Le persone si stanno licenziando in massa, perché?

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La scorsa settimana abbiamo introdotto sulle pagine di Rental Blog il tema della Great Resignation, le dimissioni di massa che hanno sconvolto il mondo del lavoro durante tutto l’anno appena passato.

Ci siamo concentrati soprattutto sui dati e sui numeri di questo fenomeno, per cercare di capirne le dimensioni e perché non sembra destinato a interrompersi tanto presto.

In questo articolo, invece, ci focalizzeremo sulle ragioni di questo trend, e perché il suo verificarsi lascia intravedere la possibilità di un cambio di paradigma nel modo che abbiamo di intendere il lavoro e la ricerca di un impiego.

Le cause delle Grandi Dimissioni

Chi ha osservato il fenomeno in questi mesi, ha individuato sostanzialmente due classi di motivi che possono spiegare perché così tante persone hanno lasciato il proprio lavoro nel corso dell’anno appena passato. 

La prima, a sua volta, racchiude in sé una gamma di ragioni ampie e variegate, quasi tutte riconducibili all’insieme di complicazioni e stravolgimenti che la pandemia ha imposto alla nostra quotidianità, sia personale che lavorativa. 

Per i genitori con figli molto piccoli, ad esempio, è diventato quasi impossibile conciliare l’orario di lavoro con le esigenze legate alla cura dei bambini. 

Guardando all’Italia, anche con il ritorno della didattica in presenza, intere classi possono essere lasciate a casa da un giorno all’altro e per periodi prolungati se anche solo due alunni risultano positivi, e non tutti possono lavorare da casa o permettersi un babysitter per rimediare al problema. 

Per molti, le complicazioni che si accumulano sono tali da far sì che abbia più senso lasciare direttamente il lavoro che dannarsi ogni giorno per trovare il modo di incastrare tutto. A farne maggiormente le spese sono state ancora una volta le madri

Negli Stati Uniti, ad esempio, il numero di donne costrette a lasciare il lavoro è stato il doppio rispetto a quello degli uomini. La conseguenza è stata che, nel 2021, il numero di donne coinvolte nel mondo del lavoro è stato il più basso degli ultimi trent’anni

Casi come questo evidenziano come le norme di genere, in questo caso quelle legate alla cura dei figli, siano tutt’oggi causa di una grande disparità tra uomini e donne in termini di possibilità di carriera e realizzazione personale. 

In certi settori, poi, è stato il drastico aumento del carico di lavoro e dello stress a portare i lavoratori all’esaurimento e alle conseguenti dimissioni. Ma questa è solo la superficie: sono anche molti altri i casi in cui il lavoro sottopone le persone a livelli di difficoltà e malessere tali da spingerli ad abbandonare il proprio impiego. 

Anche in ambienti di lavoro meno congestionati degli ospedali in periodo di pandemia, infatti, le complicazioni imposte dalla stessa hanno fatto la differenza tra una situazione precedente già difficilmente sostenibile e una, successiva, del tutto insopportabile. 

Una cattiva gestione delle difficoltà pandemiche e un’incapacità, da parte delle aziende, di venire incontro alle esigenze di benessere psicologico dei propri dipendenti in un momento così  delicato, hanno rappresentato per molti il punto di rottura definitivo. 

In questo periodo più che mai, una cultura aziendale sana si è dimostrata una condizione indispensabile per mantenere alti i livelli di produttività, morale ed efficienza. Laddove questa condizione è venuta meno, per i dipendenti trovarsi disoccupati e in cerca di un nuovo lavoro è sembrata una prospettiva comunque più desiderabile che continuare in quelle condizioni. 

La situazione italiana

Una ricerca condotta da BVA Doxa sul benessere psicologico dei lavoratori italiani nel 2021 ha fornito risultati molto esplicativi in questo senso. 

Innanzitutto sull’impatto avuto dalla pandemia: con l’arrivo dell’emergenza sanitaria, infatti, è salita all’80 per cento la percentuale di lavoratori che presentano almeno uno dei principali sintomi dell’esaurimento (come una forte sensazione di sfinimento, un aumento del distacco mentale o un calo sensibile dell’efficienza), il doppio rispetto a quella registrata nel periodo pre-pandemico. 

I dati raccolti da BVA Doxa, hanno inoltre evidenziato il maggior interessamento dei dipendenti rispetto al proprio benessere psicologico, soprattutto tra i più giovani.

Il 49 per cento degli under 34 intervistati ha dichiarato di avere, almeno una volta, dato le dimissioni per preservare la propria salute mentale; e il 73 per cento del totale dei partecipanti ha dichiarato di tenere in alta considerazione l’attenzione dell’azienda al benessere psicologico dei dipendenti nella ricerca di un nuovo impiego. 

Ma il dato forse più sensibile riguarda la già citata difficoltà – che per molti diventa impossibilità – di conciliare il lavoro in ufficio con la nuova quotidianità imposta dalla pandemia: 4 intervistati su dieci hanno affermato la propria preoccupazione di fronte alla prospettiva del ritorno al lavoro in presenza, e addirittura il 20 perc ento ha dichiarato che sarebbe obbligato a dare le dimissioni se costretto a tornare in ufficio.

Sempre più persone stanno cominciando a ritenere che il proprio benessere abbia la priorità sul lavoro. 

Tradotto: tutti vorrebbero avere un reddito elevato, ma se per averlo bisogna sacrificare la gran parte del proprio tempo e delle proprie energie e sottoporsi a carichi di stress e pressioni insostenibili, il gioco potrebbe semplicemente non valere più la candela. 

Nel mondo del noleggio, questa cosa è già emersa da tempo: i giovani non amano mettersi a disposizione per alcuni lavori sfiancanti, come ad esempio la manutenzione dei mezzi, o dare disponibilità in turni che li coinvolgono il sabato.

Anche l’associazione IPAF ha lanciato un allarme, che abbiamo ripreso proprio un anno fa in questo articolo.

Quello che le persone, soprattutto i giovani, cercano è un corretto equilibrio tra lavoro e vita privata; vogliono poter svolgere il proprio lavoro al meglio delle loro capacità in un ambiente sano e stimolante, senza che questo precluda loro la possibilità di dedicare del tempo ai propri affetti o ai propri interessi. 

Ma questa, come abbiamo detto, è solo una parte della storia. E la seconda, per quanto collegata, potrebbe avere implicazioni anche più grandi.

É l’arrivo di un nuovo paradigma?

La seconda classe di motivi, infatti, ha riguardato tutti quei lavoratori che, per una ragione o per un’altra, si sono trovati nella posizione di lasciare il proprio lavoro per cominciarne un altro a delle condizioni migliori.

Che fossero davvero tali o in termini economici o, come dicevamo prima, di equilibrio con le proprie esigenze personali.

È stato il combinarsi di questi due fattori a rendere queste possibilità sempre più frequenti. In primis è entrato a far parte dell’equazione il lavoro da remoto, e lo ha fatto in modo dirompente. 

Non che prima non ci fossero gli strumenti tecnologici per farlo, sia chiaro. I lockdown, però, hanno imposto alle aziende l’uso di questi strumenti, e i lavoratori, a cui prima questa possibilità sarebbe stata spesso negata per partito preso, hanno cominciato ad abituarsi ai benefici che questa modalità di lavoro garantisce. 

E’ vero che molti preferiscono ancora il lavoro in ufficio, e che lo smart working non può essere implementato in tutte le professioni. Ma non è questo il punto: ciò che conta è che il lavoro da remoto ha aperto a milioni di lavoratori possibilità che prima erano negate per motivazioni semplicemente geografiche, e i dati fatti registrare nell’ultimo anno dal mercato del lavoro hanno evidenziato che numerosissime aziende sono già pronte a sfruttarle. 

Attenzione: lavorare senza spostarsi da casa è anche compatibile col bisogno delle persone di un mondo con un minore impatto inquinante.

Karin Kimbrough, chief economist di LinkedIn, ha dichiarato in un’intervista alla CBS che i lavoratori sono ora molto più propensi a cercare un lavoro da remoto, e, in tutta risposta, se prima della pandemia i lavori offerti in remoto erano solamente uno su 67, adesso sono addirittura uno su sette

Le conseguenze sul mercato del lavoro

É facile immaginare che questo trend sia destinato a proseguire, ed è qui che entra in gioco il secondo fattore di cui parlavamo. 

La prima conseguenza di milioni di persone che lasciano il proprio posto di lavoro, infatti, è che altrettanti se ne aprono.

Se ci concentriamo sugli Stati Uniti, ad esempio, ci sono migliaia e migliaia di impieghi disponibili, e le aziende sono smaniose di assumere. Il problema – per loro – è che i lavoratori non sono più disposti ad accettare qualsiasi condizione. E qui entrano in gioco valori più profondi che legano il lavoratore alla propria azienda, come gli aspetti del welfare.

Sempre Karin Kimbrough, in relazione a questi aspetti, ha dichiarato: “É come se il contratto sociale sul lavoro stia venendo riscritto, e ora è il lavoratore ad avere in mano la penna. (…) Certo, i lavoratori vogliono una paga e dei benefici migliori, ma stanno anche rivendicando autonomia e flessibilità, soprattutto sui loro orari di lavoro. E i datori di lavoro, piccoli o grandi, devono semplicemente fornire loro una risposta (se vogliono assumerli, n.d.r.)”. 

Alla luce di tutto quello che abbiamo detto finora, si spiega anche uno dei dati che abbiamo introdotto all’inizio, ossia la preponderanza all’interno di questo insieme di dimissionari delle persone nella fascia di età tra i 30 e i 45 anni. 

É proprio in questa fascia, infatti, che si verificano molte delle condizioni tipiche delle casistiche che abbiamo esaminato: genitori che devono conciliare il lavoro con la cura dei figli piccoli, ma anche persone che hanno lavorato abbastanza anni e messo da parte abbastanza soldi per potersi permettere un periodo di inattività.

O che hanno accumulato abbastanza esperienza per poter ambire a condizioni migliori, all’interno di un mercato in cui le aperture sono moltissime e i lavoratori già qualificati sono sempre più richiesti. 

Sarebbe forse presuntuoso pensare che questi cambiamenti non riguarderanno anche la realtà italiana in tutti i suoi settori, non ultimo quello del noleggio

Le aziende hanno bisogno delle persone, e le persone delle aziende. Riscrivere le regole che fino ad ora hanno governato questa reciproca dipendenza può essere il presupposto per un rapporto più edificante e sostenibile per entrambe le parti

D’altronde, se un cambiamento di paradigma è effettivamente in atto – e questo affermano i dati -, non resta altro che governarlo e prenderne le redini per far sì che sia il più produttivo e vantaggioso possibile per tutti. 

Imprenditori, HR Manager, lavoratori: vi riconoscete nella nostra analisi? Se volete esprimere la vostra opinione o fare una riflessione in merito, potete scriverci all’indirizzo redazione@rentalblog.it. Discuteremo insieme i vostri spunti, magari inserendoli in un prossimo articolo sul tema. Vi aspettiamo!

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