Come riporta il sito di informazione americano TechCrunch, i ricavi per gli artisti generati da Spotify in Europa sono in media maggiori del 13% rispetto alle vendite di iTunes.
La fonte è Kobalt, un’azienda che raccoglie dati sulle royalty di migliaia di artisti, tra cui alcuni molto famosi come Maroon 5, Lenny Kravitz, Dave Grohl, Max Martin, Bob Dylan, and Macklemore & Ryan Lewis.
La notizia non è poi così sconvolgente, dato che già qualche mese fa il responsabile europeo di Spotify Kevin Brown aveva sostenuto che non mancava molto al sorpasso ai danni di iTunes in Europa. E recentemente il Wall Street Journal aveva sostenuto che le vendite di musica digitale su iTunes sono in calo mediamente del 13-14%.
Apple ovviamente sta cercando di correre ai ripari, anche grazie, come abbiamo già raccontato su queste pagine, all’acquisizione di Beats, che tuttavia non è ancora stata integrata nell’offerta di iTunes negli USA, men che meno in Europa. Sembra inoltre che Apple stia trattando con le case discografiche per ridurre i canoni mensili del suo servizio, che attualmente si aggira sulla soglia tipica di molte aziende del settore, ossia 10 dollari.
Apple ha un asso nella manica derivante dal fatto che, se integrasse Beats nel suo iTunes, avrebbe accesso a una base potenziale di milioni di utenti nel giro di pochissimo: basterebbe che poco più dell’1% di questi aderisse a un’offerta a pagamento (magari dopo un mese gratis di prova) per superare Spotify.
Non tutti gli artisti sono d’accordo
Un gruppo di soggetti che ha un rapporto di odio/amore con i servizi di streaming musicale è sicuramente quello degli artisti. E’ infatti delle scorse settimane l’ultima polemica di un’artista contro questi servizi. La famosa cantante americana Taylor Swift ha infatti deciso di non pubblicare su Spotify e Deezer il suo ultimo album “1989”, e anzi di cancellare da essi la sua discografia precedente.
L’artista considera Spotify un grande esperimento, che però non remunera a sufficienza gli artisti e tutti coloro che supportano questi ultimi nella loro attività creativa e artistica.
Il risultato di questa scelta apparentemente è stato molto buono sul fronte della vendita degli album in formato digitale: con 1,2 milioni di copie vendute in una settimana l’artista ha registrato uno dei pochissimi dischi di platino della stagione, probabilmente capitalizzando quindi sull’impossibilità per gli utenti di ascoltarlo in un pacchetto streaming compreso nel proprio abbonamento (anche se lei sostiene di poterlo dichiarare con certezza).
Daniel Ek, CEO di Spotify, ha risposto a Taylor Swift con un articolato post sul blog aziendale, in cui ha chiarito che l’azienda paga royalty agli artisti per ogni singola volta in cui un brano viene suonato (a differenza delle radio) e che paga anche per quegli utenti che hanno un abbonamento gratuito con funzioni limitate.
Ha inoltre sostenuto che il download di musica (del tipo iTunes, per capirci) sta crollando anche in mercati dove Spotify non è presente (come, fino alla metà di quest’anno, il Canada), e che quindi non è detto che ci sia una correlazione pura tra i due fenomeni.
Resta da capire dunque chi abbia ragione in questo confronto. Una cosa però è certa: il mercato della musica sta evolvendo a una velocità fortissima, imponendo cambiamenti non solo alle grandi case discografiche, ma anche agli artisti, e il “noleggio” della musica in streaming è una forza trainante di questo cambiamento.