Non vi è alcun dubbio nell’affermare che l’attuale scenario politico ed economico presenti variabili che le imprese non possono più controllare, almeno non direttamente dal loro interno.
Su queste pagine abbiamo parlato spesso circa la necessità di dotarsi di precise strategie; tuttavia, in un contesto liquido come quello attuale, sapere come orientarsi necessita di una visione più approfondita delle leve che stanno fuori dall’azienda piuttosto che di quelle legate a organizzazione ed efficienza interna. Può sembrare un paradosso ma mai come ora il mondo industriale sembra possedere una voce flebile e disunita, che poco agisce nel dettare le priorità dell’agenda politica, al di là del gioco delle parti; e mai come ora ora i loro rappresentanti non hanno né il carisma, né il fascino di un profilo “alto”, forse nemmeno la capacità di saper parlare a una platea più ampia per rappresentare l’economia e i suoi settori trainanti e per arginare le minacce che appaiono all’orizzonte. Anche le rappresentanze tradizionali (sindacati, associazioni di categoria) sembrano tagliate fuori dai giochi che contano. Gli attori della nuova economia sono lasciati alle loro capacità intuitive: cani sciolti o appartenenti a network multifunzione che ottengono più e meglio coinvolgendo nuovi interlocutori. Modificando spesso il suo algoritmo, Google sposta ogni volta i pesi sui motori di ricerca; presidiando intere aree funzionali, on e offline, Amazon si avvia a guidare un mercato quasi senza concorrenza (e senza interventi dell’antitrust). I giochi vengono fatti altrove, ma a non essere cambiata è la necessità di scrivere le regole del proprio mercato anziché subirle.
Agire in assenza di norme
Il quadro normativo non appare in grado di tenere il passo di un cambiamento che corre più veloce di ogni ipotesi di regolamentare le novità; così, quando un contesto comincia a sfuggire di mano o a non essere più inquadrabile in modo tradizionale (vedi la sharing economy, l’avvento delle app, il diritto d’autore nell’era del web) i legislatori agiscono d’impulso con mosse protezionistiche che restringono i mercati, anziché ampliarli. Le attuali politiche mondiali, da Trump in giù, dai dazi al controllo della rete, vanno nella direzione contraria rispetto al sogno di una sana glocalizzazione vaticinato qualche anno fa. Eppure, chi fa i profitti maggiori (e non tassati) opera in un mondo di fatto globale e liquido, che sfugge di mano ai confini fisici e che si confonde nei meandri della rete apparendo e scomparendo in modo multiforme a seconda dello sfruttamento migliore delle opportunità possibili. Non solo sfruttandole, ma anche creandole, se occorre. Nessuno sa più come muoversi, nemmeno gli stessi mercati, sempre più succubi di bolle speculative che poco hanno a che fare con l’economia reale. Gli operatori possono così agire con due diverse modalità: contrastando le norme e aggirandole in maniera utilitaristica – una logica che però impoverisce il contesto (lo vediamo nell’applicazione delle norme di sicurezza) – oppure cercando aggregazioni di valore, del tutto nuove e imprevedibili, al fine di costringere a riscriverle e ampliare la fetta di mercato per tutto il sistema.
Per chi opera nel noleggio, l’equivoco è quello di pensare di agire in un ambiente ermetico e ben coibentato. Da una parte è vero che lo sbocco di mercato è territorialmente limitato a priori: l’area di influenza è provinciale, regionale o (quando va bene) nazionale. Dall’altro lato però, l’arrivo delle compagnie multinazionali ha reso chiaro a tutti che nessuno è più un’isola. Inoltre, le aziende più evolute nel settore stanno già sfruttando la tecnologia alla stessa stregua delle company industriali (vedi il caso Zeppelin) creando una globalizzazione di fatto e una divaricazione tra gli operatori tale che non può più essere gestita a livello di rappresentanza univoca: i noleggiatori di grosse dimensioni hanno ancora gli stessi bisogni, gli stessi problemi, le stesse aspettative di un’officina interessata a offrire a noleggio solamente una manciata di macchine?
La logica del pre-mercato
La competitività e le dinamiche concorrenziali in questo settore sempre in crescita fisiologica, non possono quindi essere demandate alla percezione di un eventuale legislatore diligente, che nemmeno lo percepisce il settore (l’unica struttura istituzionale che sembra conoscere bene il noleggio è l’amministrazione fiscale, dati gli adempimenti che pesano sulle aziende). Se è vero che il noleggio è un’attività imprenditoriale trasversale, è drammaticamente vero anche che l’assenza di norme precise di inquadramento degli operatori (patologia tutta italiana) comincia a pesare un po’ troppo. A qualcuno interessa? Pare di no. Si procede per compartimenti stagni, fatalismo e inerzia, tra un evento e l’altro dove incontrare vecchi amici e raccontarsela senza mai scrollarsi di dosso un innato provincialismo a cui ci si è rassegnati. Io spero che non sia così, anche perché nel settore si affacciano le nuove generazioni, con una scolarizzazione più strutturata. Ma intanto si preferisce decorare il tunnel anziché tentare di uscirne fuori.
Proviamo allora a cambiare punto di osservazione: immaginiamo che in questo scenario i successi di un’azienda (o di un sistema di aziende, quindi di un mercato rappresentabile) dipendano dalla capacità competitiva che le aziende sanno mettere in campo non tanto nel mercato stesso, ma nella fase che possiamo chiamare del pre-mercato, cioè il mondo di relazioni e influenze con soggetti capaci di interpretare le regole e le opportunità in modo nuovo e risolutivo, magari di (far) scrivere regole nuove e più adatte all’evoluzione del settore. Proviamo a immaginarci di far parte di un sistema in cui gli attori di questo pre-mercato sappiano ribaltare l’impasse generato dalle croniche carenze normative e nel contempo scardinare le regole imposte dalle vecchie lobby, per intenderci quelle che per fermare il cambiamento continuano a difendere scenari privilegiati che nessuno sembra mai in grado di abbattere. Nel nostro mondo sono due gli esempi eclatanti di questo sistema asfittico: la lobby dei padroncini che ancora tiene in scacco la regolamentazione del noleggio dei veicoli industriali pesanti; e quella dei tassisti che è stata capace di arginare l’avvento di una concorrenza sfuggente come quella di Uber, salvo doversi però adeguare perché il prossimo assalto sarà fatale alla categoria. E’ un mondo destinato a scomparire: nessuno può fermare il progresso, nessuno può fermare Flixbus quando è già diventato un bisogno di massa, ed è lo stesso mercato che dovrà trovare nuove regole per riorganizzarsi.
In questa logica, appare chiaro che è nel pre-mercato dove si giocano le partite evolutive, è qui che si osservano le principali novità nel gioco delle aggregazioni ed è qui che bisogna essere rappresentati. Il vecchio modello associativo che perpetua lo stile “società di servizi” sarà destinato a fallire: chi lo interpreta è così concentrato a garantirsi la propria sopravvivenza che non può che continuare ad allargare la base del proprio bacino di utenza imbarcando soggetti che necessitano di supporti elementari, non di regole da cambiare. Ma così si rischia di perdere di vista il focus rappresentativo essenziale e si finisce per non rappresentare più gli attori che trainano l’intero comparto (i quali cercheranno altre logiche aggregative, trovandole solo nel pre-mercato, da cani sciolti).
I nuovi soggetti aggreganti di successo puntano alla condivisione di interessi non per forza prettamente economici, purché difensori di un sistema di valori capace di cementare l’unione in modo più forte, coinvolgendo le imprese verso un respiro più alto che possa oltrepassare davvero i “confini” e funzionare come leva economica e normativa. Abbiamo già intravisto questo stile nel noleggio di casa nostra, nelle pur timide ma precise politiche gestionali dei soggetti piombati di recente nel settore multi specialista rivolto a edilizia e industria (cfr. Loxam e Kiloutou per capirci) e lo abbiamo visto nelle loro priorità organizzative, laddove si mettono pubblicamente al primo posto tematiche come la sostenibilità e la sicurezza. Temi che, prima di oggi, il sistema imprenditoriale italiano ha mal sopportato, considerati costi inutili piuttosto che investimenti. Temi che, invece, diventano aree strategiche per fare reddito nel futuro. Ci vorrà del tempo per vedere i cambiamenti, ma il cammino tracciato è questo e finirà per coinvolgere non solo i noleggiatori stranieri in casa nostra. Le nuove generazioni lo hanno già capito.
Ma chi sta educando i piccoli e medi noleggiatori italiani a ragionare su questi valori “alti” per costruire il proprio successo nel futuro? Un ruolo primario potrebbe toccare ai costruttori di macchine e attrezzature che si sono già adeguati a questo livello – avendo a che fare con una clientela globalizzata che ha già modificato la propria domanda verso questi valori – e che hanno quindi bisogno di interlocutori evoluti anche da noi.
Quale strada percorrere?
Anche in un mercato che continua a essere locale come quello del noleggio italiano quindi, l’impresa è chiamata sempre di più a interpretare il ruolo di attore sociale, con dei doveri nei confronti dei suoi stakeholder e delle comunità in cui opera, certamente senza perdere di vista l’interesse verso i propri azionisti, che però deve essere perseguito attraverso il valore erogato ai propri clienti. La domanda è sempre la stessa: chi è davvero capace di accompagnare, quotidianamente e pedagogicamente, queste aziende verso, ad esempio, l’abbandono di quella clientela che non sa valorizzare queste energie imprenditoriali (chi non paga, chi paga tardi e male, chi cerca il “prezzaccio” tanto per capirci), contribuendo a consolidare una domanda più sana, fidelizzata e meno dispendiosa? Personalmente, credo sia questo il quadro in cui i noleggiatori debbano riorganizzare il proprio sistema aggregativo e il proprio marketing mix, introducendo un sistema fatto di relazioni trasversali, in cui dialogare costruttivamente con soggetti che perseguono lo stesso valore, per evolversi e ampliare gli spazi del mercato e, finalmente, per creare delle barriere d’ingresso: istituzioni pubbliche, comunità finanziarie, mass media, gruppi di opinione, grande pubblico e altri attori nuovi e autorevoli che dovessero comparire sullo scenario. Occorre guardare oltre il proprio settore per non finire di rimanere senza fiato per aver trainato sul proprio carro chi ci è salito solo perché è un settore che viaggia con liquidità e redditività in doppia cifra.
Per dialogare efficacemente con questi nuovi soggetti, per parlare la stessa lingua evolutiva di chi è influente nel pre-mercato, io conosco un solo percorso praticabile: quello della formazione imprenditoriale specifica e di alto valore, che sappia dialogare allo stesso livello degli interlocutori “altri”, senza sudditanze.