Usciremo presto dall’emergenza se tutto va bene, ma non dalla crisi economica e sociale che, anzi, si preannuncia difficile nei prossimi mesi e dura per molti anni, soprattutto per il nostro Paese, così politicamente fragile su tutti i fronti.
Anche per le nostre imprese sarà una sfida il cui esito non dipenderà completamente da loro. Ciò che un’organizzazione però può fare da subito è puntare sulla crescita professionale come strategia aziendale, cioè migliorare la capacità produttiva e l’efficacia personale dei propri collaboratori attraverso una formazione puntuale e costante.
Anche in un mercato drammaticamente selettivo come quello attuale, la formazione non sarà più un bisogno secondario: è qui che si giocherà la partita dell’efficienza, anche a causa delle nuove metodologie, più o meno forzate, con cui lavoreranno i team a partire dallo smart working, certamente da armonizzare nella struttura organizzativa e nei gruppi.
Il vero valore di un’impresa oggi è la capacità di mettersi in relazione, di fronte ai cambiamenti, sia con i propri clienti interni cioè tutto il personale delle strutture di cui è composta l’azienda, sia con l’esterno cioè con il contesto di mercato vero e proprio, non solo i clienti, ma tutti gli interlocutori che ci aiutano a crescere quotidianamente: fornitori, istituzioni, ambiente sociale.
Le imprese ora devono fare i conti con una liquidità di sistema e di mercato molto compromessa, contenziosi del tutto inediti, ordini in portafoglio che si assottigliano, profitti che si contraggono a seguito delle minori entrate (sconti applicati, insoluti…) e con una somma di costi fissi che, di contro, inesorabilmente si presentano a scadenze regolari.
Bisogna quindi aumentare la capacità di contribuzione a ogni livello (ogni costo deve portare il suo contributo al reddito) e snellire la quantità dei processi; occorre incrementare il rapporto tra capacità produttiva e produttività, eliminare le sacche di inefficienza che non generano valore, né per noi, né per i nostri interlocutori.
Altrimenti diventiamo come la burocrazia delle pubbliche amministrazioni, su cui giustamente oggi puntiamo il dito.
Tra le componenti fondamentali di questo cambiamento strategico, ormai assolutamente necessario, c’è il ricorso all’esternalizzazione, quindi anche il noleggio è sotto i riflettori. Un noleggiatore può diventare volano di efficienza e valore, oppure collo di bottiglia di problemi causati alla clientela. E’ chiaro che i secondi saranno presto eliminati dal mercato.
Ricorrere al noleggio, abbiamo visto, trasforma i costi fissi in costi variabili e certi, e oggi non è cosa da poco.
Esternalizzare però affianca alla logica di riduzione dei costi, quella dell’incremento della qualità. Quindi non è più pensabile ricorrere a un noleggio non professionale solo perché i canoni sono più allettanti: i clienti del noleggio potranno incorrere in un incremento dei costi reali anziché risparmiare (fermi di cantiere per scarsa assistenza, eccetera), una cosa non più tollerabile e che non dovrebbe essere tollerata nemmeno dal sistema stesso dei noleggiatori professionali.
Il contributo delle risorse umane
L’altra componente imprescindibile, strettamente collegata alla prima, è il raggiungimento del più alto livello di contributo da parte del personale, qualsiasi sia la sua natura, tecnica o commerciale; amministrativa o manageriale.
Mediante un’analisi dello stato delle necessità formative, il ricorso alla formazione lo si attua per ottenere un miglioramento netto della produttività attraverso una migliore qualità delle risorse umane, un più alto livello della consapevolezza del proprio ruolo e della propria efficacia nel portare un contributo. Competenza tecnica e soft skills.
La formazione non è il fine ma, se fatta con logica e senso, è lo strumento migliore per rendere ogni persona dell’azienda più motivata e quindi più efficiente nell’esercizio responsabile del proprio ruolo, in grado di relazionarsi correttamente, capire le esigenze degli interlocutori e darne risposta.
Per qualsiasi noleggiatore, le persone e il loro know-how rappresentano oggi l’asset fondamentale, cioè quel capitale da valorizzare ai massimi livelli per poter combattere la sfida della competizione. Non a caso il mercato del lavoro, come abbiamo visto, è stato reso più flessibile anche sul piano normativo, creando di conseguenza una maggiore mobilità; e non a caso le persone migliori vengono contese, indipendentemente dalla funzione che ricoprono. Diciamo che nel nostro settore la questione è un po’ più patologica, checché se ne dica poi ai congressi.
Le aziende quindi devono darsi da fare per fidelizzare i propri migliori dipendenti e ottenere il meglio possibile da tutti, indistintamente.
Crescita e fidelizzazione
Curare un proprio dipendente e metterlo in condizioni di lavorare al meglio può rappresentare la migliore sicurezza affinché egli continui a lavorare con noi.
La formazione gioca, in questo, un ruolo assolutamente primario e non solo per la consapevolezza che lascia al singolo dipendente di aver compiuto, con la nostra attenzione, passi concreti di crescita professionale, ma anche perché genera una dimensione di innalzamento collettivo della qualità e dell’efficacia produttiva. Un circolo virtuoso insomma.
Se, ad esempio, un’azienda si pone come obiettivo l’assoluta attenzione al cliente, questa non deve essere esplicitata solamente dal personale adibito al contatto commerciale, ma deve diventare un tratto caratteristico e distintivo dell’azienda stessa in qualsiasi segmento: da chi risponde al telefono a chi compila un ordine; da chi prende in consegna una macchina per la manutenzione a chi la restituisce al cliente pienamente funzionante, e magari a casa sua. Un segno identificativo, un trademark.
Per arrivare a questo obiettivo però, occorre agire contemporaneamente sugli aspetti delle competenze tecniche e delle soft skills. Che non vuol dire liminare i conflitti, ma saperli gestire. E far circolare le informazioni.
E’ certamente ovvio che un meccanico debba saper far bene il meccanico, quindi aggiornarsi continuamente alle nuove tecnologie e i sistemi di manutenzione. Ma è evidente che, proprio per il suo ruolo di contatto col cliente in una fase delicata, deve anche sapersi mantenere in una relazione profittevole con lui (sia cliente esterno o interno) per arrivare a capire davvero le reali esigenze del suo interlocutore e proporgli le soluzioni perfette al momento giusto.
E magari vendergli anche qualche servizio, oppure conoscere così bene le sue necessità per essere in grado di spiegargli le condizioni contrattuali, le eventuali promozioni in corso, informarlo sulle funzioni organizzative interne e sui valori culturali dell’azienda.
Che la formazione del personale, soprattutto delle società di servizi, sia importante lo viviamo tutti sulla nostra pelle.
Basti pensare, in un’ottica inversa, alle frustrazioni che tutti subiamo quando ci rechiamo magari presso un ufficio pubblico e lo sportello non è mai quello giusto; quando siamo costretti a vivere le peripezie in cui ci conducono i risponditori telefonici automatici, o comunque quando sperimentiamo tutti quei fattori di inefficienza altrui che ci portano, alla fine, a cambiare aria, e cioè fornitore.
Anche fra i noleggiatori, checché se ne dica, circola molta incompetenza e, devo dire, solitamente è accompagnata da un elevato livello di presunzione.
Ogni componente umano dell’azienda deve perciò saper essere un po’ consulente per il suo cliente o per il suo collega, possedere competenze molto diversificate: quelle metodologiche, quelle tecniche, quelle comportamentali (per esempio comunicare con consapevolezza e trasparenza o saper lavorare in gruppo…) e quelle commerciali; il personale, specie quello di contatto a ogni livello, è il terminale ricettore di eventuali nuovi bisogni di consulenza o di prodotti e servizi in generale.
Anche se si tratta semplicemente di chi risponde al telefono o che normalmente registra bolle e fatture.
Formare uomini responsabili
Dando quasi per certo che le competenze tecniche, le prassi organizzative e le competenze di vendita siano già nei piani formativi comuni a quasi tutte le imprese (almeno a quelle che accettano questa sfida) e che siano rivolti a tutto il personale, ci preme qui porre l’accento su quello che rientra nelle cosiddette soft skills, cioè la capacità di comunicare, di entrare in relazioni organizzative più efficaci, di lavorare assieme ad altri per raggiungere un obiettivo che non gratifichi solamente il singolo. E di mettersi in gioco sul piano della leadership.
Quelle competenze, cioè, che migliorano nel complesso il grado di coinvolgimento di ciascuno al progetto aziendale nella sua globalità, alla mission (che deve essere chiara ed esplicitata, per poter essere condivisa) e il contributo di ognuno alla sfida.
Oggi non ci sono alternative: un dipendente è un costo in ogni caso, sia che si senta coinvolto, motivato e proattivo, sia che si senta totalmente estraneo ai processi produttivi e lavori semplicemente rispettando il minimo contrattuale. Quale scegliereste di tenere con voi?
Costi materiali, per l’appunto, perché i costi/benefici dell’uno saranno diametralmente opposti ai costi/benefici dell’altro.
La formazione di persone a rischio di routine, spaesamento o demotivazione è un passaggio fondamentale per trasmettere le metodologia e la cultura che caratterizzano l’identità di un’azienda.
Si tratta di formare soggetti che sappiano prima incarnare e poi trasmettere valori condivisi di qualità e servizio, in ogni segmento aziendale; che sappiano interpretare e sviluppare relazioni organizzative all’interno dell’azienda e comunicare in maniera eccellente all’esterno.
Si tratta di formare persone che sappiano far leva su un miglior grado di capacità di intervento o a un approccio maggiormente coinvolto e creativo verso la ricerca di soluzioni, per sé o per i clienti.
O, ancora, si tratta di individuare e strutturare una formazione che conduca al convincimento di tutti circa l’importanza della condivisione del proprio apporto e delle proprie competenze con gli altri, in vista di una formazione permanente sul campo; una formazione all’assunzione di maggiori responsabilità, anche molto semplici e concrete, che faccia leva su motivazioni più profonde (autostima, ad esempio) rispetto alle solite leve remunerative che fin qui sono state adottate quali elementi motivazionali (incentivi economici, premi…).
Stiamo parlando pur sempre di persone, e le persone si nutrono e si gratificano anche di riconoscimenti morali e di consapevolezza del valore di sé e del proprio contributo alla creazione di un contesto positivo.
Si tratta, infine, di pensare a una formazione che sia in grado di migliorare nelle persone le loro capacità di inquadramento e di comprensione dei problemi degli altri, che sviluppi sensibilità, empatia, trasversalità e visione di insieme, con particolare attitudine nell’applicazione concreta in tempi brevi. Che sappia entrare nella testa dei soggetti per cogliere i bisogni più profondi e soddisfarli, in una logica che crea fidelizzazione.
Ogni persona inserita in un percorso formativo, a ogni livello, deve poter acquisire maggiori competenze, anche tecniche, per ridurre l’incertezza collegata agli aspetti decisionali, applicati alle variabili strategiche o alle scelte che gli competono. E sviluppare al contempo la capacità di saper tradurre tutto ciò in termini di creazione di bisogni o del loro soddisfacimento.
Tutto questo, moltiplicato per ogni singolo dipendente, crea un’azienda decisamente più dinamica, capace perciò di affrontare positivamente qualsiasi contesto difficile e anche qualche inevitabile necessità di cambiamento.
Questo è quello che intendo io per formazione e per business agility che metta le persone al centro.
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