La comunicazione nell’era della creatività digitale

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In questi giorni, nel panorama della comunicazione italiana, c’è un solo grande protagonista: ChatGPT.

Per chi ancora non sapesse di cosa stiamo parlando, si tratta di un modello di chatbot basato su intelligenza artificiale e apprendimento automatico sviluppato da OpenAI e specializzato nella conversazione con un essere umano. Neanche a dirlo, l’azienda che gli ha dato i natali è stata fondata da Elon Musk e Sam Altman.

Sembra qualcosa di futuristico, vero? Beh, in un certo senso, lo è pure. Se non altro, per il semplice fatto che in questi giorni ne è stato sospeso l’utilizzo perché sembra che, da un lato, non sia stata istituita una normativa di rispetto dei dati degli utenti e, dall’altro, non tutti i dati e le informazioni comunicate da questo chatbot corrispondano al dato reale.

Ma il punto centrale del mio articolo non vuole essere la mera analisi di questo strumento. Al contrario, vuole prendere questo esempio per stimolare una riflessione più ampia. Una riflessione generale, che può essere estesa a tante realtà e tanti settori e che, forse, anche nel noleggio può trovare il suo spazio.

La comunicazione del futuro

Qualche anno fa, mentre studiavo comunicazione alla triennale, avevo già un’idea chiara di che cosa significasse comunicare nel digitale. O, perlomeno, lo immaginavo.

Avevo compreso le dinamiche di base, così come avevo assorbito l’idea che la comunicazione cambiasse molto velocemente. Di conseguenza, se nel 2019 credevo che la comunicazione sui social fosse il fantomatico “futuro”, a distanza di quattro anni mi devo ricredere.

E devo farlo anche con un po’ di sconcerto. Ho sempre pensato che l’Intelligenza Artificiale fosse qualcosa di futuristico e che ci sarebbero voluti anni prima di vedere realizzato uno dei tanti progetti che proprio su di essa costruiscono il loro successo.

Certo, sono ben consapevole che ogni giorno ci interfacciamo con tecnologie che, nel loro piccolo, potremmo definire intelligenze artificiali. Ma il caso di ChatGPT, a mio parere, ha accelerato molto i tempi di sviluppo di alcuni dei progetti citati poco sopra.

Comunicare con una tecnologia pensata per conversare con un essere umano è al tempo stesso affascinante e terrificante. È la comunicazione del futuro che è arrivata di gran carriera nella nostra quotidianità. Nel nostro lavoro. Una comunicazione meccanica, lineare…una comunicazione che quasi ci è sembrata divertente e ordinaria, tanto da farci preoccupare nel momento in cui in Italia si è deciso di limitarla.comunicazione digitale creatività

Comunicazione artificiale

Lo scorso dicembre, durante un evento aziendale, una delle relatrici ha proiettato una slide sulla quale era stato scritto del testo. Un testo breve, pulito, professionale. Un testo che descriveva in poche righe l’azienda di cui questa relatrice faceva parte.

Alla sua domanda: “c’è qualcosa che vorreste evidenziare di questo testo?“, la mia mente ha subito pensato a quanto fosse freddo, distaccato e poco personale. Ormai lo sapete, sono una forte sostenitrice delle relazioni, anche quando si parla di comunicazione. Credo che sia sempre necessario comunicare qualcosa, farlo con il cuore. Una comunicazione calda che avvolga chi la legge, o la ascolta.

Nel leggere quel messaggio, per quanto lo ritenessi corretto e fossi consapevole che le informazioni riportate fossero reali, non ho sentito alcuna emozione. Era piatto, non suscitava alcunché. Qualcun altro ha subito evidenziato queste caratteristiche, esponendosi con un giocoso: “sembra scritto da una macchina“.

Beh, era proprio così. Perché vi porto questo esempio? Perché, da quando ChatGPT è esploso nel mondo della comunicazione, non si parla d’altro. Ci sono aziende (ahimé, anche tra i miei clienti) che sfruttano in modo ossessivo compulsivo questo strumento, diventando promotori di una creatività digitale che di creativo ha ben poco.

Ma siamo sicuri che sia davvero così?

AI e creatività: binomio (im)perfetto?

Per rispondere a questa domanda devo scomodare il buon vecchio McKinsey, che nel 2018 aveva approfondito il rapporto tra AI, creatività e storytelling. Per riassumere brevemente questo studio, procediamo per punti:

  • i modelli di machine learning utilizzati hanno analizzato migliaia di video, andando a mappare i percorsi emotivi che i protagonisti sperimentavano durante le scene;
  • le storie così mappate, sono poi state raggruppate in base alla “traiettoria emotiva” più tipica;
  • dopodiché, questi gruppi di storie sono stati correlati alle reazioni che gli utenti dimostravano di avere su Twitter o su altri social media;
  • queste reazioni sono state infine analizzate qualitativamente e quantitativamente.

Ne è emerso che alcune di queste traiettorie emotive risultavano essere più efficaci di altre, andando a suscitare specifici feedback da parte di coloro che avevano visualizzato video caratterizzati da quegli stessi pattern emotivi. Questo significa che le AI possono essere considerate macchine creative?

A mio parere, assolutamente no. Certo, possono essere un supporto a chi ha bisogno di scrivere dei testi: il loro output può essere preso e rielaborato per renderlo più umano, emozionale, vicino agli utenti cui è rivolto. Ma, vi prego, non commettete l’errore di affidare la vostra comunicazione a un’intelligenza artificiale.

Che certo, potrà sicuramente essere intelligente. Ma conosce i vostri clienti quanto voi? Sa di cosa hanno bisogno? È in grado di intavolare con loro delle conversazioni che, a volte, spaziano dal professionale al personale? Come vi sentireste, voi, se una delle aziende cui fate riferimento da anni, vi propinasse una comunicazione fredda, distaccata e poco personalizzata?

Non sarebbe piacevole, no?  Mettetevi allora nei panni dei vostri clienti o dei potenziali tali. Trattateli come degli amici, dei famigliari…fateli sentire a casa. Ricordate che le sensazioni che regalate sono fondamentali, rimarranno impresse nella mente di chi vi legge o ascolta.

Volete proprio che si ricordino di una macchina, quando riaffiora alla mente il vostro ricordo?

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