E’ di qualche giorno fa la notizia che AIrbnb ha perso il suo ricorso al TAR contro le disposizioni della c.d. “Legge Airbnb” del 2017 sulla tassazione degli affitti di breve durata.

Foto di Alberto Bigoni
La Legge in questione stabilisce infatti che i contratti di affitto tra privati (persone fisiche) di durata inferiore ai 30 giorni, anche quando stipulati tramite piattaforme digitali, proprio come Airbnb o Booking.com, sono soggetti a una cedolare secca del 21%, che deve essere riscossa proprio dalla piattaforma che agevola l’incontro tra domanda e offerta.
Airbnb si era subito opposta a questa norma, rifiutandosi di comunicare all’Agenzia delle Entrate i nominativi dei suoi host (i proprietari delle case in offerta in affitto). Il motivo principale è che questo obbligherebbe Airbnb, che in Europa ha sede in Irlanda, dove le tasse sono molto più basse, ad aprire una sede in Italia.
Un altro motivo altrettanto valido è che, ovviamente, i soggetti interessati ad affittare la propria abitazione senza dichiararne i ricavi potrebbero “fuggire” da Airbnb, privandola delle relative commissioni, pur di restare sconosciuti al fisco. Una volta che si è identificati come imprenditori, infatti, oltre a dover pagare le tasse per i proprietari aumenta anche il rischio di essere sottoposti a controlli successivi anche su altri temi (ad esempio il rispetto delle norme comunali, la sicurezza, eccetera).
Non stupisce quindi che altre piattaforme abbiano cambiato il proprio modello di business, smettendo di gestire i pagamenti pur di non dover fungere da sostituto di imposta, e che Airbnb fosse così contraria alla sua applicazione.
Ma la bocciatura del ricorso al TAR implica che la norma va applicata nella sua interezza, anche se Airbnb dichiara di essere discriminata perché è rimasta l’unica piattaforma a essere toccata dal provvedimento, che tra l’altro spingerebbe gli host a spostarsi su altri sistemi meno trasparenti, ad esempio basati sull’uso dei contanti.
Airbnb per la promozione locale
Su un altro fronte, più positivo, è di qualche settimana fa la notizia che Airbnb sta supportando la cittadina lucana di Grottole nella sua ricerca di una soluzione al problema della desertificazione dei piccoli borghi montani. Queste aree rurali, infatti, nonostante il fascino naturale e i panorami a volte spettacolari, spesso non offrono grandi opportunità lavorative. All’abbandono da parte di alcuni cittadini (in primis i più giovani) fa seguito lo spopolamento, in un circolo vizioso da cui è difficile uscire.
Ma il turismo, se ben gestito e promosso, può aiutare i territori rurali a ridurre questo rischio di desertificazione.
L’iniziativa di Grottole è partita con lo sviluppo di un albergo diffuso (una struttura ricettiva complementare in cui i turisti soggiornano in alcune case in precedenza sfitte, godendo di servizi centralizzati in una struttura ubicata in un punto facilmente raggiungibile da tutte). Un approccio che non prevede la costruzione di strutture ex novo ma lo sfruttamento di ciò che c’è già, in una logica più integrata con l’area locale.
Grottole, in particolare, ha una popolazione di soli 300 abitanti e 600 case sfitte, e il suo Sindaco stava cercando un modo per preservare la sua storia. Obiettivo della comunità, inoltre, era trovare non dei semplici turisti ma persone disposte a vivere un’esperienza più integrata con il paese, e magari anche a portarvi nuove competenze.
E qui entra in gioco Airbnb, che nel 2016 aveva già stretto una partnership con la città di Civita di Bagnoregio, si accordata con il Comune (attraverso l’ente di promozione Wonder Grottole) per supportare la rivitalizzazione di quel borgo. L’accordo prevede che l’azienda finanzi l’acquisto da parte del Comune di tre edifici da convertire in un nuovo centro civico. Inoltre finanzierà un periodo di pausa sabbatica per quattro persone che, a fronte della copertura delle spese (fino a 1.000 dollari al mese) accetteranno di trasferirsi a Grottole e di “insegnare” ai residenti come creare un’offerta di alloggio e di esperienze turistiche da vendere su Airbnb. Naturalmente, oltre a questo l’azienda procurerà al Comune una buona dose di pubblicità, per sviluppare più flussi turistici in futuro.
Iniziative come queste, che non generano alcun profitto per Airbnb, non sono per essa una novità (ce ne sono state altre in Italia e in Giappone), e possono da un lato considerarsi azioni di responsabilità sociale di impresa, ma anche di sviluppo di business per il medio lungo termine.
Al di là dell’effetto positivo a livello di immagine, infatti, non è escluso che queste attività possano fare da apripista nell’inserimento sulla piattaforma di forme come l’albergo diffuso, che magari non sono nuove per il mercato italiano, ma che possono essere innovative a livello globale se abbinate con l’esperienza genuina del territorio che le accompagna.
Per i turisti si tratta di una visione interessante del futuro del viaggio. Se Airbnb procederà su questa strada, i pacchetti vacanze di domani potrebbero non limitarsi alle crociere o ai parchi divertimento. Ai turisti verrà offerta la possibilità di soggiornare in un villaggio altamente instagrammabile, di cui forse non hanno mai sentito parlare, per incontrare la sua gente, mangiare il suo cibo, vivere la sua cultura, e sì, prenotare tutto tramite Airbnb con la sua App o il suo sito.
Io sono un host e da quando e’ uscita questa legge in Italia ho deciso di portare il mio business altrove. Come al solito, l’Italia fa le sue mosse anti-progresso…
Siamo d’accordo con te: il protezionismo lobbistico con cui si interviene per “fermare il progresso” è una piaga tutta nostra.
Ciao
PA Cantù