Il rapper canadese Drake è stato uno degli artisti che, nel 2016, ha scommesso di più sul passaggio del consumo di musica dai formati ormai tradizionali (CD, ma anche l’acquisto digitale sugli store come iTunes) allo streaming. E anche grazie ad alcune iniziative specificamente dedicate a questo nuovo formato (come la pubblicazione di album in esclusiva, proprio dello stesso Drake, ma anche di altri artisti), lo streaming negli USA nel 2016 ha visto una crescita del 76% e il sorpasso sulle vendite digitali per la prima volta nella storia.
A riferirlo è Nielsen Music, società di misurazione dei consumi musicali, secondo cui gli americani hanno ascoltato oltre 431 miliardi di canzoni su piattaforme come Apple Music, Google Play, Spotify, Pandora e Amazon Music.
Sei canzoni, tra cui ad esempio “Work” di Rihanna, hanno superato i 500 milioni di ascolti singoli nel 2016, contro solo tre l’anno precedente. Tra gli artisti più ascoltati, oltre a Drake (recordman da questo punto di vista, con oltre 5,4 miliardi di ascolti), ci sono stati Adele e Prince: quest’ultimo in particolare ha visto un balzo dei suoi ascolti dopo la sua scomparsa, avvenuta ad aprile dell’anno scorso.
La crescita dello streaming è stata più che sufficiente per compensare il declino degli altri formati, e in particolare quello delle vendite digitali: il risultato è stato un aumento dei consumi di musica complessivi del 3% rispetto al 2015.
Il mercato si evolve sempre di più verso il consumo più che verso l’acquisto di musica, e lo streaming sembra, almeno per ora, in grado di compensare la decrescita degli altri formati. Se confermato nel 2017 e nei prossimi anni, questo andamento potrebbe portare a dire che, finalmente, l’industria musicale ha capito che i consumatori sono sempre meno disposti a pagare un prezzo pieno complessivo (ad esempio, 9,99 euro) per un album di cui poi si ascoltano solo due o tre canzoni. Lo streaming è quindi lo strumento migliore per tarare l’offerta ai propri gusti unici e crearsi un’esperienza di ascolto personale al 100%.
Di certo il mercato discografico non tornerà più ai fasti di un tempo. Nel 1999, quando l’industria della musica raggiunse il massimo delle vendite (soprattutto grazie a quelle dei CD fisici), l’intero settore valeva 28,9 miliardi di dollari; oggi vale poco più della metà (15 miliardi di dollari secondo Nielsen Music). Il mercato si è quindi riposizionato su un modello radicalmente differente, e lo streaming consentirà appunto di recuperare, anche se solo parzialmente, un po’ di vendite.
Tuttavia l’uso dei cosiddetti Big Data nell’analisi dei brani ascoltati da ciascun utente potrebbe far emergere nuovi trend di ascolto e portare benefici sia alle case discografiche che agli autori. Ne è un esempio la recente campagna pubblicitaria proposta da Spotify, che ha usato in modo creativo i dati raccolti sui propri utenti per proporre pubblicità divertenti e accattivanti basate proprio su quello che essi ascoltano.