“Non puoi continuare a lavorare nella musica. Devi trovarti un altro lavoro”.
Questo era il consiglio che la madre di Per Sundin, boss della Universal Music in Svezia, stava dando a suo figlio nell’estate del 2006. La sua azienda veniva da due anni di crisi, con ricavi in caduta costante e un boom della pirateria, che aveva nella Svezia (dove le connessioni Internet sono le seconde al mondo per qualità e velocità, dopo il Giappone) la sede di uno dei siti più famosi, The Pirate Bay.
E Per Sundin era arrivato quasi a vergognarsi del suo lavoro.
L’ultimo anno di crescita delle vendite online dell’industria del disco è stato il 1999: in quell’anno i ricavi complessivi arrivarono a 27 miliardi di dollari. Nel 2008 erano scesi a 14 miliardi. E proprio in quell’anno le principali case discografiche, quasi per disperazione, concessero i propri cataloghi a una nuova azienda svedese, fondata da un ragazzo di 25 anni, chiamata Spotify.
Come battere la pirateria
Daniel Ek, il fondatore di Spotify, ora di anni ne ha 29, e sostiene che per avere un successo un servizio per la distribuzione di musica online deve essere più comodo della pirateria. E Spotify lo è: basta creare un account gratuito e scaricare un programma per accedere a 13 milioni di canzoni, risultato di due anni di contrattazioni serrate, in cui Ek ha perso quasi tutti i capelli. Ma non basta: il servizio ti consente di ricreare in un attimo tutte le playlist che ti interessano (da quella per la palestra a quella della festa di compleanno), anche importandole da altri software. Ed è la playlist che definisce chi sei, dal punto di vista musicale.
Se poi in Europa (tranne che in Italia, dove il servizio è assente) uno vuole ascoltare più di 10 ore di musica al mese, evitare le pubblicità o avere la musica a disposizione offline, basta pagare 15 euro al mese. Secondo Spotify, oltre un milione e mezzo di europei in sette paesi l’hanno fatto, portandolo a essere il secondo servizio in Europa dopo iTunes.
Le case discografiche ne hanno beneficiato, eccome. In Svezia, i download legali sono aumentati del 28% da quando è nato Spotify. Ma la domanda più forte è quella di musica in streaming. Non a caso, ormai in Svezia nessuno va più a una festa con un PC o un disco rigido pieno di mp3: ognuno si connette a Spotify, E qui come fanno le case discografiche a guadagnare?
Semplice: in parte hanno acquistato delle quote di capitale di Spotify, e poi ottengono una piccola percentuale per ogni volta che un file viene scaricato.
Ma la cosa più importante che Spotify fornisce alle Major della musica è un’altra: dati.
La conoscenza è potere
Nel mondo fisico, una casa discografica sa solo se e quando un album viene venduto. Se e quante volte poi viene ascoltato su uno stereo, in auto, su un PC o un lettore mp3, oppure prestato a un amico, questo non è dato sapere. Con Spotify invece le case discografiche sanno se una singola canzone viene riprodotta da un giovane, un anziano, una ragazza, un uomo, e dove.
Jay-Z pensava di essere famoso soprattutto a Londra, ma in realtà è più famoso a Manchester. Allo stesso modo, si può tracciare l’effetto delle comparsate promozionali in televisione (quelle servono sempre), o scoprire che Rihanna e Lady Gaga si ascoltano soprattutto nel fine settimana. Quando esce il nuovo singolo di un certo artista, su Spotify aumentano gli ascolti di tutte le sue canzoni.
In Svezia il Greatest Hits di Bon Jovi ha venduto 25 copie fisiche per ogni ascolto completo su Spotify. Per Lady Gaga, il rapporto scende a tre contro uno. Per Taio Cruz, il rapporto è invertito rispetto a Bon Jovi: quattro album di plastica venduti ogni cinque ascolti online. Se non sapete chi è Taio Cruz, questa è la dimostrazione di quanto Spotify sia utile per riportare alla legalità il target che finora si è dimostrato più pronto alla pirateria: i giovani.
E anche i giovani, così come i meno giovani, sempre più spesso si accorgono che la pirateria online ha i suoi svantaggi: ogni tot mesi bisogna cambiare servizio, perché quello in uso viene chiuso. I risultati di ricerca spesso non sono buoni, e i file talora nascondono fregature. E anche il tempo da perdere per trovare e scaricare la musica online dopo un po’ comincia a scarseggiare.
(Per la cronaca, quando Daniel Ek iniziò il suo giro di visite alle case discografiche per convincerle ad aderire, i suoi tecnici caricarono nel sistema la loro musica piratata, per avere una demo funzionante da mostrare. Quando gli si racconta questo aneddoto Per Sundin si tappa le orecchie e dice “Non voglio sentirlo!”).
Il segreto del suo successo
Facile, legale, completo: ognuno di questi vantaggi sarebbe impossibile senza la collaborazione delle case discografiche. Internet rende la musica disponibile, ma solo le case discografiche possono renderla comoda.
E ora nell’annuario 2011 dell’IFPI (International Federation of the Phonographic Industry) c’è un diagramma sull’evoluzione della musica online che recita:
Fase 1 – Il download online: la musica sul tuo PC
Fase 2 – Lo streaming online: dal possesso all’accesso