Negli ultimi anni abbiamo visto come, nonostante tutti gli ostacoli di varia natura, l’ascesa della sharing economy stia cambiando (in alcuni casi radicalmente) il modo in cui facciamo alcune cose: nell’affitto di case per vacanza al trasporto locale o quello su lunga distanza, ad esempio, con le App che consentono di condividere i propri beni diventa possibile godere di un servizio in modalità completamente nuove. Ne derivano svariati benefici, dalla possibilità di integrare il proprio reddito a quella di risparmiare su alcuni costi, fino a quella di ridurre il proprio impatto sull’ambiente.
Tuttavia, questa ondata di condivisione dipende in modo totale dalla nostra disponibilità a fidarci quasi ciecamente di perfetti sconosciuti. Nonostante i meccanismi adottati dalle varie piattaforme per premiare i comportamenti virtuosi e stabilire un sistema anche minimo di reputazione, esistono ancora ambiti in cui è possibile che si verifichino frodi o altri comportamenti scorretti.
Questo potrebbe essere, in ultima analisi, il vero ostacolo allo sviluppo di tutte le piattaforme del consumo condiviso, almeno fintantoché questi sistemi non saranno così standardizzati nella nostra percezione da diventare il punto di riferimento.
E purtroppo, da questo punto di vista, nonostante alcuni sistemi di base di verifica dell’identità dei partecipanti, le piattaforme della sharing economy sono ancora aperte alla possibilità di essere sfruttate per vere e proprie frodi.
Si tratta in alcuni casi di truffe o comportamenti già perfettamente noti anche nel mondo tradizionale. La presenza delle piattaforme di condivisione allarga però ulteriormente il novero delle persone che potrebbero “cascarci”.
Vediamo insieme tre possibili truffe nel mondo della sharing economy. Sono esempi che arrivano per lo più dal mondo anglosassone, ma nel nostro paese forse ancora non sono arrivate perché la sharing economy ancora fatica ad affermarsi.
1) Case fantasma
Nel settore delle case vacanza da sempre si sente parlare di truffe per cui i turisti che hanno prenotato una casa per le loro ferie, una volta giunti a destinazione, scoprono che essa in realtà non esiste.
La classica truffa della casa vacanza inesistente si è trasferita anche sulle piattaforme di condivisione delle case. Qui il meccanismo si basa sulla capacità del truffatore (che ovviamente si è registrato con dati falsi) di far uscire la vittima dalla piattaforma. Ad esempio, dopo aver ricevuto la richiesta di informazioni, il sedicente proprietario invita il turista a contattarlo per email, poiché non riesce a rispondere rapidamente sul sistema di messaggistica della piattaforma.
Il turista ignaro, ma che vuole assicurarsi il basso prezzo della casa, segue la transazione per email, e viene invitato a usare altre strade per la transazione. Questo magari anche per risparmiare le commissioni sulla transazione che la piattaforma richiede.
Morale della favola: il turista alla fine paga un acconto o tutto l’affitto al truffatore, che ovviamente sparisce con i soldi.
Se prendete in affitto case su piattaforme come Airbnb, diffidate sempre di qualsiasi richiesta (a qualunque titolo) di abbandonare la piattaforma per gestire la transazione in proprio.
2) Riciclaggio di denaro
Nel settore della condivisione è anche possibile utilizzare alcune piattaforme per il riciclaggio di denaro, una pratica che non penalizza alcun altro utente del sistema (se non la piattaforma stessa), ma che costituisce ovviamente un’attività illegale.
In questo caso i truffatori creano due account falsi, entrambi in loro controllo. Dopodiché ne usano uno per “pagare” una condivisione all’altro, attività che nella realtà non avviene ma che consente di spostare denaro di provenienza illecita e farlo apparire come regolare, al costo della commissione praticata dalla piattaforma.
3) Appropriazione indebita
Anche nella sharing economy, tanto quando nel mondo del noleggio “tradizionale”, è possibile sfruttare la consegna del bene condiviso per impossessarsene in modo illecito.
Nel caso delle piattaforme di condivisione, dove l’uso della carta di credito è condizione necessaria per accedere al sistema, i truffatori usano carte di credito e identità false o rubate per aggirare i controlli del sistema. Dopodiché, una volta presa la vettura (ovviamente una di valore elevato) è facile sparire lasciando dietro di sé solo informazioni fasulle.
Che cosa si può fare?
La frode, occorre ribadirlo, non è qualcosa che capita sono online o con le App, anzi: come detto in precedenza, molte di queste truffe sono già ben note nel mondo tradizionale. Tuttavia le piattaforme della sharing economy sono più esposte perché non ci sono interazioni personali e perché i truffatori in questione spesso sono soggetti organizzati dal punto di vista delle competenze informatiche.
Per questo le piattaforme tecnologiche del consumo condiviso dovrebbero mettere in campo alcuni sistemi e strumenti per ridurre questi rischi. Eccone alcuni.
1. Consentire una maggiore verifica degli utenti
Questa è la decisione più scontata, anche se abbastanza costosa da mettere in pratica. Ma in un periodo in cui anche alcuni tra i più importanti social network stanno adottando sistemi di questo tipo (Twitter, ad esempio), maggiori controlli sull’identità dei partecipanti renderebbero tutti più tranquilli (e ridurrebbero anche le truffe ai danni delle piattaforme stesse).
2. Abbandonare la logica del Far West
In genere, seguendo le politiche messe in atto da quasi tutti i siti di eCommerce, anche quelli della sharing economy prevedono nei loro contratti numerose clausole per cui non garantiscono la correttezza delle informazioni fornite dagli altri utenti, e non si assumono alcuna responsabilità.
Questo è comprensibile dal loro punto di vista, ma non aiuta gli utenti. Peraltro questi ultimi già in partenza non leggono mai queste pagine, ma non lo fanno anche perché hanno imparato che sono piene di legalese incomprensibile scritto apposta per scaricare qualsiasi responsabilità dal sito.
3. Non utilizzare strumenti di identificazione forniti da altri siti
Per amore di semplicità, spesso le piattaforme dello sharing consentono di entrare semplicemente con il proprio profilo di qualche social network (ad esempio Facebook). Questo è molto comodo per l’utente (e fornisce altri utili dati sui suoi comportamenti online al gestore del social network). Tuttavia questo rende meno sicura l’effettiva identificazione della persona che dichiara di partecipare al servizio: se il profilo è falso per Facebook, lo sarà anche per la piattaforma di sharing.
4. Mettere gli utenti in grado di difendersi
I singoli utenti sono i veri protagonisti della sharing economy. Fornire loro nuovi strumenti di garanzia della propria identità e di verifica di quella altrui consentirebbe di rendere le piattaforme molto più attrattive e meno rischiose nella loro percezione.
Ne guadagnerebbero non solo tutti i partecipanti, ma anche (se non soprattutto) le App e i siti stessi, che vedrebbero crescere ancora di più la loro utilità e validità per gli utenti.