L’automobile non solo ha rivoluzionato la nostra vita, il modo di lavorare, l’organizzazione del sistema industriale ma nel corso del ‘900 è andata ben oltre, e ben presto, la configurazione di mezzo di trasporto: è diventata sia l’oggetto di un massiccio sfruttamento consumistico a disposizione delle classi medie e medio-basse, sia il simbolo di un’appartenenza elitaria, certificata da artisti della carrozzeria e del motore, bravissimi nel dare un’identità personalizzata anche alla produzione in serie.
Poi, questo mezzo che ha permesso a tutti di sentirsi più liberi, di muoversi, di conoscere, di imparare, ha cominciato a trasformarsi in un mostro, la creatura si è ribellata al suo creatore. Il traffico irrisolvibile delle grandi città, i costi esorbitanti in termini di carburante, inquinamento atmosferico, distruzione del tasso di vivibilità del territorio, aggressione dell’equilibrio ecoambientale del sistema terrestre hanno trasformato l’automobile nella prigione della nostra esistenza. Insistiamo a non poterne fare a meno e la odiamo per il tributo di denaro e di sangue che sulle strade si versa tutti i giorni.
Che fare? Un cambiamento in questo campo non significa solo smettere di produrre dei beni per farne degli altri (modifica già di per sé spaventosa in considerazione degli investimenti ingenti profusi nel mondo dell’automobile) ma vuol dire sradicare un sistema di vita giudicato sbagliato e sostituirlo con un altro, cosa che per ora non è all’orizzonte. Tanto è vero che tutti i governi del mondo industriale si stanno parlando per capire come, quando e in che misura fornire (ancora) sostegno alle case automobilistiche, preoccupati che alterare proprio in questo momento critico le regole, i sistemi produttivi e la concorrenza manderebbe davvero il mondo in pezzi.
Contemporaneamente l’uomo della strada si interroga ancora sul perché il settore auto debba essere sovvenzionato con soldi pubblici (cioè nostri), i manager coperti da prebende da favola, mentre alla plebe viene data in pasto solo un po’ di rottamazione; si interroga soprattutto perché nessuno tenti ancora di modificare (industrialmente, socialmente, psicologicamente) l’asse petrolio-lamiera-modo di vivere! Oppure la risposta è molto semplice e la sappiamo tutti.
L’auto quindi ce la dobbiamo tenere così com’è; possiamo, semmai, averla e non averla, averla per appagare la nostra esigenza relazionale tenendo al tempo stesso lontano le grane amministrative, dell’assicurazione, dell’assistenza, dei ricambi, delle riparazioni. Leasys, società leader nei servizi automotive per flotte aziendali ha capito da tempo che l’automobile continua a essere il benefit preferito dagli italiani, più dei cellulari, più dei piani pensionistici; così ha pensato di offrire alle imprese una soluzione innovativa per estendere a tutti i dipendenti di un’azienda di cui gestisce la flotta, anche a coloro che non ne avrebbero diritto, le condizioni riservate per il noleggio dell’auto.
La moltiplicazione esponenziale di coloro che potranno accedere a questa formula, a costi di esercizio personali molto competitivi (per ora limitati ai dirigenti e quadri aziendali) potrà diventare enorme; la strada che si apre non significa solo l’ampliamento di un disegno industriale ma può dettare le basi di una nuova gestione del rapporto con l’auto e quindi di un nuovo modo di vivere con profonde, positive ripercussioni nella gestione famigliare e del tempo libero.
Non per nulla l’azienda che recentemente ha abbracciato l’offerta di Leasys è la Walt Disney Italia, particolarmente attenta alle energie dedicate al lavoro e quelle per la vita privata dei suoi dipendenti. Se va bene a Topolino…