Anche se può sembrare strano parlarne ora, ci sono buone probabilità che i prossimi dieci anni vedano un progressivo e per certi versi inarrestabile passaggio alle auto senza guidatore. A livello di esperti non c’è molto accordo in merito: c’è chi pensa che ci vorranno decenni, e chi invece ritiene che le macchine autonome arriveranno molto prima di quanto sembra prevedibile ora.
In ogni caso, le conseguenze di questo cambio di paradigma nel mercato automobilistico saranno molteplici, in senso sia positivo che negativo. Sul fronte dei miglioramenti, ci saranno effetti benefici sull’ambiente, sui livelli di sicurezza, sulla produttività delle persone; si creeranno inoltre settori completamente nuovi, che oggi probabilmente non possiamo neppure immaginare. Tutto questo, però, a costo di perdere milioni di posti di lavoro nel settore automobilistico, nel suo indotto e nei settori che usano i mezzi su gomma come strumenti di lavoro.
L’evoluzione del trasporto
Tra i primi elementi che spingono a dire che questa evoluzione arriverà in fretta c’è il fatto che già ora, spesso all’insaputa dei guidatori, le auto prodotte incorporano strumenti che replicano alcune funzioni della guida automatizzata. Il fondatore di Tesla, Elon Musk, sostiene ad esempio che le sue vetture potranno procedere da sole in numerose condizioni ambientali già nel 2017. Per Tesla, ma anche per Google, un’auto completamente autonoma potrebbe arrivare già nel 2020.
Anche se gli esperti sostengono che i consumatori saranno lenti nell’adottare le auto senza guidatore, una volta disponibili la loro diffusione sarà inesorabile, anche se comunque lenta. Alcune ricerche condotte per la banca d’affari Morgan Stanley mostrano che in media le auto attualmente sono guidate per pochissimo tempo, e hanno un costo di gestione sproporzionato al loro uso effettivo. Questo è alla base del successo di Uber e soci: specialmente nei contesti urbani dove ci si sposta di pochi chilometri per volta, il car sharing è più conveniente del possesso della vettura, almeno fintanto che si fanno grosso modo meno di 10.000 chilometri all’anno. Non per niente, secondo uno studio dell’Università di Berkeley, tra chi usa il car sharing la percentuale di possessori di auto propria è la metà di quella della popolazione in generale.
A questo punto, nel momento in cui servizi come Uber si baseranno su auto senza guidatore (e non si vede perché no, dato che agli autisti vanno comunque tre quarti della tariffa pagata dai clienti), in molti contesti metropolitani acquistare una macchina avrà davvero poco senso.
Uno studio realizzato dalla Columbia University ha stimato che con una flotta di “soli” 9.000 taxi Uber potrebbe sostituire tutti quelli oggi in circolazione a New York, garantendo un’attesa media di 36 secondi e un costo di mezzo dollaro per miglio percorso. In questo scenario l’uso delle vetture di proprietà diventerebbe obsoleto, ma anche quello dei mezzi pubblici sarebbe rivoluzionato.
Questo inoltre toglierebbe dalle strade gran parte delle auto tradizionali: secondo PricewaterhouseCoopers ne basterebbe poco più dell’1% di quelle attualmente in circolazione.
La distruzione creativa
In un contesto come quello appena descritto, dove la standardizzazione dei modelli è la cosa più importante, la maggior parte delle case automobilistiche sparirebbe, per lasciare il posto a una o due aziende produttrici di auto senza guidatore, con fortissime economie di scala, che verrebbero rivendute prima di tutto a servizi come Uber.
Anche altri settori legati all’uso delle automobili sparirebbero o verrebbero drasticamente ridimensionati, come ad esempio quello delle assicurazioni auto, quello dei finanziamenti, quello delle riparazioni e dei ricambi, ma anche quello dei parcheggi. In un contesto in cui le auto si guidano da sole, con precisi algoritmi stabiliti secondo i vincoli di legge, sparirebbero anche le multe, sia per sosta vietata che per tutte le altre possibili infrazioni (in alcuni Comuni italiani questo creerebbe un vero e proprio buco di bilancio…).
Ma sparirebbero anche le società di noleggio tradizionale, quelle di NCC e, alla lunga, anche quelle di autotrasporto e tutte le relative figure professionali. Nei soli Stati Uniti stiamo parlando di oltre 10 milioni di posti di lavoro, stimati per difetto.
Eppure questo sconvolgimento di interi settori sarebbe più che compensato da risparmi di costi e miglioramenti di efficienza molto superiori.
Il futuro è roseo, nonostante tutto
Morgan Stanley stima che, sempre negli USA, una drastica riduzione del numero di auto in circolazione e la loro guida automatizzata ridurrebbero moltissimo gli incidenti: eliminandone il 90% si salverebbero 30.000 vite e si eviterebbero oltre 2 milioni di feriti ogni anno. Le auto senza guidatore non sarebbero poi costrette a parcheggiare, ma, specialmente se in sharing, potrebbero continuare a muoversi e trasportare persone senza fermarsi (se non per rifornirsi di carburante), eliminando il problema dei parcheggi, il tempo perso e il traffico procurato da chi si muove lentamente alla ricerca di un posteggio.
L’eliminazione quasi completa del traffico urbano ridurrebbe drasticamente i tempi di spostamento, creando tempo libero da dedicare al lavoro o allo svago. Anche gli spazi che si verrebbero a liberare potrebbero essere dedicati a usi più produttivi e salutari, come ad esempio parchi e giardini.
Sempre in termini ambientali, la combinazione di flotte di auto senza pilota e veicoli elettrici porterebbe benefici enormi: in termini diretti, sempre con riferimento agli USA, la sostituzione di veicoli inquinanti con auto elettriche, perdipiù in numero molto inferiore, eliminerebbe quasi del tutto il 17,6% delle emissioni di sostanze inquinanti, miliardi di dollari in consumi di carburante e anche i consumi legati alla produzione dei veicoli e la relativa domanda di materie prime.
E questo senza contare i benefici indiretti: alcuni li possiamo immaginare (ambulanze che arrivano in pochi istanti sul posto della chiamata, una mobilità migliore per le persone affette da disabilità), mentre ci sono interi settori favoriti da questa evoluzione che forse non riusciamo neppure a immaginare ora, così come quando arrivarono i primi smartphone non potevamo neppure immaginare che un giorno li avremmo usati per sapere a che ora uscire di casa per non perdere un volo aereo, per salirci a bordo mostrando il biglietto acquistato, o per riconoscere le canzoni che passano alla radio.
Nel 1987 i R.E.M. cantavano
It’s the end of the world as we know it, and I feel fine
Visto dal 2015 lo scenario descritto sembra non solo futuribile, ma quasi impossibile. Ma se si realizzerà (anche se fra molti anni), sembrerà davvero la fine del mondo come lo conosciamo, e nel complesso molti, ma non tutti, si sentiranno meglio.