Con una decisione che potrebbe avere importanti implicazioni per le sue strategie e il suo modello di business, la Commissione Lavoro della California ha stabilito che una autista di Uber era di fatto una sua dipendente nel periodo in cui ha guidato per la società.
Uber al contrario da sempre afferma che i suoi guidatori non sono dipendenti ma liberi professionisti: in questo modo non deve fornire loro diversi benefit, tra cui quello più importante (e costoso) è costituito dai contributi previdenziali.
La decisione è stata presa all’inizio di giugno dopo una audizione sulla causa tra Uber e una sua ex-autista, Barbara Berwick. Quest’ultima ha citato Uber sostenendo di avere diritto a stipendi arretrati e rimborsi spese per l’uso della sua vettura, e gli interessi. La decisione è diventata di dominio pubblico a metà mese, quando è stata registrata dalla Corte di San Francisco.
I motivi della sentenza
La Commissione non ha infatti ritenuto corrette le argomentazioni di Uber, che sostiene di essere una mera piattaforma tecnologica che mette in contatto guidatori e passeggeri, poiché al contrario è coinvolta in ogni aspetto del processo di funzionamento del servizio.
Secondo la Commissione, Uber infatti verifica e approva chi può guidare, controlla le valutazioni ricevute dagli autisti, gestisce il loro accesso alla App e controlla anche i loro ricavi, stabilendo le tariffe (con il famoso, o famigerato, metodo del surge pricing).
Quindi, secondo la Commissione, l’autista era una dipendente di Uber a tutti gli effetti, e pertanto ha condannato Uber a pagarla 55 centesimi di dollari per ogni miglio percorso (la tariffa standard applicata dall’IRS, l’Agenzia delle Entrate americana, più o meno equivalente al nostro rimborso ACI), più le spese per i pedaggi pagati nell’esercizio della guida. Sommando queste voci, più gli interessi, si è arrivati a una somma di 4.152 dollari.
Uber ha ovviamente presentato ricorso.
Non si tratta in realtà del primo caso del genere: a maggio in Florida il Department of Economic Opportunity aveva stabilito che un guidatore di Uber senza lavoro è un dipendente e quindi ha diritto all’assicurazione contro la disoccupazione.
Il profilo del guidatore era stato disattivato da Uber dopo una causa in merito ai danni alla vettura, e questo aveva spinto l’autista a chiedere di essere rimborsato di questi contributi dovuti in caso di licenziamento.
Va sottolineato che le decisioni prese da una o più commissioni o giudici locali non hanno validità nel complesso degli USA, e men che meno negli altri paesi (specialmente in quelli, come il nostro, in cui vigono sistemi legali radicalmente diversi). Tuttavia se la legislazione vigente negli USA dovesse proseguire e armonizzarsi tra i vari stati, verrebbe a cadere uno dei vantaggi fondamentali di Uber, Lyft e degli altri servizi di questo tipo, ossia la disponibilità di una forza lavoro disponibile a lavorare da freelance, senza coperture pensionistiche, sindacati o richieste di miglioramenti delle condizioni di lavoro.
Un bel po’ dei (tantissimi) soldi che Uber ha ottenuto come finanziamento dai vari venture capitalist che vi hanno investito serviranno quindi per svolgere attività di lobby preso i legislatori americani, perché cambino a suo favore le leggi di riferimento in materia. E diventerà ancora più importante per Uber sviluppare queste benedette auto senza pilota.