Quando accade un incidente sul lavoro, la prima preoccupazione è quella di mettersi al riparo da responsabilità e risarcimenti frugando tra carte e faldoni, a volte mettendoci una pezza a posteriori con la complicità di qualche “furbo” consulente sul lavoro o, peggio, di qualche rappresentante delle istituzioni ancora più “furbo”.
Aziende e assicurazioni danno poi origine a una battaglia legale e formale alla stessa stregua. Nel frattempo, qualcuno è morto e ci sono famiglie che rimpiangono un genitore, un marito, un figlio.
In questa riflessione vorrei portare alla luce questi “costi” ai quali non si pensa quasi mai, allo scopo di tenere sempre viva la riflessione sull’importanza di prevenire gli incidenti sul lavoro lasciando perdere le carte bollate e il risparmio, talvolta maldestro, di qualche decina di euro, per concentrarci sulle persone a cui è capitato l’incidente.
L’ultimo in ordine di tempo (mentre scrivo, perché certamente ne saranno capitati altri nel frattempo) è il disastro ferroviario di Lodi, già dopo qualche ora imputato all’errore umano, una casistica comoda buona soprattutto a spingere molto in avanti i risarcimenti. Ammesso che si tratti di “errore umano”, la vera causa è sempre a monte: organizzazione insufficiente, procedure superficiali, taglio dei costi di lavorazione.
Ma partiamo dal primo aspetto, quello citato poco fa e cioè che la maggior parte degli imprenditori di piccole e medie imprese sembra aver imparato molto bene a prestare la massima attenzione a ogni forma di risparmio nella conduzione dell’impresa, spesso proprio a scapito dell’aumento dei rischi e delle stesse conseguenze economiche relative a un possibile infortunio o a un fermo macchina dovuto a un danno ambientale.
Con un eccesso di fatalismo si pensa sempre che, tanto, a noi un simile evento non succederà mai e quindi non si fa nemmeno una sommaria valutazione economica delle fragilità che stiamo creando con le nostre stesse scelte, cosa che per un imprenditore risulterebbe invece di facile calcolo. Siamo rimasti ancora ai tempi in cui spendere per la sicurezza è considerato un costo e non un investimento.
Molti datori di lavoro sono sempre abituati a considerare che “tanto ci penserà l’Inail” oppure che “pagherà l’assicurazione”, sottovalutando il fatto che, in caso di incidente, questi soggetti sono al contrario molto ben preparati a mettere in rilievo tutti gli appigli possibili per non pagare. Per non pagare soprattutto le famiglie di chi è morto, che magari risulterà colpevole di qualche mancanza e amen.
Le analisi preventive
Gli imprenditori medio-piccoli e le microimprese, quindi anche tanti noleggiatori che continuano a tutelarsi in modo approssimativo si trovano, di fatto, a preoccuparsi solo dopo che l’evento è accaduto, quando anche gli aspetti formali e burocratici, ai quali non hanno ottemperato nella sostanza o a cui hanno prestato attenzione molto superficialmente e solo alla forma, mostrano improvvisamente una rilevante importanza.
Quella che di solito manca è un’analisi preventiva di ciò che si deve fare in azienda a livello d’informazione e formazione degli operatori, specialmente entrando nel merito degli obiettivi e della qualità della formazione stessa; e la stipula dei contratti assicurativi non è sempre ben vagliata. Il più classico esempio di superficialità è il mancato avviso da affiggere obbligatoriamente in bacheca (due facciate in tutto) riguardo alle responsabilità dei lavoratori, che ha fatto perdere a parecchie imprese cause di lavoro che sarebbero state altrimenti vinte facilmente.
Ma torniamo al tema centrale delle nostre riflessioni, cioè l’analisi dei costi di un infortunio: come si può quantificare il costo di un incidente mortale o invalidante per esempio al 70 per cento?
Proviamo a pensare per quanti anni il lavoro aziendale sarà dedicato quasi al solo rimborso del danno. È tranquillamente ipotizzabile, nelle più classiche fattispecie, un indennizzo anche pari a un milione di euro, spesso superiore. Dove possono trovare questi importi i piccoli artigiani, i titolari di partita iva o anche le imprese di dimensioni un poco più grandi in un contesto scarsamente patrimonializzato come quello di oggi?
Ci troveremmo nella situazione di dover chiudere l’impresa e forse anche di vendere la casa e i beni di famiglia? E, oltre al costo di indennizzo, quali possono essere gli altri costi che andremo a sostenere? Eccone alcuni, giusto per fare degli esempi concreti:
- Ore di lavoro perse da altri dipendenti in conseguenza all’incidente.
- Ore di lavoro per indagine delle cause/analisi (rapporti con gli organi di vigilanza, eccetera).
- Costi per ore di straordinario/sabato.
- Costi per selezione e formazione di nuovo personale.
- Mancato guadagno; diminuzione della qualità dei nostri servizi.
- Spese per forniture di emergenza.
- Penalità contrattuali per ritardi di produzione, blocco cantiere, eccetera.
- Ordini annullati o non portati a casa.
- Blocco della produzione per fermo delle attività.
- Blocco della produzione per mancanza di personale.
- Perdita di competenze aziendali.
- Perdita di mercato per la “cattiva immagine” generata ai clienti su tutti i nostri servizi.
- Spese legali.
- Danni a prodotti e materiali nostri o di terzi.
- Danni a impianti, attrezzature e strumenti.
- Danni a edifici – inquinamento ambientale.
- Costi di sgombero del sito–bonifica.
- Costi di indagine (perito, laboratori eccetera).
- Aumenti di premi Inail e assicurazioni.
I riflessi meno evidenti
Per quanto impietoso, questo elenco è perfino carente, perché in caso di incidente grave l’imprenditore dovrà far fronte a molto altro. Ad esempio, al contraccolpo negativo sul morale dei dipendenti, che si evidenzia con una riduzione dell’attaccamento al lavoro, con posizioni molto critiche nei confronti della proprietà e dei capireparto, con un minor impegno nell’esercizio del proprio ruolo, un minor attaccamento al marchio aziendale, eccetera.
Per non parlare dell’amplificazione causata dai social network e dalla comunicazione non direttamente controllabile. Anche se l’incidente non riguarda direttamente il nostro personale ma, ad esempio, un cliente dei nostri servizi, può riflettersi comunque sulla nostra azienda, in quanto noleggiatori di mezzi carenti di manutenzione e controlli; oppure sull’azienda costruttrice del macchinario, per vizi strutturali fin dall’origine. In questi casi ci si può trovare di fronte a queste altre problematiche:
- Blocco cautelativo del parco macchine circolante e/o modifica gratuita obbligatoria tramite richiamo delle singole unità vendute o di proprietà nella flotta.
- Perdita di immagine (che si riflette inevitabilmente su tutti i servizi che offriamo).
Un incidente, anche se non riguardante un diretto dipendente, può rivelarsi comunque molto costoso. Proviamo a immaginare un evento che provochi un danno ambientale: è facile pensare al blocco dell’intero cantiere o dello stabilimento a scopo precauzionale. Senza magari andare fino a Taranto, pensiamo a un impianto di depurazione che può essere oggetto di fermo cautelativo a fronte di analisi ambientali: il costo di riammodernamento dell’impianto può pregiudicare la vita stessa dell’azienda.
E cosa può costare inoltre il blocco di un cantiere autostradale per poter dare modo ai periti del Tribunale di capire con calma e senza pericolo di inquinamento delle prove cosa sia successo? Fate mente locale e pensate a tutte le casistiche possibili in cui potreste essere coinvolti.
Vi state toccando? Vi conviene piuttosto mettere mano all’organizzazione e convincervi che la sfiga non esiste: molti degli eventi che sto citando a esempio sono invece frutto della superficialità, che ci vede benissimo.
A meno che non ci sia della comprovata malafede, bastava solo un po’ di attenzione, per non chiamarla consapevolezza imprenditoriale. Quanto può costare una disattenzione da parte di un elettricista? Quale elettricista, ancorché assicurato, potrebbe mai pagare la ricostruzione di uno stabilimento con costosi impianti e macchinari, la mancata produzione, il mancato guadagno? O la ricostruzione di un palazzo antico? Vi ricordate cosa ha provocato l’incendio della Cattedrale di Notre Dame a Parigi (patrimonio culturale inestimabile?). Pensate forse che in tutte le aule dove si rilasciano patentini per l’uso di PLE (e dove magari avete mandato i vostri dipendenti) si affronti, ad esempio, il rischio di elettrocuzione?
Io rabbrividisco quando sento soggetti che lavorano da soli e hanno magari due o tre macchine messe in un box di lamiera dichiararsi noleggiatori (qualcuno magari li ha convinti di esserlo realmente).
Guardiamo quindi alla nostra attività e proviamo a pensare a tutto ciò che ci potrebbe accadere: troveremo sicuramente dei punti deboli che, nonostante tutta la nostra buona volontà nel prevenire, possono rivelarsi molto critici per l’azienda. Se lo facciamo, ci risulterà più facile capire che non bisogna trascurare, tra i rischi d’impresa, i costi degli incidenti e tutte le azioni possibili di prevenzione.
I costi sociali
Come imprenditori dovremmo però avere anche una visione più profonda dell’impresa, allargandola al contesto territoriale e sociale in cui operiamo. Ed è questo il cuore della nostra riflessione.
Non voglio trattare qui in modo approfondito i costi sociali che magari in questa sede non interessano; ma ci terrei a osservare che spesso, nelle nostre piccole o medio piccole realtà, l’infortunato può essere un parente, un vicino di casa, un amico, una persona conosciuta. E anche se non lo fosse, non è forse giusto pensare alla sua famiglia, ai nipotini che non potranno godere del nonno, alla vedova che non potrà trascorrere col marito anni ancora importanti della sua vita?
Di questi aspetti non ci occupiamo mai e non se ne sente parlare sulla stampa o ai convegni. Sulle riviste di settore leggiamo però di Certificazione della Responsabilità Sociale e a qualche convegno qualcuno stupisce l’uditorio con frasi altisonanti o filmati inquietanti; ma poi facciamo presto a dimenticare tutto e sorvoliamo. Magari per concentrarci sulle cause in tribunale o sulle difese a oltranza, sperando nella lentezza farragginosa della burocrazia.
Forse non siamo ancora preparati a sentir parlare di Certificazione Etica d’Impresa. Ma se venissimo stimolati con esempi reali di ciò che accade nella vita quotidiana dopo un incidente, e cioè di situazioni di invalidità permanenti, di privazione di affetti e di stenti familiari ed economici, riusciremmo tutti, ma davvero tutti, a porre maggiore e più efficace attenzione agli aspetti della sicurezza aziendale.
E magari a cambiare noi per primi.