Requiem per Liebherr Noleggio Italia
La crescita di una società di noleggio o di una business unit sul noleggio è strutturalmente lenta e senza strappi. Stimola e accompagna la propria domanda e con essa si evolve. I pochi manuali di gestione (scritti all’estero) che ne definiscono le strategie evolutive dicono che all’inizio si dovrà sopportare un cash flow negativo, sintomo di crescita perché si sta investendo. Se la società ha nervi saldi e visione strategica (cioè se fa il noleggio e non “altre cose”), arriverà a un punto in cui sarà lo stesso cash flow, divenuto positivo, a finanziare la ulteriore crescita. Facendo leva sull’asse domanda-parco-flussi, il management potrà contare su un ammortizzatore per quei momenti di flessione o di crisi che inevitabilmente compaiono ciclicamente. La flotta e i servizi ad essa collegati generano flussi e reddito; l’utilizzo delle leve di gestione sulla dimensione della flotta creano anche la cassa in rientro, quando occorre. E così, una società di noleggio sana e lungimirante, lentamente cresce anche nella sua dimensione corretta, che poi è quella che viene assorbita dal mercato di volta in volta.
Il caso di Liebherr Noleggio Italia ha colpito molto proprio perché, a fronte di una crescita lenta e determinata, perseguita in sei anni di passione e investimenti (da niente a 7 filiali e 35 dipendenti), traumaticamente ne è stata annunciata la chiusura immediata, drastica, senza appello. La notizia ufficiale è di qualche settimana fa, accompagnata con le rassicurazioni di un parziale reintegro delle attività di noleggio nella struttura di vendita Liebherr di Emtec Italia.
Scelte prese dall’alto, caratterizzate da un singolare e determinato spirito decisionista in controtendenza con le strategie nutrite e magari sfuggite di mano per perseguire obiettivi di mercato. Altro che operazione chirurgica: una vera e propria amputazione. E tutto questo alla vigilia della costruzione di ben tre arterie importanti nell’area nord Italia, che porteranno sicuramente ossigeno e lavoro negli anni futuri alle società di noleggio di movimento terra specializzate, come lo era quella di Liebherr (BreBeMi, Pedemontana, Tangenziale Esterna Est, oltre a due nuove linee di metropolitana eccetera: insomma, di scavi se ne dovranno fare da qui al 2015).
Non vogliamo in questa sede fare analisi a posteriori su strategie che mutano in corsa o altri discorsi ameni (“il senno di poi è sempre una scienza esatta”); nemmeno ce la sentiamo di entrare nei meccanismi decisionali col giudizio di chi vede le cose da fuori. C’erano certamente degli aspetti evidenti cha lasciavano presagire a un ridimensionamento, magari per mantenere le posizioni e poi ripartire con coerenza nell’evoluzione del progetto. Con le leve che si usano in questi casi.
Quello che ci preme qui evidenziare è prima di tutto l’aspetto umano e professionale: dalla fine di agosto, molti dei 35 dipendenti sono a spasso, anche se non faccio fatica a pensare che troveranno presto un’adeguata collocazione. Ho conosciuto e apprezzato personalmente Roberto Simoni e molte delle persone che nel tempo ha reclutato nella sua squadra; devo dire che raramente ho riscontrato una passione così forte per il settore, uno spirito di curiosità, dedizione, attaccamento al lavoro, unito a un’eccellente competenza teorica. La squadra era sana, le macchine erano perfette, il servizio curato nei dettagli. Forse l’unica pecca stava negli obiettivi di mercato e magari nell’aver vissuto male alcune pressioni dall’alto.
Sulle decisioni non si discute, vengono prese altrove, nei piani alti, sulle scrivanie dove circola la brezza dell’aria condizionata. E spesso si decide per scelte “politiche”, redistribuzione di incarichi o per salvare la testa di qualche trombone.
Il fallimento del progetto Liebherr Noleggio Italia però non è una buona notizia e non deve rallegrare nessuno. Le nostre considerazioni prendono le mosse dalle singole parole, prese una per una, che componevano il suo brand e che spariranno dal mercato.
E’ fallito un progetto di Liebherr, magari uno dei tanti di una società comunque forte. Ogni società ha il diritto di modificare, anche drasticamente, le proprie strategie in funzione dei propri obiettivi, ma si tratta comunque di un leader e uno dei pochi che era sceso in campo direttamente con una società apposita per gestire il noleggio.
E’ fallito un progetto forte sul Noleggio, un tentativo dichiarato di fare cultura imprenditoriale e alzare il livello di un settore che ancora non esprime il suo vero potenziale. I concorrenti troveranno sì una fetta di mercato che si libera, ma vedono anche scomparire in maniera traumatica un interlocutore forte. Gli utenti del noleggio si rafforzeranno nel sentirsi autorizzati a pretendere canoni ridotti all’osso, perché tanto il noleggio si riduce a “prendere in affitto una macchina”. E questa, per il noleggio in generale, è un’altra pessima notizia.
E’ fallito un bel progetto sul noleggio in Italia, e questa è una ulteriore tegola nel nostro non-sistema. Le società straniere avranno un altro motivo per considerare il nostro mercato particolarmente sottosviluppato e difficile; nessuno porterà nuove risorse, nuove energie, nuove idee. Nel nostro Paese continueranno a farsi strada gli avventurieri mordi e fuggi, incoraggiati da un mercato che è stato incapace di generare regole chiare e precise, nel quale la concorrenza è vissuta come ai tempi del Far West. Il profilo, a parte qualche caso eclatante, resterà basso.
E così, questo affascinante e moderno metodo di utilizzo dei mezzi di produzione continuerà a essere percepito come una mera forma di finanziamento. Con buona pace di quanti, continuando a sbandierare cifre di crescita rapide e a due zeri in ogni stagione, hanno contribuito a creare una categoria di imprenditori poco preparati e di operatori senza visione, senza scrupoli e senza strategie.