Una manifestazione fieristica dovrebbe dare a un settore e ai suoi operatori più di quello che prende; dovrebbe generare valore, anziché cannibalizzarlo. Figuriamoci due…
Capisco il panico di chi sfoglia l’album delle sue fotografie e improvvisamente non si riconosce più. Capisco lo smarrimento di chi si trova a rincorrere potenziali clienti a colpi di oro, incenso e mirra, dopo averli snobbati per anni (perché erano loro, semmai, a dover rincorrere te). Capisco la competizione, capisco la sfida per dominare, capisco anche una certa dose di concorrenza sleale allo scopo di indebolire l’avversario (tanto siamo in Italia) quando genera una reazione creativa a vantaggio dell’utenza. Ma quello che non capisco è l’idiozia di considerare a oltranza che uno vince se l’altro perde, senza capire che questa cecità finisce per trascinare entrambi sul fondo dell’oceano.
Nella guerra dei poveri tra Made Expo e Saie, quello che prevale al momento è sicuramente l’idiozia, mostrata in tutti i suoi lati. L’idiozia delle tre scimmiette “non vedo, non sento e non parlo”. Di chi gioca una sanguinosa tenzone sulla pelle di un settore già duramente provato da una congiuntura che dovrebbe chiamare tutti a guardarsi negli occhi, anziché metterselo in quel posto.
Le fiere sono nate per favorire scambi di valore, luoghi fisici di incontro fra domanda e offerta. Nella loro logica evoluzione, dovrebbero diventare laboratorio di aggregazioni, scambio di informazioni, diffusione di tecnologia.
Vuoti a perdere
Ma chi organizza le fiere dedicate all’edilizia in Italia è impegnato a grattare il barile su altri fronti, a colpi di informazione grottesca, mistificante e ridondante, considerando probabilmente di continuare a possedere uno status determinante e necessario, una scatola magica, un crocevia da cui è indispensabile passare. Ebbene, la vuotezza (in tutti i sensi) di ciò che si è visto a ottobre nel nostro Paese, dimostra che l’unica qualità creativa di certe menti è la capacità di autolesionismo senza limiti. La vittoria dei numeri, in questo periodo, è la vittoria di Pirro (in Brianza ci sarebbe qualche lettera posta diversamente, ma la sostanza non cambierebbe).
In attesa della Bauma, archiviamo le fiere dell’edilizia italiane come luoghi dove si sono mostrati i muscoli ma non il cervello. E se penso che imminenti manifestazioni di microsettori del comparto, già di fatto inutili negli anni in cui qualche fetta di budget ancora esisteva, vengono annunciate senza alcuna novità, proprio mentre società potenzialmente interessate a esporre cadono come birilli, c’è davvero poco da stare allegri. La cosa più assurda è che gli operatori non alzano la voce e continuano a cadere in questo tranello epocale. Quella più ridicola, alla fine, sono invece i comunicati stampa: un rosario di numeri che ricordano certe consultazioni elettorali di casa nostra, dove naturalmente tutti hanno vinto qualcosa.