Come era stato ampiamente previsto dai guru di tutto il mondo dopo l’acquisizione di Beats, anche Apple ha alla fine deciso di creare il proprio servizio di musica in streaming su abbonamento, in diretta competizione con Spotify, Pandora, Rdio, Deezer e tutti gli altri.
Nel caso di Apple la sfida è duplice: non solo sbaragliare la concorrenza (tra cui Spotify in particolare vanta già 60 milioni di utenti nel mondo, di cui 2o milioni a pagamento), ma anche rivoluzionare il proprio modello di business, fino a oggi basato su iTunes, il negozio di musica in download.
Il servizio di Apple, che dovrebbe arrivare nei prossimi giorni in 100 paesi, tra cui anche l’Italia, renderà infatti disponibili in streaming i 30 milioni di canzoni disponibili sulla sua piattaforma, fornirà raccomandazioni sulle canzoni da ascoltare in base alle proprie preferenze, consentirà di richiamare una traccia o una playlist tramite Siri. A questo si aggiunge una radio globale, curata nei contenuti da tre deejay basati a New York, Los Angeles e Londra, gratuita per tutti, che nelle intenzioni di Apple dovrebbe avere più successo di iTunes Radio, e Connect, uno strumento social per la condivisione dei contenuti che consentirà a ciascuno di seguire i propri artisti preferiti.
Il servizio dovrebbe costare in Italia (basandosi sulla conversione in euro dei prezzi in dollari) 10 euro al mese per un abbonamento personale e 15 euro per uno familiare (valido fino a 6 persone). I primi tre mesi sono gratuiti, e Apple proprio in questi giorni, dopo una polemica a distanza con la famosa cantante americana Taylor Swift, ha deciso di remunerare comunque gli artisti in questo periodo.
Nonostante Tim Cook, il CEO di Apple, sostenga che questo servizio rivoluzionerà il modo di ascoltare la musica, il colosso di Cupertino non sta chiaramente inventando nulla di nuovo, ma è anche vero che l’iPod non è stato il primo lettore di mp3, né iPhone è stato il primo smartphone in assoluto.
Apple non si scontrerà solo con gli altri operatori dello streaming online citati all’inizio di questo post, ma anche contro Youtube (che è di Google), Amazon e, per alcune funzioni specifiche, SoundCloud. D’altra parte, a differenza di quando era una semplice società di computer che si avvicinava alla musica con iPod, oggi le sue risorse finanziarie sono quasi infinite, e può quindi permettersi forti perdite per un periodo di tempo anche molto lungo.
Un altro fortissimo vantaggio è la dipendenza dei suoi utenti dal complesso ecosistema Apple, che comprende Mac, iPhone, iPad e anche Apple Watch. Un esempio di questo è l’applicazione “Note”. Pur essendo estremamente banale e povera di funzioni speciali (a differenza di molte altre, anche gratuite), viene usata quotidianamente da milioni di utenti, perché è l’opzione di base preinstallata ovunque. Gli account di iTunes con carta di credito abbinata, ad esempio, sono 800 milioni nel mondo: basta che il 2,5% di essi si tramuti in un account Apple Music per raggiungere in un colpo solo i livelli di Spotify.
Apple ha quindi tutte le carte in regola per avere un grande successo con la sua iniziativa. Se così sarà, contribuirà ad accelerare moltissimo il passaggio dall’acquisto al noleggio della musica online: in questo scenario un giorno qualche genitore spiegherà ai suoi increduli bambini che, sì, c’è stato un periodo in cui la musica si poteva comprare e salvare per sempre sul proprio PC.