Con il car sharing, i costi di gestione dell’auto privata (bollo, assicurazione, garage, manutenzione) vengono praticamente azzerati. L’automobile viene quindi percepita non più come un investimento difficile da sostenere, bensì come un servizio a cui ricorrere in caso di necessità, sia per motivi di business che leisure. La semplicità del servizio, l’accessibilità attraverso le nuove tecnologie e la diffusione capillare sul territorio cittadino sono le principali leve che hanno avvicinato sempre più soggetti al car sharing che, di fatto, ha contribuito a scardinare alcuni concetti molto radicati (ad esempio la necessità di possedere una seconda auto), spostando efficacemente il focus sull’uso piuttosto che sul possesso, con benefici economici ma non solo. Sharing mobility, car sharing free floating (a flusso libero) o a postazione fissa, car sharing peer to peer, vehicle sharing, van sharing, sono termini con cui abbiamo a che fare sempre più frequentemente.
In Europa il car sharing ha già coinvolto 1 milione e 700mila automobilisti, che hanno condiviso oltre 22mila vetture. Secondo recenti studi, si prevede che nel giro di tre anni gli utenti raggiungeranno i 15 milioni e le auto coinvolte saranno 240mila. Tra i Paesi europei, la Germania mostra una decisa attitudine alla condivisione, con quasi 800mila utenti e oltre 13mila auto in sharing sul territorio, e una crescita nell’utilizzo del servizio aumentata del 37%, dal 2012 a oggi. Solo a Berlino, il car sharing serve circa 250mila utenti con 2.500 vetture dedicate; seguono Londra, con 220mila utenti e 2.250 auto, e Parigi, con 105mila utenti e 2mila vetture, restando in Europa.
Dopo un avvio lento e problematico durato circa un decennio, in Italia il car sharing ha compiuto dall’estate del 2013 un deciso cambio di passo, vivendo una vera e propria esplosione con una diversificazione della flotta in sharing che oggi annovera varie tipologie di auto (anche elettriche) e scooter: da aprile 2016, il car/scooter sharing privato (sarebbe più opportuno parlare genericamente di vehicle sharing) è presente a Milano, Torino, Verona, Firenze, Roma, Bari. Gli iscritti totali hanno raggiunto le circa 650mila unità, con circa 11milioni di utilizzi e quasi 4.500 mezzi in flotta. I noleggi sono cresciuti del 17% l’anno, mentre le percorrenze sono rimaste in linea con i dati registrati nel 2014, ossia circa 24 minuti di media a noleggio, per una spesa di 7 euro a viaggio. Milano resta la città in cui il servizio è più presente e utilizzato, seguita da Roma e Torino, dalle positive esperienze di Firenze e Verona e dalla recente diffusione su Bari
Il fenomeno, tipicamente privato, ha ampliato recentemente la sua base e anche nel comparto delle flotte aziendali si sta facendo strada, tra le altre (Uber, Bla Bla Car), questa forma di mobilità condivisa. Secondo un’analisi condotta recentemente dall’Osservatorio Top Thousand sull’universo delle grandi aziende clienti, il 20% di queste mette già a disposizione del proprio personale i servizi di sharing pubblico, nel nome della riduzione dei costi; è quasi il 50% delle imprese a fare ricorso al car sharing aziendale o al corporate car sharing, mentre il 70% del campione valuta utile l’integrazione del car sharing nell’offerta di noleggio a lungo termine. Ed è qui che è entrata in gioco Aniasa che, fiutando il business, sta dando una risposta rapida ai propri associati (un comportamento raro per le associazioni del nostro Paese).
Come tutti i settori innovativi, anche il car sharing fatica ancora a trovare attenzione e risposte concrete a livello istituzionale. Il comparto necessita di soluzioni coerenti e un modo nuovo di pensare i servizi. Si dovranno affrontare temi cruciali come la contrattualistica e la normativa, che mostra scenari differenti secondo le città in cui il car sharing opera. E’ necessario rendere il perimetro legislativo di riferimento uniforme e omogeneo su tutto il territorio nazionale, sia per gli operatori privati che pubblici, creando un sistema reale di “mobilità integrata”. Ma questo, pensando al noleggio in generale che non compare neppure nel Codice Civile, sembra quasi un passaggio raffinato. Tra le tante, manca una definizione normativa di “vehicle sharing”, che ricomprenda una categoria più ampia e diversificata dei servizi offerti in sharing, non limitandosi alla sola autovettura ma anche, ad esempio, alle macchine industriali ed edili. Il futuro sarà senza dubbio in questa direzione (basta osservare cosa accade in Germania). Come però spesso accade, prima arriva il mercato e poi (forse) le norme.
Un passo in avanti verso la maggiore diffusione del servizio potrebbe esserci con la previsione del vehicle sharing tra i servizi di pubblica utilità, con la possibilità di godere di un regime fiscale agevolato al 10%. Oltre a questi temi, nell’agenda operativa dell’Associazione per il comparto ci sarà il riconoscimento di questa tipologia di veicoli all’interno del Codice della Strada, soprattutto per la semplificazione delle procedure riguardanti l’accertamento della titolarità alla guida e le modalità di rivalsa tra il conducente e l’azienda che eroga il servizio di sharing nei casi di sanzioni amministrative (multe, rimozioni forzate). Le auto e gli scooter condivisi saranno comunque sempre più identificati come un vero e proprio sistema di mobilità sostenibile, alternativo all’auto privata e complementare al trasporto pubblico, all’interno del quale saranno previsti servizi sempre più innovativi e personalizzati.