É davvero la carenza di manodopera il problema?

Merlo centro formazione
Merlo centro formazione

Una prova pratica al Centro di formazione e ricerca Merlo

Proseguiamo la riflessione avviata la scorsa settimana sulla mancanza di personale e sulle soluzioni concrete che le aziende del settore possono adottare ospitando l’interessante intervento di Paolo Peretti, Direttore del Centro Formazione e Ricerca Merlo e responsabile delle Pubbliche Relazioni del Gruppo. 

Anche tra i lavoratori italiani si sta diffondendo sempre di più la consapevolezza di quanto sia importante la formazione professionale per sviluppare le proprie competenze, crescere professionalmente e riuscire ad affermarsi in un mercato del lavoro sempre più competitivo.

È però altrettanto diffuso, tra i datori di lavoro, il sospetto che dietro queste richieste non ci sia altro che la volontà di migliorare il proprio curriculum per poi andare a cercare condizioni retributive migliori altrove, vanificando così l’importante investimento dell’azienda.

E se effettivamente il fenomeno delle “Grandi Dimissioni” ha evidenziato una diffusa esigenza di condizioni lavorative più soddisfacenti, ciò che viene fin troppo spesso ignorato è che per un dipendente, nel momento in cui si trova già in un ambiente lavorativo appagante, la soluzione preferibile sarebbe sempre quella della continuità, ma solo a patto di avere delle reali prospettive di crescita personale e professionale.

Dal punto di vista della formazione questo si dovrebbe tradurre in percorsi formativi incentrati sugli elementi pratici dell’attività svolta, in grado di fornire un reale sviluppo delle competenze e un contestuale innalzamento del potenziale retributivo del proprio lavoro all’interno dell’azienda.

La formazione dei dipendenti è un’opportunità anche per i datori di lavoro

Dal punto di vista dei datori di lavoro, quindi, la formazione dovrebbe essere considerata uno strumento indispensabile, tanto per valorizzare le risorse umane a propria disposizione quanto per mantenerle in azienda accrescendone al contempo la produttività.

Ecco, “dovrebbe”. Purtroppo la formazione continua a essere considerata solo un costo e una perdita di tempo.

Paolo Peretti formazione professionale Merlo

Paolo Peretti, Direttore del Centro Formazione e Ricerca Merlo e responsabile delle Pubbliche Relazioni del Gruppo

E i risultati si vedono: incidenti sul lavoro che non diminuiscono, personale demotivato, prospettive di crescita professionale limitate o inesistenti e produttività al palo.

Una cosa ormai dovrebbe essere chiara: la formazione è un investimento a tutti gli effetti, e come tale deve essere seria, efficace e frutto di una visione di ampio respiro. E deve anche tenere conto dei bisogni espressi dai lavoratori.

Invece di temere che gli investimenti effettuati per la formazione dei propri dipendenti vadano persi nel momento in cui la persona decide di cambiare azienda, bisognerebbe comprendere che la maggior parte dei lavoratori in cerca di formazione è spinta dal desiderio di restare a lavorare nell’azienda attuale.

E le imprese che investono nella formazione del personale, dal canto loro, non solo traggono notevoli benefici in termini di aumento di produttività, ma motivano anche i propri collaboratori a prendersi un impegno a lungo termine con l’organizzazione.

Un momento difficile per le aziende

Certo, sotto alcuni punti di vista il timore e la diffidenza dei datori di lavoro è comprensibile.

Siamo in un momento storico in cui la concorrenza sul mercato del lavoro è molto forte, e le imprese stanno lottando per adattarsi alle aspettative dei dipendenti, in rapida evoluzione e cambiamento dopo la pandemia.

I lavoratori oggi ricercano un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata, e questo è innegabile. Ed è anche una delle principali cause di abbandono, insieme alle scarse opportunità di avanzamento professionale e a una retribuzione e dei benefit insufficienti.

Al contempo le aziende, produttori o noleggiatori che siano, lamentano grandi difficoltà nel trovare nuovo personale da inserire in azienda.

Il mio dubbio, però, è che tutto questo rumore intorno alla difficoltà di trovare candidati stia mascherando le vere sfide (e opportunità) che le imprese oggi devono affrontare.

Superare la mancanza di manodopera qualificata

La rigidità dei processi di assunzione e di organizzazione dei luoghi e degli orari di lavoro limita fortemente le aziende nella ricerca di candidati con le competenze richieste.

E se a mancare sono i lavoratori qualificati, risulta allora chiaro che le imprese devono superare questa mancanza rivedendo e ripensando il modo con cui affrontano il problema.

Perché se può essere vero che mancano i lavoratori qualificati, l’offerta di manodopera generica invece è in costante aumento.

Ecco dunque che l’unica soluzione effettivamente praticabile diventa predisporre seri programmi di formazione e di inserimento lavorativo che puntino fortemente sulla crescita professionale della manodopera disponibile sul mercato del lavoro che non ha ancora la competenza e l’esperienza necessaria per un’integrazione immediata nell’organizzazione aziendale.

È un investimento oneroso, certo, ma è anche una delle poche soluzioni all’orizzonte. E soprattutto è una strategia aziendale intelligente, perché permette all’impresa di competere in modo più efficace anche in un mercato a corto di personale.

Ma non solo: è anche una opportunità unica per le imprese di diventare il datore di lavoro più ricercato.

La case history del Gruppo Merlo

Noi di Merlo abbiamo applicato questa strategia, e i risultati ci hanno sorpreso. Dal 1° gennaio al 31 marzo abbiamo inserito 65 nuovi collaboratori, quasi tutti privi di esperienza o competenze specifiche per il ruolo a cui sono stati destinati (non parliamo solo di personale operaio ma anche di assistenza, back-office, personale commerciale, tecnico e persino IT).

Questo tasso di assunzioni lo avevamo sperimentato già lo scorso anno, accorgendoci però che il rateo di abbandono entro i primi due mesi dall’assunzione sfiorava il 40 per cento (sì, avete letto bene).

Contemporaneamente era anche aumentato il tasso di dimissionamento dei dipendenti, incluse persone con tanti anni in azienda alle spalle, ed ecco che si è creato il corto-circuito.

Per ridurre l’abbandono dei neo-assunti abbiamo quindi costruito un percorso di inserimento del tutto nuovo.

Il programma consisteva in due settimane fuori dal contesto operativo, organizzate in sessioni formative con l’obiettivo da un lato di fornire ai nuovi arrivati le conoscenze di base della relativa mansione, e dall’altro – e questo è l’aspetto più importante – di motivare il personale a fare proprio lo spirito di appartenenza all’azienda, prendendo coscienza e valorizzando le potenzialità che ognuno già possedeva, anche in modo inconscio.

Seguendo questo metodo, dei 65 assunti in questo primo trimestre del 2023, ad oggi il tasso di abbandono è pari a zero.

Voglio essere ottimista e pensare che il risultato sia dovuto al nostro nuovo approccio.

Certo è che nei prossimi mesi erogheremo corsi con questa impostazione anche a chi è già dipendente da tempo. Se saremo capaci di ridurre il tasso di abbandono anche presso questa fascia di lavoratori, vorrà dire che la strada intrapresa è veramente quella giusta.

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