Quando il dipendente ruba in azienda

furto in azienda
furto in azienda

L’onestà è la miglior politica quando c’è da guadagnarci”.

Vorrei iniziare l’articolo di oggi – il terzo dedicato al tema dell’infedeltà dei collaboratori – con questa massima di Mark Twain, che ci introduce bene in un tema scottante per le organizzazioni: il furto in azienda.

Per comprenderne l’importanza è sufficiente rifarsi alle statistiche, numeri inquietanti che danno contezza del fenomeno. Alcuni dati nord americani stimano che il furto da parte dei dipendenti costa alle aziende tra i 450 e i 600 miliardi di dollari l’anno.

Gli esperti del settore rilevano che circa il 30 per cento dei dipendenti derubi il proprio datore di lavoro e che un altro 60 per cento lo farebbe se ne avesse l’opportunità e la “giusta motivazione”.

Ogni anno i furti commessi dai dipendenti portano alla chiusura di due aziende su dieci tra quelle già esistenti e tre su dieci tra quelle appena nate.

Oltre il 50 per cento dei fallimenti è riconducibile a questo problema.

Il paradosso di tutto questo è che, da sempre, la gran parte delle attenzioni e quindi le energie degli imprenditori, è dedicata alla protezione delle proprie risorse da attacchi esterni all’organizzazione: competitor, new entries nel mercato di riferimento, sviluppi tecnologici a cui si fatica a stare dietro, sicurezza dei dati trasmessi a distanza, eccetera.

Il paradosso è, appunto, che poi si scopre che il più grande pericolo si trova invece proprio all’interno della propria azienda.

Un tabu fuori controllo

Del fenomeno se ne parla poco, per questo possiamo farlo rientrare nella categoria dei cosiddetti “tabù aziendali”. Come tutti i tabù, si fa molta fatica ad affrontare apertamente il tema.

Essere derubati al proprio interno dai propri manager e collaboratori non è esattamente un argomento sul quale ci si voglia soffermare, né tantomeno lo si desidera condividere all’esterno della propria azienda. Eppure è necessario affrontare questa problematica.

Conosco aziende che hanno preso precauzioni pratiche per scongiurare il furto: test prima dell’assunzione, controlli sul passato della persona, osservazioni sul comportamento nei social, sistemi di sorveglianza, e così via. Tuttavia, i dati dimostrano che solo un dipendente su 35 viene colto con le mani nel sacco e meno del 10 per cento di questi viene punito.

I controlli possono certamente ridurre le opportunità di rubare, ma non possono da soli predire i comportamenti disonesti, né motivare quelli onesti.

Un’attività di recruitment accurata, una specifica conduzione dei colloqui volti a vagliare la storia lavorativa del candidato, test psico-attitudinali per rilevare le caratteristiche di personalità e le inclinazioni etiche, aiutano certamente il datore di lavoro a evitare talune problematiche. Purtroppo, però, queste attività di screening iniziale dei candidati sono in grado di dare un certo grado di successo nello scartare i “ladri recidivi”, ma certamente non possono impedire agli attuali dipendenti di continuare a rubare. Dunque, questo approccio è insufficiente.

Chi ruba, perché ruba

furto azienda centroSempre più spesso succede che siano proprio gli insospettabili e fidati manager, che presiedono ai sistemi di controllo, quelli che rubano più frequentemente. Secondo uno studio condotto da KPMG nel 2007, nel 55 per cento dei casi di furto in cui erano coinvolti i top manager non era sorto alcun sospetto in precedenza.

Lo studio evidenzia che, spesso, il datore di lavoro si adagia su una sensazione di tranquillità basata sia sui controlli svolti prima dell’assunzione sia su quelli interni, ritenendo che furto e frode siano estranei alla sua azienda. Oppure che i comportamenti disonesti vengano individuati prima di rappresentare un vero problema.

Un altro studio ha rilevato come le dimensioni dell’azienda siano un elemento influenzante la frode. Infatti, si è visto che man a mano che crescono le dimensioni dell’azienda e che quindi si allenta la supervisione, i furti aumentano.

Un’indagine condotta nel 2002 ha concluso che le persone sono più inclini al furto negli ambienti impersonali, dove cioè la vittima sembra più distante e “vaga”, mentre chi riteneva che la sua retribuzione venisse da un singolo individuo “in carne e ossa” si astenevano dal furto.

Le cause più frequenti

Sicuramente, un elemento che favorisce un comportamento deviato come il furto è il livello di integrità del Management dell’organizzazione. L’etica dei collaboratori rispecchia quella dei capi. Se questi ultimi tollerano condotte deviate o peggio, sono loro stessi artefici di condotte non proprio trasparenti, i collaboratori si sentiranno giustificati ad attuare comportamenti “opachi”, tra cui il furto, ma non solo.

Un’altra causa sta nella cultura prevalente all’interno dell’organizzazione.

Alcune ricerche di psicologia del lavoro sono state condotte intervistando centinaia di dipendenti coinvolti in furti a danno delle aziende e i risultati rilevano come i lavoratori avevano di fatto reagito a un determinato trattamento e alla cultura prevalente.

Impiegati modello avevano derubato l’azienda per vendicarsi con i capi perché si erano sentiti poco apprezzati o trattati male.

Appare paradossale come un dipendente, con un forte senso dell’equità, a volte si possa abbandonare a questi comportamenti quasi per una forma di rappresaglia; oppure per porre rimedio a quella che ritiene un’ingiustizia salariale.

Il furto sul luogo di lavoro e dunque strettamente associato alla sensazione di un trattamento non equo da parte della dirigenza.

Come evitare il furto in azienda

La strategia più efficace per eliminare il furto tra i dipendenti è quella più ovvia e l’abbiamo citata: assumere persone che non rubino. Ma come si può predire chi lo farà e chi no? Molte aziende, lo abbiamo detto, ricorrono a test di personalità ma questi non sono sufficienti da soli a tutelarsi del tutto dall’evenienza.

Fortunatamente, le più recenti ricerche di psicologia del lavoro inducono a ben sperare. Si è, infatti, scoperto che un fattore che è possibile controllare esiste, e appare come un segnale migliore rispetto ad altre variabili attitudinali. Questo fattore è stato definito come il “Supporto Organizzativo Percepito” (Perceived Organizational Support o POS), in quanto coinvolge più direttamente le relazioni tra le persone all’interno dell’organizzazione. È stato dimostrato che può avere importanti correlazioni con il furto sul luogo di lavoro.

Il sostegno organizzativo percepito è “una credenza generale riguardante il grado in cui l’organizzazione valorizza i contributi del dipendente e si preoccupa del suo benessere”. Diventa quindi importante ricompensare e sostenere il collaboratore.

Alcuni psicologi del lavoro parlano di “norma di reciprocità” che consiste nel fatto che quando le persone di sentono sostenute dalla propria azienda, ricambiano questo supporto mettendo in atto comportamenti a beneficio dell’azienda stessa. Viceversa, può accadere il contrario.

Emerge qui il tema del contratto psicologico del lavoratore con il suo contesto organizzativo, che va al di là del contratto firmato al momento dell’assunzione.

È importante, quindi, coinvolgere i dipendenti, incentivarli nel combattere le frodi, facendoli diventare loro stessi protagonisti di questa “battaglia” in difesa dell’azienda di cui fanno parte, facendo leva sul loro senso di appartenenza al team (altro tema scottante), concedendo loro di partecipare maggiormente alle tematiche più cruciali.

Sarebbe utile far partire da loro i suggerimenti sul come ridurre il problema dei furti, facendo trarre vantaggio anche a loro dai risparmi effettuati, stabilendo obiettivi per ridurre le perdite e misurare i progressi. Sarebbe utile anche creare spazi anonimi di segnalazione di comportamenti anomali. Infine, sarebbe opportuno dare un riconoscimento per i risultati raggiunti.

Il “futuro” del truffatore

Vorrei, infine, porre l’attenzione sul fatto che finché il tema del furto in azienda resterà un tabù, verrà quindi vissuto come una “vergogna” della propria azienda, sarà sempre ostacolata la possibilità di “smascherare” il truffatore e così rendergli la vita dura nel suo prosieguo lavorativo.

Superare questo tabù significa in primis aprirsi con il mercato esterno condividendo quanto accaduto anche e soprattutto con i competitors che, in questa “battaglia” diventano per una volta “alleati”. Questa alleanza genererà una circolazione di informazioni su quanto successo e consentirà di porre una “Lettera Scarlatta” sul Curriculum Vitae del truffatore, che lo accompagnerà nei suoi futuri luoghi di lavoro (ammesso che ne trovi!).

Questo approccio, realisticamente dovrebbe impedire un perpetrare del suo comportamento deviante e con esso il dilagare di questo fenomeno così distruttivo per le organizzazioni.

Come Psicologa del lavoro e Coach auspico che questa tematica venga portata alla luce e trattata nelle giuste sedi e con i giusti professionisti, nel modo più appropriato. Oltre a creare un danno economico, essere derubati dai propri collaboratori lascia una ferita forte nel vissuto di tutte le persone delle organizzazioni, che si trovano derubate non solo dei beni aziendali più materiali ma soprattutto del bene più vitale e fondante per tutte le organizzazioni: il senso di fiducia e di sicurezza psicologica del team.

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Tag dell'articolo: furti

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