Dopo il noleggio delle capre e lo sharing dei posti più strani al mondo dove dormire (come gli igloo…) ormai ci siamo abituati ai servizi di condivisione di questa o quella cosa, che immancabilmente si propongono di essere “l’Uber di X” o “l’Airbnb di Y”, a volte generando non poco scetticismo.
Eppure ogni tanto arriva sul mercato un’idea di sharing interessante, che, almeno sulla carta, sembra aver davvero individuato un ambito in cui la condivisione può risolvere un problema e mettere d’accordo chi cerca e chi offre un prodotto o servizio.
E’ il caso, a mio giudizio, di Playaya, la prima piattaforma con sito e App studiata per condividere gli ombrelloni, creata nel 2018 a Torino.
Come spesso accade in questi casi (è ad esempio successo più o meno così proprio per Uber), l’idea è venuta ai fondatori partendo dall’esperienza di un disservizio nella vita reale. A loro infatti è capitato, nell’estate 2017, di recarsi in uno stabilimento balneare siciliano, per fuggire dalle affollatissime spiagge libere, e non aver potuto prendere un ombrellone, perché erano tutti già prenotati. E questo nonostante lo stabilimento fosse palesemente semivuoto, segno che molti lo avevano preso in abbonamento e pagato, ma non lo stavano utilizzando.
Perché lo sharing di ombrelloni
Già questo esempio illustra un caso di utilizzo interessante di Playaya, ma c’è di più. Da un lato, infatti, c’è chi cerca un ombrellone, magari per poche ore, meglio ancora se a un prezzo inferiore a quello standard.
Dall’altro, inoltre, c’è chi ha preso in affitto l’ombrellone per qualche giorno, o una settimana, o in molti casi anche un mese o l’intera stagione, e sa già che per un certo periodo non ne usufruirà. Pensiamo al caso:
- di chi abita al mare, e di solito resta in zona, ma magari va via comunque per un paio di settimane durante la stagione estiva;
- di chi per un giorno vuole andarsene a fare una gita da qualche parte;
- di chi ha bambini piccoli, e sa già che tutti i giorni non andrà in spiaggia dopo le 12.00 e prima delle 16.00.
Se poi ci aggiungiamo la possibilità di recuperare una quota anche piccola del costo pagato per l’ombrellone, Playaya diventa una soluzione interessante, anche se magari per un utilizzo sporadico.
E i proprietari dello stabilimento? Anche per loro può essere utile aderire a Playaya, perché è vero che hanno già incassato l’abbonamento a prezzo pieno dal primo affittuario dell’ombrellone, e possono incassare il 20% del valore della condivisione da chi lo userà temporaneamente; ma una spiaggia più frequentata dai turisti genera anche maggiori ricavi dal bar e dagli altri servizi accessori offerti ai bagnanti, ed è questo il vantaggio più tangibile. Inoltre, un cliente magari indeciso se prendere l’ombrellone in abbonamento può sentirsi più tranquillo sapendo di poterlo condividere in alcuni momenti, e un bagnante last minute potrebbe usare Playaya per provare lo stabilimento e tornare il giorno dopo, pagando il prezzo pieno.
Come funziona Playaya
Il funzionamento di Playaya è analogo a quello degli altri sistemi di sharing. Si scarica l’App o si va sul sito e ci si iscrive, poi si cerca un ombrellone nel posto in cui siamo o vogliamo andare al mare, e si prenota. I prezzi giornalieri sono scontati, per i bagnanti last minute, di circa il 30%. Ovviamente con l’App si può fare la ricerca all’ultimo minuto, e anche ricevere delle notifiche se si apre un’offerta vicino a dove siamo.
App e sito sono anche i punti di contatto per i gestori degli stabilimenti balneari e per gli abbonati che hanno affittato gli ombrelloni e vogliono condividerli.
Le proposte di condivisione degli abbonati devono essere verificate e approvate dal gestore dello stabilimento, e possono essere pubblicate o modificate anche all’ultimo minuto (purché non siano già state acquistate da qualcuno).
Uno sharing meno problematico
A differenza di servizi come Uber e Airbnb, Playaya non dovrebbe generare le esternalità negative e i problemi che hanno colpito altri servizi di sharing: gli ombrelloni sono già gestiti in regime di monopolio locale da parte degli stabilimenti, e comunque i gestori ne possono ricavare guadagni ulteriori. Inoltre, non si possono generare forme di “sfruttamento” (come per gli autisti di Uber), perché gli ombrelloni sono noleggiati a freddo. L’unica cosa negativa che può capitare, forse, è ritrovarsi per qualche ora con dei vicini di ombrellone antipatici…
Insomma, secondo me Playaya ha tutte le carte in regola per avere successo nel mercato dei servizi turistici. Nel momento in cui scrivo il servizio è partito dalla Liguria e ha ancora pochi ombrelloni a disposizione. Ma siamo ancora all’inizio della stagione estiva, e quindi può partire col piede giusto nel 2018.