Nel precedente articolo abbiamo visto come il format del “funnel” risulta limitato rispetto ai molteplici viaggi che l’utente intraprende prima di effettuare un acquisto: a volte sono percorsi brevissimi (“Uh che bella questa offerta di Amazon, lo compro, mi serve troppo questo cuscino a forma di lama”); altre volte richiedono molto tempo, passando attraverso alcuni ripensamenti e coinvolgono diversi touchpoint.
“So, where do we go now?” cantava Alex Rose sulle note di Paradise City.
In un certo senso, possiamo dire che abbiamo fatto i conti senza l’oste: invece di concentrarci sugli step effettuati dall’utente fino alla conversione, dovremo porre l’attenzione sui protagonisti di questo percorso!
Avete mai sentito parlare di buyer personas o di user personas? Sono dei personaggi astratti ma basati su dati reali e rappresentano un segmento particolare del nostro pubblico di riferimento.
Mario Pagabene, ad esempio, non sarà un cliente reale ma una costruzione che permette di evidenziare quali comportamenti, modi di ragionare, paure e obiettivi hanno tutti i nostri clienti simili al nostro Mario.
Perché farlo? Perché nel momento in cui andiamo a produrre contenuti, fare riferimento alle user personas ci aiuta a renderli più mirati e probabilmente di maggior interesse per i molti utenti rappresentati dal signor Pagabene. Non solo, questo ci obbliga a pensare a tutte le fasi del ciclo di vendita e capire come produrre il contenuto più adatto ad ogni fase (aka, stiamo tracciando il viaggio del nostro cliente).
Come costruiamo l’identità dei nostri clienti?
Prima di tutto dobbiamo raccogliere i dati.
Secondo il metodo di Adele Revella questo dovrebbe avvenire tramite delle chiacchierate o interviste con i nostri clienti reali, dalle telefonate anche estemporanee oppure mediante la compilazione di questionari a conferma o meno delle idee che ci siamo fatti e delle informazioni che abbiamo raccolto.
Ovviamente, l’ascolto attento è fondamentale nella costruzione delle user personas, ma a volte è limitato. Tra le varie persone da intervistare, secondo Revella, dovrebbero esserci anche i clienti che non hanno scelto noi come produttore di servizi o beni, anche se l’ideatrice non fornisce un modo concreto di farlo (probabilmente ci si dovrà affidare a un desk esterno o a una società di ricerca e analisi di mercato). “Ciao, forse non ci conosciamo ma tu hai scelto un competitor (mortacci tua, nda) e vorrei chiederti perché”… Non mi sembra un modo efficace per indagare sulla questione.
Fortunatamente il web ci fornisce alcuni strumenti preziosi come Google Analytics o gli Insight delle piattaforme social, che ci permettono di avere molto comodamente informazioni basilari sul nostro pubblico: lingua parlata, dispositivo utilizzato, sesso, età, provenienza geografica. Non solo: commenti e conversazioni sui social, e-mail e i suggerimenti del customer service: informazioni essenziali (e soprattutto gratuite!).
Una volta raccolti questi dati è bene costruire una sorta di passaporto in cui raggruppiamo i segmenti di pubblico simili e interessanti per noi. I dati socio demografici però arrivano “da lì fino a lì”: mi spiego, è importante sapere che il nostro pubblico è prettamente femminile e tra i 35 e i 60 (quando magari ci consideriamo un brand per ragazze) ma questo non basta. Dobbiamo ottenere delle informazioni qualitative oltre che quantitative e ragionare su come potrebbe svolgersi la loro giornata tipo, quali potrebbero essere i loro bisogni, i comportamenti, i desideri e le paure. L’obiettivo non è, ad esempio, sapere solo che Jessica, 35 anni, è laureata e vive da sola. Ma capire perché Jessica potrebbe desiderare l’acquisto o il noleggio di un’auto, o cosa la potrebbe frenare dal farlo.
Non dimenticatevi in questo passaporto di inserire una foto e un nome: può sembrare una velleità ma aiuta a creare empatia con il signor Mario Pagobene!
Decidere di offrire il proprio servizio a tutti è una strategia che da tempo non porta ad alcun risultato significativo. Anche all’interno di segmenti di pubblico più limitato possiamo trovare gruppi di persone molto diversi tra loro. In questo consiste la vera sfida: diventare antropologi e analisti comportamentali più che marketers! Capire a chi parliamo, a chi vorremmo parlare ma anche con chi non vogliamo avere a che fare, come ad esempio il signor Luigi Pagatardi. Simpatico eh, però….!
Ecco, come sempre, uno spunto di riflessione pratico per voi. Provate a ragionare su due, tre user personas: utilizzate i dati che avete a disposizione e mettetevi nelle loro scarpe, diventate empatici e ragionate su quali potrebbero essere le loro paure, i loro desideri, la valutazione dei risultati. E non solo, quali strumenti, digitali e non, utilizzano per cercare informazioni?
Raccogliete il tutto in una tabella (mi raccomando la foto!) e provate a pensare in che modo la vostra azienda, il vostro prodotto o servizio risponde a queste necessità.
Noi di Rental Accademy siamo animali curiosi! Se vi va, condividete lo studio delle vostre user personas con noi!