Quando, in passato, vi ho parlato su questo blog di BlaBlaCar, il servizio di car pooling peer-to-peer per i viaggi in auto su distanze medie e lunghe, ho sostenuto che questo servizio, andando a lavorare sulle tratte esterne alle città, non avrebbe scatenato la ridda di polemiche, accuse e anche scontri che ha generato Uber.
Mi sbagliavo.
ANAV, l’Associazione Nazionale Autotrasporto Viaggiatori, che riunisce molte aziende del trasporto pubblico locale e su medio-lungo raggio, a Marzo ha infatti chiesto una audizione all’Autortà per la Regolazione dei Trasporti (ART) denunciando la concorrenza sleale di BlaBlaCar in questi ultimi servizi (quelli appunto tra città e città).
I dettagli, insieme a una decisa presa di posizione (da utente) contro la richiesta di ANAV, li potete trovare in questo articolo di Wired Italia.
La critica che l’associazione degli operatori del trasporto su autobus muove al servizio di car pooling è simile ad alcune di quelle fatte a Uber, e si basa sulle regolamentazioni del settore: secondo ANAV i guidatori delle aziende di trasporto sono controllati e monitorati, e devono seguire precisi regolamenti ad esempio sulla stanchezza e le ore passate alla guida. Mentre chi guida un’auto condivisa su BlaBlaCar potrebbe non aver fatto la revisione, guidare sotto l’effetto dell’alcool o non aver dormito tutta la notte prima di mettersi al volante.
La risposta di BlaBlaCar (che potete leggere ad esempio qui) è al tempo stesso stupita e circostanziata: non solo sottolinea i vantaggi del car pooling (ironia della sorte, una pratica promossa dallo stesso Ministero dei Trasporti) per il traffico e l’ambiente, ma anche che gli autisti possono solo richiedere il rimborso di parte delle proprie spese e mai fare profitti. Inoltre, molti dei viaggi fatti con il servizio sono comunque su tratte che tanto non sarebbero servite da autobus interubani di linea. E, soprattutto, BlaBlaCar effettua verifiche sugli autisti, e comunque comportamenti pericolosi come quelli sopra descritti verrebbero subito “denunciati” dai passeggeri con voti bassi ai guidatori, facendo quindi calare la loro valutazione complessiva.
A oggi BlaBlaCar in Italia non guadagna nulla dal servizio che offre, ma entro il 2015 l’azienda ha dichiarato di voler applicare delle commissioni alle richieste di rimborso degli autisti, come già avviene in Francia e Spagna (passato il periodo di start-up, senza commissioni il servizio è destinato inevitabilmente a chiudere). Viene così un po’ a cadere, in parte, una delle difese opposte da BlaBlaCar all’ANAV: è vero che i guidatori non potranno guadagnare da questo sistema decentrato e con meno regole di quello tradizionale, ma l’azienda sì.
Quindi ben vengano le critiche di ANAV se servono a far rafforzare i controlli da parte di BlaBlaCar (senza arrivare ovviamente ad assurdi eccessi nella direzione opposta). Ma chiudere BlaBlaCar perché fa concorrenza agli autobus non può che far sospettare di un tentativo di frenare il nuovo che minaccia il proprio business (e sarebbe il primo caso al mondo).
La domanda che sorge spontanea è: se gli associati ANAV vogliono, come sembra, tutelare il bene pubblico, perché non cominciano offrendo servizi migliori? Ne guadagnerebbero i cittadini clienti ma anche i loro fatturati, perché BlaBlaCar e soci perderebbero istantaneamente quasi tutto il loro fascino…