Se vi trovate dalle parti di Williamsburg, la zona più di tendenza del quartiere di tendenza (Brooklyn) di una città da sempre di tendenza (New York), potete acquistare mobili di grandissimo design, ricavati da legna riciclata da antichi edifici dell’area e da vecchi barili di bourbon. Ovviamente se avete un sacco di dollari in tasca.
Se invece non siete proprio danarosi, potete scaricare da Internet i progetti per prodotti praticamente identici e farveli costruire da un artigiano (o assemblarli voi stessi).
I designer stanno iniziando ad andare nella direzione dell’open source, ossia nel consentire agli utenti di scaricare da Internet i loro modelli modificabili di oggetti di uso comune come i mobili. Tra i siti che vanno in questa direzione ci sono AtFab, SketchChair e MakeMe. I primi due siti sono specializzati in pezzi di arredamento che si costruiscono combinando pezzi piatti di legno o acrilico: dal sito si scaricano i modelli, che si usano poi con una macchina per taglio CNC (a controllo numerico), uno strumento sempre più comune e disponibile sul mercato. SketchChair offre anche un software che consente di disegnare componenti come gambe di sedia, e testarne le proprietà fisiche.
Secondo Chris Anderson, autore di numerosi libri sull’evoluzione delle nuove tecnologie, così come il web ha reso più democratica l’innovazione delle idee, una serie di nuove tecnologie (come le macchine CNC, ma anche le stampanti tridimensionali) sta rendendo più democratica l’innovazione dei beni. Il risultato è una rivitalizzazione del settore produttivo, il recupero di posti di lavoro che andrebbero perduti e la creazione di prodotti che si adattano perfettamente alle esigenze dei consumatori che se li fanno produrre.
Modelli (di business) a testa in giù
L’evoluzione tecnologica porta con sé uno stravolgimento dei modelli di business. Nel modello tradizionale i designer industriali, se una delle loro creazioni può avere successo commerciale, la vendono a un industriale che ci mette i soldi, e finiscono per avere una quota molto ridotta del valore unitario del bene prodotto, ossia circa il 3% del costo di produzione. Il grosso dei guadagni va all’industria e alla distribuzione. E i prodotti sono standardizzati, senza la possibilità per il cliente finale di intervenire in alcun modo.
Oggi invece le piattaforme di crowdsourcing (condivisione dei finanziamenti per la realizzazione di una iniziativa, come fa Kickstarter) consentono agli utenti di finanziare un progetto e ottenere in cambio qualcosa, come prodotti personalizzati. I designer possono così farsi finanziare, mettersi in tasca i profitti e ascoltare direttamente le richieste del mercato.
Ma c’è di più: negli USA sta nascendo una rete di operatori artigianali o industriali di piccole dimensioni, specializzati nella produzione di piccoli lotti di prodotto, e siti che mettono in contatto questi produttori con i designer che hanno i progetti ma non sanno come realizzarli.
Il grande problema dell’open source è ovviamente la tutela della proprietà intellettuale: il rischio, se i modelli diventano di pubblico dominio, è che tutti usino i progetti per crearsi i loro beni, senza riconoscere alcun compenso a chi li ha creati. Una possibile soluzione è data dai micropagamenti (ossia la corresponsione di una piccola cifra ogni volta che un modello viene scaricato da un archivio). Un’altra modalità è quella “freemium” (free + premium) in cui il modello di base è gratis, ma si pagano le personalizzazioni o i servizi aggiuntivi.
Alla fine i modelli di business che funzionano diventeranno lo standard del settore, e i designer più capaci diventeranno dei veri e propri marchi, con un seguito di clienti affezionati e tutti gli incentivi del caso a proteggere le proprie opere. Il design verrà condiviso e potrà ispirare nuove creazioni, ma solo fino a un certo punto…