Uber ha recentemente pubblicato dati proprietari secondo cui i suoi autisti guadagnado più dei tassisti tradizionali, ad esempio 17 dollari all’ora a Los Angeles, 23 dollari a San Francisco e 30 dollari a New York. L’analisi è stata commissionata da Uber a un economista di Princeton, Alan Krueger, e ha preso in esame un campione di 601 guidatori Uber di tutti gli USA.
Questi numeri, rilasciati come strumento di promozione di Uber, hanno in realtà scatenato negli USA un dibattito sul ruolo delle aziende del consumo condiviso e sulla loro sostenibilità in termini economici, sia per chi vi lavora che per la società nel suo complesso.
Uber e i suoi sostenitori sostengono che questi ricavi – uniti a una crescita velocissima del numero di guidatori – sono la prova che Uber & soci sono un’alternativa utile e credibile per chi vuole “mettersi in proprio”. Ma i sindacati dei tassisti (ovviamente), a cui però bisogna aggiungere anche alcuni autisti di Uber, sostengono che queste cifre non tengono conto di un elemento molto importante: i costi che i guidatori devono sostenere per svolgere questo lavoro.
L’analisi offre per la prima volta qualche dato interno sulla realtà di Uber, come il numero di guidatori, che negli USA sono oltre 162.000 (per questo calcolo valgono coloro che hanno fatto almeno 4 viaggi a pagamento). Il numero di autisti é raddoppiato ogni sei mesi negli ultimi due anni, e quasi metà di loro possiede una laurea (a differenza dei tassisti, per i quali ciò vale in media nel 19% dei casi).
O con Uber o contro Uber
La crescita di Uber negli ultimi mesi é diventata una sorta di test in base a cui giudicare tutta l’economia del consumo condiviso. Alcuni ci vedono il futuro di tutto il mondo del lavoro, in cui chiunque può usare i propri asset (l’auto, la casa o un altro strumento) per crearsi un proprio lavoro flessibile su misura delle proprie esigenze personali.
I critici, al contrario, vedono in Uber l’ultima spiaggia di coloro che non riescono a trovare un impiego migliore e quindi finiscono per lavorare a cottimo per un’azienda che non garantisce alcun beneficio. Per loro, i numeri di Uber servono a poco.
Uber sostiene che nelle città americane principali i suoi autisti guadagnano in media 6 dollari all’ora più dei tassisti e degli autisti del noleggio con conducente. Ma i critici sostengono che i soli ricavi non sono rappresentativi della situazione degli autisti di Uber, perché questi ultimi devono sottrarre i costi del carburante, assicurazione e gestione della vettura.
E d’altra parte gli stessi autisti di Uber hanno organizzato proteste in alcune città degli USA contro i tagli dei prezzi praticati per conquistare nuovi clienti, che ovviamente minano alla base i ricavi dei guidatori. La critica, portata avanti in particolare da alcuni dei “pionieri” di Uber, ossia i guidatori che per primi hanno aderito alla piattaforma, è che due anni fa si guadagnava bene, perché anche se magari i clienti erano pochi, la tariffa media era elevata: oggi non è più così, e il gioco rischia di non valere più la candela.
L’indagine di Uber sembra invece non evidenziare alcuno di questi problemi: il 71% dei rispondenti ha visto aumentare i propri ricavi, e il 73% dice di preferire questo lavoro flessibile a quello tradizionale, che pure avrà relativamente più sicurezza, ma in cui si lavora con orario fisso (dalle 9 alle 5 orario continuato, come il titolo di un vecchio telefilm) alle dipendenze di qualcun altro. Va aggiunto, a onore di chiarezza, che negli USA di fatto non esiste il posto fisso come lo intendiamo in Europa e in Italia, per cui si può essere licenziati in qualunque momento in pratica in qualsiasi posto di lavoro del settore privato.
Più clienti, più guadagni: semplice, no?
La formula vincente, per Uber, starà nel riuscire ad aumentare il numero di viaggi che ogni guidatore fa nel corso di un’ora, ed è proprio a questo che puntano le riduzioni di prezzo praticate negli ultimi mesi. Aumentando il numero di clienti e di viaggi Uber riuscirà a tamponare la riduzione di guadagno dei suoi autisti per singolo cliente, e al contempo anche quella della sua commissione (che resta fissa al 20% della tariffa praticata dall’autista).
E sembra che questo sia in effetti possibile: oltre all’efficienza di Uber, in genere molto migliore dei servizi esistenti in giro, elementi come l’evoluzione demografica spingono ad esempio verso una progressiva sempre maggiore familiarità delle persone con questi servizi.
Tuttavia resta un punto debole in questo ragionamento: se è vero che il guadagno complessivo degli autisti tornerà a salire con più clienti da portare in giro, questo però significherà stare più tempo in auto e percorrere più chilometri per sviluppare lo stesso fatturato.
E questo porterà all’aumento dei costi per chilometro percorso, ad esempio del carburante e delle manutenzioni. Ma soprattutto, all’aumento dell’impegno degli autisti, che sempre più difficilmente potranno lavorare solo come e quando vorranno.
Ciao a tutti!Arrivo tardi nella discussione, ma sono incappato in questo articolo perchè lavoro nell’ambito dell’autonoleggio e del servizio taxi ed ero a caccia di notizie. Per quanto riguarda Uber secondo me non è così semplice schierarsi pro o contro (specialmente contro), i fattori da tenere in considerazione, come giustamente si fa notare in questo articolo, sono molteplici e non sempre chi critica Uber lo fa con cognizione di causa.