Possibile che nel 2017 si debba ancora redigere un manuale di istruzioni per l’utilizzo civile delle biciclette in condivisione? La risposta, purtroppo, è si, soprattutto oggi, dove anche abitanti di città come Milano, abituati allo sharing, non hanno ancora imparato del tutto il concetto di condivisione.
Qui potremmo aprire una parentesi infinita sul paradigma della proprietà pubblica vs. proprietà privata. Nella nostra concezione, non sappiamo per quale ragione, è stato istigato il concetto che ciò che appartiene alla comunità non appartenga a nessuno e, di conseguenza, possa essere preso, rovinato, maltrattato, vandalizzato e distrutto. Una faccenda tutta italiana, perché per la nostra cultura, l’individuo viene prima del gruppo. Se pensiamo ad altri Paesi, soprattutto quelli asiatici o nord europei, il bene della comunità è un valore comune.
Nessun uomo è un’isola
Pensiamo al Giappone, dove il concetto di individualità è totalmente diverso dal nostro. Il singolo quasi non esiste al di fuori del proprio gruppo di appartenenza e i gruppi, a loro volta, sono inseriti in osmosi in altri gruppi sempre più grandi, fino ad arrivare al più grande di tutti rappresentato da tutti i giapponesi, nessuno escluso.
Un concetto di popolo che sembra difficile da radicare nelle culture occidentali, dove invece l’individuo, la proprietà privata e il possesso sono valori imprescindibili. Sentiamo la necessità di proteggere ciò che è nostro, ma allo stessa tempo non siamo in grado di rispettare ciò che appartiene a tutti dimenticandoci che, a ben vedere, è anche nostro, dato che è stato acquistato con soldi pubblici, quindi quelli che abbiamo tirato fuori noi. Perché?
Torniamo a Milano, l’idea delle biciclette free floating era davvero interessante, anche noi lo avevamo presentato con entusiasmo. La possibilità di prendere e lasciare le biciclette dove si era più comodi, era un vantaggio non indifferente. Certo mai ci saremmo aspettati che qualche incivile – ma forse bisognerebbe cominciare a chiamarli imbecilli – decidesse di parcheggiarle sul fondo del naviglio. O che qualche furbetto le legasse all’ingresso di metropolitane per poterle riutilizzare alla stregua di un mezzo privato.
Prima di parlare di consumo condiviso e di sharing economy, forse andrebbe spiegato per bene cosa si intende per condivisione e proprietà, partendo proprio da una buona e sana educazione civica perché, lo ripetiamo, come diceva John Donne “nessun uomo è un’isola completo in se stesso, ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto”.
L’Italia ha optato molti anni fa invece per l’eliminazione dell’educazione civica come materia scolastica. Un impegno di un’ora alla settimana, che comincia a costare caro in termini sia economici che di immagine di civiltà del Paese.