utilizzatori finali?

Ai noleggiatori direi che sono andate circa l’85 per cento delle piattaforme che abbiamo prodotto nel 2022.

Con quali percentuali di mercato a livello geografico?

Il 40 per cento rimane in Unione Europea. Poi un 20 per cento va in Australia, un 30 tra Stati Uniti e Canada e un restante 10 per cento in mercati asiatici come il Giappone e Hong Kong. In ogni caso, si tratta sempre di mercati molto qualificati.

Facendo i calcoli, quindi, il numero di piattaforme vendute a noleggiatori europei ammonta a più di 200. Di queste, quante sono state vendute in Italia?

L’anno scorso abbiamo venduto in Italia più di 80 macchine. In conteggi di questo tipo cerchiamo di non includere i grandi noleggiatori come Loxam, Kiloutou o Mollo che, pur essendo molto presenti sul mercato italiano ragionano da key account di grandi dimensioni. Senza contare loro, le piattaforme Almacrawler vendute in Italia nel 2022 sono state comunque 42. Direi che il numero reale è questo, visto che le aziende citate sono da considerare player europei a tutti gli effetti.

Siete soddisfatti di questi numeri?

Possiamo fare molto di più, ma sicuramente se paragono questi dati con quelli degli anni precedenti non posso che vedere una grande e costante crescita. Adesso però dovremo confermarli, soprattutto per quanto riguarda i noleggiatori con cui trattano i nostri distributori.almac jibbi u-1570 evo

Che cosa guiderà il vostro ulteriore sviluppo sul mercato italiano?

Credo che i nostri prodotti vadano visti. Facendo vedere il prodotto e quello che può fare, il cliente potenziale acquisisce maggiore consapevolezza sul ritorno dell’investimento. I primi tempi saranno un po’ di ambientamento, visto che il prodotto è unico; poi, i dati dimostrano che con le nostre piattaforme si possono ottenere tassi di utilizzo e ricavi molto interessanti. Per molti noleggiatori non è quasi più necessario alcun periodo di ambientamento iniziale, soprattutto quando credono molto nel prodotto e lo promuovono in modo corretto ed efficace presso i loro clienti.

Quando questo non accade, il prodotto può anche fare fatica, e non perché la macchina non lavori bene, ma perché – e la mia opinione sarà impopolare – in alcuni casi non si supera quella sorta di pigrizia che porta a noleggiare sempre le stesse cose per abitudine, senza che il noleggiatore eserciti la funzione di educazione della domanda, che invece la natura consulenziale del noleggio richiederebbe. Chi ha deciso di puntare strategicamente sulle nostre piattaforme, ottiene sempre ottimi introiti.

I noleggiatori fanno fatica a interfacciarsi con i vostri prodotti?

Durante le sessioni di training può capitare che ci sia qualche difficoltà iniziale a comprendere tutte le funzioni e i vantaggi specifici offerti dalle nostre macchine. Però, dopo i primi cinque minuti di impatto iniziale, i partecipanti si accorgono che l’utilizzo non è così complicato come sembra, ma che, anzi, è piuttosto semplice. E non potrebbe essere altrimenti, perché le nostre macchine sono progettate per risolvere i problemi dei clienti, non per creargliene di nuovi. Altrimenti, l’innovazione fine a sé stessa non servirebbe a niente.

Credi che permangano più resistenze da parte degli utilizzatori finali? Spesso in Italia i clienti del noleggio sono molto abitudinari…

C’è da dire anche che la maggior parte delle piattaforme aeree attualmente in circolazione sono il frutto di processi di progettazione portati avanti principalmente negli anni ’90, al di là delle piccole rivisitazioni che ci sono state negli anni successivi. Quindi parliamo di piattaforme che hanno ancora una user experience pensata per gli operatori di quei tempi, che si sono abituati a quel tipo di macchina.

Ci spieghi meglio questo fattore generazionale?

Un operatore di venti o trent’anni, che si affaccia oggi al mondo dell’accesso aereo, non può trovarsi a lavorare con mezzi più vecchi di lui, ma vorrà utilizzare attrezzature con un livello tecnologico all’altezza di tutti gli oggetti che usa nella sua quotidianità, come lo smartphone o l’automobile digitalizzata. Se c’è un malfunzionamento, le nuove generazioni non si aspettano di doversi mettere ad aprire un manuale cartaceo gigantesco per capire cosa sta succedendo. Deve essere la macchina a segnalare l’errore e a indicargli come risolverlo.

Le statistiche dicono però che l’età media degli utilizzatori di PLE in Italia è ancora parecchio alta…

Forse oggi è così, però come produttori non possiamo aspettare passivamente che la situazione cambi. Nel giro di dieci anni, per forza di cose, ci sarà un grande ricambio generazionale, e questi bisogni si faranno sentire ancora di più. Io penso che tra non molto, da questo punto di vista, ci sarà un grosso problema di user experience per alcuni nostri colleghi dell’industria, che si ritroveranno a dover fare dei cambiamenti mostruosi dall’oggi al domani per restare al passo con i gusti e le attitudini degli utilizzatori finali.

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