Fate largo Uber e Lyft: le start-up del momento nel campo della mobilità condivisa non riguardano le automobili, ma le biciclette. E, parlando di biciclette, i nuovi leader globali del bike sharing non potevano che venire dalla Cina, un paese dove la bici è da decenni il simbolo della mobilità accessibile ovunque, in ambito urbano come nei piccoli villaggi.
I due big cinesi della condivisione delle bici sono Ofo e Mobike, due start-up che, nel complesso, hanno raccolto due miliardi di dollari di capitali e sono valutate più di 4 miliardi di dollari. Ognuna ha messo a disposizione degli utenti da 7 a 10 milioni di biciclette in Cina (dove il loro numero di tragitti quotidiani oscilla tra i 30 e i 35 milioni) e, dopo aver lanciato il suo servizio in più di 100 città, ha iniziato la sua espansione globale. In Italia entrambe sono presenti in diverse città, come Milano, Firenze, Torino, Bergamo e Cremona.
E tutto questo partendo da zero all’inizio del 2016.
Il sistema a flusso libero
La maggior parte dei sistemi di bike sharing, come il Vélib di Parigi, quello di Londra o il BikeMI a Milano, prevedono l’uso di stalli fissi in cui le biciclette devono essere prese e riconsegnate; il punto di partenza e di arrivo non devono per forza coincidere, ma comunque il sistema è legato alla diffusione territoriale degli stalli. Ofo e Mobike invece sono i primi sistemi senza stalli, in cui le bici vengono sbloccate con un lucchetto digitale che funziona inquadrando un QR Code con l’App del sistema. Questo significa che le attività di sblocco e blocco sono leggermente più veloci e che possono essere trovate e lasciate ovunque in città, avendo solo la cura e la decenza di lasciarle in posti civili e disponibili al pubblico.
Anche il loro costo è inferiore a quello medio praticato dai sistemi “tradizionali”: a Londra, ad esempio, l’uso delle bici condivise costa 2 sterline, mentre l’equivalente tariffa di Ofo è di 50 pence.
E la sostenibilità economica?
Sicuramente non avere stalli su cui investire rende questi servizi fattibili, dal punto di vista sia logistico (nelle città in cui ci sono già altri servizi molte delle zone più adatte mettervi degli stalli sono già occupate), sia soprattutto finanziario (minori costi fissi). Ma il vero vantaggio di Ofo e Mobike rispetto alla concorrenza, che consente loro di praticare prezzi così bassi, è presenza di investitori che possono permettersi perdite cospicue per lunghi periodi.
Applicando al bike sharing la logica tipica della Silicon Valley, infatti, il colosso cinese del web Tencent ha investito in Mobike, e il suo principale concorrente Alibaba ha investito in Ofo.
Molti dei loro concorrenti più piccoli sono falliti o navigano in cattive acque. A novembre è successo a Bluegogo, la terza realtà di questo tipo in Cina: i suoi miseri 90 milioni di dollari di finanziamento e le sue “solo” 700.000 biciclette non erano in grado di tenere il passo dei due colossi. Un altro operatore è fallito dopo che il 90% delle sue bici è stato rubato dopo il lancio.
Ma neppure Ofo e Mobike registrano profitti, nonostante la crescita vertiginosa del mercato cinese del bike sharing. Le due aziende sostengono di poter già essere profittevoli allo stato attuale delle cose, ma che le loro spese per l’espansione sui mercati globali stanno erodendo tutti i loro profitti. Il mercato può inoltre crescere ancora, e di molto.
In effetti l’assenza di stalli rende molto meno oneroso lanciare questi sistemi: questo consente tra l’altro di non dover per forza gestire con appositi furgoni lo spostamento delle bici in eccesso dagli stalli pieni a quelli vuoti. L’App, inoltre, ha dei costi di creazione e mantenimento abbastanza ridotti, che possono essere spalmati su milioni di bici ogni anno. Restano ovviamente i costi di manutenzione e gestione delle bici (specie in caso di atti vandalici o incuria degli utenti, come purtroppo accade in tutto il mondo).
Alla ricerca di nuovi ricavi
A questo si può poi aggiungere che ci sono molte altre forme di ricavo a cui Ofo e Mobike potrebbero in futuro attingere. Le due aziende ad esempio in questo momento hanno raccolto una grande quantità di soldi che giacciono inutilizzati, sotto forma di cauzioni e altri fondi, nei conti digitali degli utenti. Al momento non si sa bene che cosa possano farsene, anche perché le normative in merito non sono chiare, ma un’ipotesi potrebbe essere quella di prestarli.
Un’altra idea è quella di gestire anche servizi di logistica in modo condiviso, offrendo agli utenti la possibilità di effettuare tragitti gratis o di ottenere piccoli pagamenti in cambio del trasporto di pacchi. Mobike già ora in alcune città della Cina incentiva lo spostamento delle bici dalle zone di forte domanda a quelle meno servite offrendo dei piccoli premi in denaro (chiamati “buste rosse”).
La pubblicità sulle bici è poi un’altra possibile fonte di ricavi, anche se non particolarmente innovativa. Più nuova e digitale sarebbe la possibilità di offrire buoni sconto digitali per i negozi che l’utente incontra sul suo tragitto (Mobike lavora già su questo tema con McDonald’s e il sito di eCommerce JD.com).
Ma la fonte di valore più elevato consiste ovviamente nell’uso dei dati raccolti, specialmente da parte di Alibaba e Tencent. Le due aziende già ora godono del far parte di questi grandi gruppi. Ofo, ad esempio, usa il sistema di valutazione dell’affidabilità del credito di Alibaba per offrire bici senza cauzione ad alcuni utenti, ma si potrebbe fare ancora di più. Combinare anche di dati su tragitti e spostamenti con la vastissima mole di dati che Alibaba e Tencent già hanno sugli utenti (perlopiù in Cina) potrebbe darne un’immagine ancora più chiara. Per ora, tuttavia, Mobike dichiara di non cedere i propri dati a nessuno.
Ipotesi fusione?
Da ultimo, non è da escludere che anche per il bike sharing l’esito della guerra tra i due colossi cinesi sia il medesimo registrato per il ride sharing: la fusione. In Cina infatti alla fine Uber se ne è andato, cedendo le sue attività a Didi Chuxing in cambio di una parte del suo capitale.
I rumors di una possibile fusione vanno avanti da settimane, ma non si è mai avuta alcuna conferma concreta. Molti investitori nelle due aziende sarebbero d’accordo, per annullare in un colpo solo tutti i costi della competizione, sia in Cina che nel mercato globale. Ma per ora nessuno dei due concorrenti è disposto ad ammetterlo, forse anche per la forte mentalità competitiva che caratterizza le aziende cinesi.
Ma chissà, globalizzandosi forse anche loro acquisiranno un po’ di sana (si fa per dire) mentalità anti-competitiva all’italiana, e ci ripenseranno…