Ha fatto il giro del web la lettera aperta di Franz Vitulli, italiano ma residente in UK, pubblicata su Medium che riporta le proprie (dis)avventure familiari nel prenotare una vacanza in Sardegna attraverso Airbnb. In prima battuta fa notare quanto, ahimè, le strutture italiane ancora fatichino a capire come funziona e si sostiene il portale, proponendo addirittura di aggirare le regole e, ad esempio, portare avanti una trattativa privata o pagare in contanti in loco, evitando le commissioni del servizio ed eventuali tasse (cioè ti affitto al casa in nero, capisci a me!).
Si rischia così di diffondere il messaggio che molti host (come sono chiamati da Airbnb) soprattutto italiani utilizzino il sistema come vetrina ma poi, al momento reale del contatto con il cliente propongano soluzioni più economiche se la prenotazione avviene al di fuori del sito. Certo, qualcuno potrà anche pensare, in questo periodo, che pur di risparmiare 50 euro non ci sia nulla di male nell’assecondare il proprietario di casa in queste derive (proprietario che però non sarebbe mai stato intercettato senza il portale. Attenzione però: Airbnb, oltre a mettere in comunicazione locatari e locatori, offre una serie di garanzie che, ovviamente, chi non aderisce al sistema non avrà diritto di ottenere.
Un altro punto dolente portato alla luce da Vitulli è la difficoltà di trovare la rete wifi, sia nelle case offerte che nelle strutture della zona. Molti ormai lavorano online, quindi da qualsiasi luogo. Il periodo di vacanza assume quindi un concetto diverso, dilatato: posso anche lavorare da un luogo di vacanza se trovo una casa con Internet, allungando la mia permanenza di qualche mese, anziché di una o due settimane, con evidenti vantaggi per i luoghi turistici, in passato appetibili solo in ristretti periodi dell’anno. Pensiamo anche all’indotto: bar, ristoranti, eccetera. Quest’anno ho girovagato per la Boemia meridionale e non ho avuto nessuna difficoltà a connettermi, ogni bar e ristorante mettevano a disposizione hotpoint gratuiti per i clienti. Da noi non è così, nemmeno a Milano. Sono molti i locali pubblici che non mettono a disposizione l’accesso wifi, nemmeno tramite password. La connettività permette di pubblicizzare in tempo reale le proprie vacanze attraverso i social e, grazie alla geolocalizzazione, anche il locale che offre l’accesso riceve un ritorno in pubblicità, ma questo a molti non è ancora del tutto chiaro.
Ultima nota dolente i pagamenti. Se all’estero non esiste locale che non accetti la carta di credito (e anche qui vi posso assicurare che in Boemia non abbiamo usato altro) da noi i POS sono ancora merce rara. Troppe commissioni, troppa reticenza delle banche per darlo, troppa burocrazia per richiederlo e molti trovano conveniente (o furbo) accettare pagamenti solo in contanti, senza fattura o scontrino, naturalmente.
Insomma la fotografia che ne esce è di un Paese che deve ancora lavorare un bel po’ se vuole dare ai turisti quello che per altre nazionalità europee è lo standard. Eppure, per noi il turismo è una risorsa economica importante e permette a numerosi settori di trarne vantaggio. Turismo però significa anche attenzione alle innovazioni, alle evoluzioni della mobilità, alla capacità di cogliere al volo le nuove esigenze. Già col noleggio tradizionale l’Italia non ha saputo creare un sistema capace di consolidare il settore, creare regole e barriere d’ingresso, aprirsi a operatori stranieri. E purtroppo, la cattiva reputazioni dei servizi resi e dell’insoddisfazione di una clientela che rimane diffidente, nasce proprio da questo pressapochismo.
Per favore, non commettiamo gli stessi errori adesso con la sharing economy.