Un incrocio tra una casa, un internet cafè e l’ufficio vecchia maniera, si chiama coworking, nato come modalità per aggirare i limiti della vita d’ufficio e di quella casalinga dei freelance senza “fissa dimora lavorativa”, oggi concepito come spazio condiviso tra più professionisti che operano in settori diversi. L’idea è nata nel 2005 nella Silicon Valley, ma, complice la crisi, sta arrivando nelle metropoli europee, crescendo in maniera esponenziale anche in Italia.
Come funziona? In uno spazio aziendale comune vengono allestite un certo numero di postazioni di lavoro con scrivania, attacchi per il PC, connessione internet e sale riunioni per ricevere ospiti e clienti.
Pagando un canone di affitto relativamente modico, massimo 300 euro al mese, senza caparre e senza basi minime di permanenza, si può stare anche un solo giorno, a fronte di locazioni classiche che chiedono invece contratti almeno semestrali e solide garanzie di solvibilità.
Perché piace? Perché è flessibile, poco impegnativo dal punto di vista burocratico e consente di fare rete con facilità, basta allungarsi per fare due chiacchiere con il “dirimpettaio” di scrivania.
Per chi? Per tutti coloro che hanno bisogno di un posto dove stare, anche momentaneo, ma anche per chi cerca confronto, condivisione e spunti per realizzare delle idee. Da architetti a consulenti di impresa, da imprenditori edili a esperti di pubbliche relazioni, da programmatori informatici a giornalisti, non esiste una categoria rappresentativa per eccellenza, tutti possono far parte di un coworking.
Dove? In Italia, da Milano a Bari, ogni settimana c’è un ufficio che si converte alla missione e si apre all’esterno come spazio in affitto.
Massimo Carraro, coordinatore della rete Cowo, racconta di aver cominciato con l’affitto dell’ufficio milanese rimasto vuoto, per rientrare delle spese della sede centrale della sua azienda. Adesso l’idea di CoWo, partita un anno fa, conta già 29 uffici affiliati in 14 città.
Un esempio che interpreta un bisogno. L’esperimento CoWo, che se vogliamo può essere definito di puro marketing sociale, ha saputo intercettare un’esigenza di mercato, in questo caso quella del lavoro. Guardando ad un cluster di individui che si muovono fuori dai confini delle organizzazioni formalizzate, si percepisce il bisogno di confrontarsi con realtà sempre più destrutturate fatte di free lance, di professionisti indipendenti con i quali condividere e sperimentare in un ambiente che è incubatore di idee e diventa il vero banco di prova prima del contatto con l’esterno.
L’atmosfera informale e collaborativa e il desiderio di incontrare “collaboratori di entusiasmo” fa del CoWo un “brainstorming avanzato”, che alimenta flussi creativi mettendo in campo conoscenze diverse.
E’ la vicinanza che fa la forza in questo caso: i freelance di aree diverse non entrano in competizione, ma spesso si completano, condividendo nuovi saperi, diversamente da quanto accade tra i collaboratori dei tradizionali contesti lavorativi.
Per saperne di più, ecco due siti web in italiano che raccontano esperienze e possibilità di coworking nel nostro paese: www.coworkingproject.com e www.coworkingMilano.com.