Il Politecnico di Milano ha presentato in questi primi giorni di Novembre un rapporto sull’utilizzo del commercio elettronico nel nostro Paese. Qualche numero: la crescita del 45% rispetto al 2005 dovrebbe concretizzarsi nel 2008 in un volume d’affari di circa 6 miliardi di euro, grazie ai 18 milioni di italiani che usano la rete, anche se solo un terzo di questi completano la transazione; in crescita l’abbigliamento (+43%), il turismo (+28%), musica e audiovisivi insieme ai libri (+20%); tutto questo, comunque, rappresenta un decimo di quanto avviene in Gran Bretagna (guarda caso all’avanguardia nell’autonoleggio e nel noleggio in generale) e un terzo della realtà francese.
Le considerazioni fatte un po’ da tutti gli addetti ai lavori si sono concentrate soprattutto intorno a questi temi: la diffidenza strutturale tipicamente italiana a usare la carta di credito elettronica per comprare oggetti che non si toccano si unisce ai limiti tecnologici (internet e banda larga) che ancora affliggono a macchia di leopardo il nostro Paese; in questo modo le grandi firme del commercio e gli operatori più forti rinunciano alla rete che con le sue possibilità ancora asfittiche non attrae investimenti né coinvolgimenti di spessore. A loro volta i potenziali consumatori non sono allettati da un mercato ancora di scarsa personalità.
Chi rompe il circolo vizioso? Qualcuno dovrà pur farlo perché il commercio elettronico proprio in questo periodo di crisi potrebbe costituire un volano per quello tradizionale, esprimendosi come punto d’incontro, come vetrina, come mercato vero, tutte cose che ora non ci sono.
Chi ha un’idea la dica, la diffonda.