Quando il lavoratore gioca contro l’azienda

comportamenti controproduttivi
comportamenti controproduttivi

Due settimane fa abbiamo avviato una riflessione sulla fedeltà dei collaboratori. Come prevedibile, l’articolo ha fatto molto “rumore”. Ci avete chiamato in tanti, qualcuno anche per raccontare un episodio inquietante accaduto il giorno precedente.

Quella del collaboratore infedele è una problematica delicata, che si sta evidenziando come fattore critico anche nel mondo del noleggio. Prima o poi qualcuno dovrà farsene carico, in qualche modo.

Con questo secondo articolo vogliamo toccare un risvolto strettamente connesso al tema, che sta sicuramente a cuore a tutti gli imprenditori e ai capi di azienda. Parliamo di quando ci si trova a dover gestire le problematiche legate ai comportamenti negativi dei propri collaboratori e dipendenti che creano danni all’organizzazione o ai colleghi.

Dati allarmanti

A partire dagli anni Novanta, fenomeni come la frode, il conflitto di interessi, la corruzione, il falso in bilancio, il furto in ambito aziendale, sono balzati sempre più frequentemente all’attenzione di molti e sono diventati fatti di cronaca nazionale. Si tratta di comportamenti aggressivi a danno dell’azienda.

Viceversa, sono altrettanto diffusi comportamenti aggressivi a danno dei lavoratori, quali bullismo o mobbing.

Alcune indagini rilevano che questo genere di condotte sono agite in media dal 9 per cento della popolazione dei lavoratori europei. Un dato che balza al 20 per cento quando parliamo di lavoratori italiani.

Diventa, quindi, importante soffermarsi su questa tematica, oggetto di studio della Psicologia del lavoro che ne analizza le cause e individua le possibili strategie di intervento. Studiare questo fenomeno diventa ancora più cruciale se consideriamo l’impatto economico negativo di tali comportamenti.

Benché sia difficile determinare l’esatto valore, già all’inizio degli anni Duemila, alcuni studi nordamericani sulle Organizzazioni hanno rilevato come i comportamenti messi in atto dai lavoratori a danno della propria azienda siano responsabili del 20 per cento delle perdite economiche subite dalle aziende nel mercato.

I comportamenti controproduttivi in azienda

In Psicologia del lavoro si parla di comportamenti controproduttivi e devianza organizzativa considerando tutte quelle azioni che possono portare un lavoratore a danneggiare la propria organizzazione.

In questa categoria rientrano un ampio spettro di condotte “deviate” che vanno dal prendere pause più lunghe del dovuto, a lavorare più lentamente in modo intenzionale, alle assenze non giustificate, all’arrivare in ritardo o andarsene prima, eccetera; fino ai comportamenti più gravi come la manomissione o il danneggiamento di elementi di proprietà dell’impresa, furto di attrezzature e beni dell’organizzazione, compresa la sottrazione di documenti, contratti o elenchi considerati patrimonio aziendale.

Fanno parte di questo genere di condotte anche il diffondere pettegolezzi, dissimulare notizie false, incolpare altri, comunicare in modo manipolativo, fino alle pratiche di mobbing, abusi verbali e molestie.

Non scopriamo certo l’acqua calda se diciamo che anche il nostro settore vede all’opera soggetti opachi che, ad esempio, vendono elementi di valore dell’azienda per cui lavorano (informazioni o elenchi) ad altre aziende concorrenti, anche usando interposte persone.

Tutti questi comportamenti hanno in comune un elemento: si tratta di azioni intenzionali, quindi non accidentali.

Queste condotte sono agite dal lavoratore e mirano a procurare benefici a se stessi, danneggiando consapevolmente l’organizzazione, oppure i colleghi, i capi, eccetera. Si tratta di azioni che infrangono le regole organizzative, minacciando conseguentemente il benessere dell’organizzazione, dei suoi membri o di entrambi.

Alcuni esempi sono:

  • la devianza produttiva, che fa riferimento a tutti quei comportamenti in cui un lavoratore sceglie intenzionalmente di non svolgere correttamente un compito.
  • il sabotaggio, riconducibile a quei comportamenti che prevedono la manomissione o il danneggiamento di una proprietà dell’organizzazione.
  • il furto da parte dei lavoratori che è riconosciuto come uno dei maggiori problemi nelle aziende.
  • i comportamenti di withdrawal che sono una categoria specifica che si riferisce a tutte le situazioni in cui la quantità di tempo dedicato al lavoro viene ridotta rispetto a quanto richiesto all’organizzazione. In questa categoria rientrano per esempio, l’assenteismo, l’arrivare in ritardo e andarsene prima dal lavoro e il prendersi più pause di quanto consentito, eccetera.

Questi comportamenti colpiscono al cuore l’impresa, compromettendone il funzionamento e sabotando il raggiungimento degli obiettivi.

Perché un lavoratore si comporta in questo modo?

In Psicologia sociale e organizzativa i comportamenti controproduttivi sono spesso considerati il frutto di emozioni negative quali la rabbia e la frustrazione; oppure come una risposta del lavoratore a condizioni ambientali e lavorative percepite come negative. Oppure, più semplicemente, sono comportamenti legati alla persona stessa, che spesso adotta comportamenti privi di elementi etici.

Alcune teorie individuano due diverse cause all’origine di questi comportamenti: motivazioni ostili e motivazioni strumentali.

Nel primo caso, i comportamenti aggressivi ostili sono originati dalla rabbia provata dal lavoratore in una determinata situazione. Si tratta di comportamenti di natura impulsiva e quindi non pianificati e il fine è quello di danneggiare la vittima individuata. Sono azioni “a caldo” che si scatenano come reazioni a una provocazione percepita.

In questo caso, la frustrazione provata dal lavoratore è riferita al contesto aziendale che viene percepito come un ostacolo ai propri obiettivi, compiti o performance. Questa frustrazione determina una reazione emotiva negativa (rabbia o irritazione) che porterebbe alla messa in atto di comportamenti aggressivi.

Nel secondo caso, i comportamenti aggressivi strumentali, sono invece una forma di aggressione più “a freddo”. L’azione è pianificata e l’obiettivo è di ottenere un vantaggio personale a danno della vittima. In alcune circostanze si tratta di azioni messe in atto come risposta alla percezione di un’ingiustizia organizzativa e hanno lo scopo di punirne il responsabile. L’intenzione è quindi di produrre un danno finalizzato al ribilanciamento dell’equità e della giustizia.

Conclusione

Il tema della devianza organizzativa è certamente molto ampio e complesso; la tendenza che riscontro frequentemente nel mio lavoro è però quella di semplificare la questione.

In un contesto organizzativo in cui un lavoratore sia stato riconosciuto come “controproduttivo” la tentazione è di imputare la responsabilità di tutte le condotte negative esclusivamente all’individuo e alle sue caratteristiche personali (che certamente giocano il loro ruolo), con il rischio di fornire una lettura parziale di un fenomeno più complesso e articolato.

Allo stesso modo, pensare che il lavoratore sia una vittima e che tutto dipenda dalle caratteristiche del contesto organizzativo sarebbe altrettanto semplicistico.

Ciò che osservo nel mio lavoro con imprenditori, manager e team in varie tipologie di azienda, è che il comportamento controproduttivo messo in atto da un lavoratore vada considerato come il sottoprodotto di una disfunzionalità del sistema organizzativo in cui egli si trova e con cui interagisce.

Quello che è certo è che, per contrastare i comportamenti controproduttivi, bisogna che il sistema organizzativo se ne faccia carico, non essendo possibile ritenere che la rimozione di una “mela marcia” risolva tutti i problemi ed esoneri dal riconoscimento delle responsabilità di ognuno dei soggetti coinvolti.

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