Se arrivate in aereo all’aeroporto di Austin (in Texas) non troverete alcuna vettura di Uber o Lyft ad aspettarvi: i due leader del mercato americano del ride sharing hanno infatti abbandonato la città, che è così diventata il più grande mercato locale negli USA privo di entrambe le aziende. Il ride sharing però non è sparito del tutto: al posto di Uber e Lyft ci sono aziende locali come Fasten, Fare, Wingz, GetMe e RideAustin.
Uber e Lyft se ne sono andate da Austin nel Maggio del 2016, dopo aver inutilmente tentato di convincere gli abitanti a votare un referendum locale, denominato Proposition 1, che avrebbe azzerato di fatto le leggi locali in tema di trasporto su taxi e avrebbe creato una commissione ad hoc, proposta proprio da Uber e Lyft. La campagna mediatica, costata 8,2 milioni di dollari alle due aziende, si è rivelata un boomerang, perché ha convinto gli abitanti di Austin che i due big americani del ride sharing erano di fatto aziende estranee al mercato locale, che cercavano di imporsi a discapito della città. Lo scarto a favore di chi voleva bocciare la Proposition 1 è stato dell’11%, con quasi 600.000 voti: entro 36 ore dalla pubblicazione dell’esito del referendum, Uber e Lyft hanno chiuso i propri uffici.
La carica degli operatori locali
Lo spazio competitivo lasciato libero da Uber e Lyft è stato ben presto riempito da concorrenti locali, alcuni già presenti e altri appena nati, segno della validità del modello di business del ride sharing nel mettere in contatto la domanda e l’offerta di trasporto locale. Anche alcuni dei 10.000 ex-autisti dei due big si sono organizzati per offrire un servizio di ride sharing su Facebook.
La più innovativa delle nuove aziende di ride sharing è RideAustin. Fondata senza scopo di lucro da due imprenditori del settore tecnologico, l’azienda è stata creata appena due settimane dopo il referendum per servire esclusivamente il mercato locale, senza velleità di diventare un concorrente globale. Il modello aziendale, basato su una formula non profit, costituisce un tentativo di colmare il divario culturale tra gli imprenditori del settore tecnologico di Austin e il resto della cittadinanza, offrendo un servizio di cui in ogni caso la città ha disperatamente bisogno. Per questo RideAustin ha raccolto donazioni per più di 7 milioni di dollari, in larga parte da imprenditori locali.
Il modello di business di RideAustin è molto diverso da quello di Uber e Lyft: l’azienda consente ai passeggeri di arrotondare la propria tariffa al dollaro superiore, donando la quota extra ad associazioni di volontariato locali: a oggi in questo modo sono stati raccolti oltre 100.000 dollari per fini benefici. Anche RideAustin pratica il cosiddetto surge pricing, ossia l’aumento delle tariffe nei momenti di elevata domanda: tuttavia, il servizio non è obbligatorio, e se i clienti decidono di pagare di più per poter essere serviti prima degli altri, l’aumento di prezzo viene integralmente riconosciuto agli autisti. L’azienda sta crescendo in modo continuo, attirando una comunicazione molto più positiva di quella recentemente ottenuta da aziende come Uber.
Anche nei confronti dei guidatori RideAustin si qualifica come un servizio innovativo: agli autisti va infatti il 100% del prezzo pagato dai clienti, a differenza di Uber e Lyft che trattengono una quota che arriva fino al 20%. I costi operativi del servizio, che sono comunque piuttosto contenuti, vengono pagati principalmente con le offerte, con operazioni di partnership e sponsorizzazione e con la pubblicità che viene mostrata sull’App. Questo sta consentendo a RideAustin di inserirsi in un percorso di miglioramento continuo della profittabilità, che potrebbe portare entro il 2017 al breakeven sui costi operativi.
Le sfide all’orizzonte
Ovviamente non è tutto rose e fiori: non è infatti detto che in futuro Uber e Lyft non decidano di rientrare nel mercato di Austin, rispettandone le regole o godendo di modifiche legislative che si potrebbero avere a livello statale.
Nel frattempo, RideAustin si sta costruendo un’immagine di azienda degna di fiducia, proprio in un momento in cui Uber deve affrontare una lista crescente di sfide, che vanno dalle accuse di cattiva gestione a quelle di discriminazione sessuale, passando per l’ostilità verso l’appoggio fornito all’amministrazione Trump, le proteste dei propri autisti e le accuse dei concorrenti di aver rubato segreti industriali in campo tecnologico. Secondo alcune stime, dall’inizio del 2017 200.000 utenti di Uber avrebbero cancellato la sua App dal proprio smartphone per protestare contro il suo comportamento, anche in seguito a esplicite campagne mediatiche.
Se RideAustin avrà successo, così come avviene ad esempio con l’adozione delle nuove tecnologie da parte delle aziende di taxi locali (anche nel nostro Paese), sarà la dimostrazione che anche nei trasporti è possibile applicare la rivoluzione dello sharing senza doverne pagare un prezzo elevato dal punto di vista sociale.