Un tribunale britannico ha recentemente respinto il ricorso di Uber in merito al trattamento contrattuale dei suoi autisti.
In passato, infatti, un altro tribunale aveva stabilito che Uber deve considerare i suoi autisti come dipendenti a tutti gli effetti, mentre Uber, che aveva presentato un appello, sostiene che essi sono dei lavoratori autonomi a contratto. Il ricorso è stato respinto, per cui in sostanza il tribunale ha confermato che, trattandosi di dipendenti (per quanto con contratti di lavoro molto flessibili), Uber è costretta a remunerarli ad esempio con un salario minimo, e a concedere loro delle ferie.
Ovviamente la battaglia legale non finisce qui, e Uber presenterà un ulteriore appello, facendo salire di un ulteriore grado di giudizio il contenzioso legale. Molto probabilmente la faccenda finirà di fronte a una sezione della corte suprema (il livello di giudizio più elevato del sistema britannico).
Resta quindi aperta la questione se gli autisti di Uber, ma anche di Lyft e delle altre aziende della sharing economy, siano dei lavoratori autonomi, come sostengono queste ultime, poiché possono lavorare quando più preferiscono; oppure se questo trattamento non sia invece discriminatorio, dato che tutti questi servizi ad esempio monitorano tutti i loro tragitti e richiedono una valutazione centralizzata delle performance dei guidatori, e possono “licenziarli”, ossia eliminarli dalla piattaforma, quando queste non sono all’altezza delle attese.
Gli altri problemi di Uber in UK
Il contenzioso si va a sommare a quello, maturato negli ultimi mesi, con le autorità che regolano i trasporti a Londra, che ritengono che l’azienda non sia in grado di offrire i propri servizi in città, e le hanno revocato la licenza (salvo, anche in questo caso, un ricorso dell’azienda).
Quindi, se anche Uber dovesse risolvere la questione con le autorità londinesi, potrebbe allo stato attuale trovarsi a dover pagare molto di più i propri autisti, e a concedere loro dei benefit che finora non sono mai stati previsti. Dato che già oggi Uber (così come molte altre aziende del settore) lavora in perdita per guadagnare quote di mercato e imporsi come il suo fornitore principale, una notizia di questo tipo sarebbe un colpo piuttosto duro per la sua profittabilità.
Senza contare il rischio che altre città e altri governi scelgano di andare nella direzione di Londra e del Regno Unito, proponendo limitazioni o inasprendo i controlli a cui le imprese della sharing economy sono sottoposte.
Per il nuovo CEO di Uber Dara Khosrowshahi, quindi, i prossimi mesi si confermano decisamente in salita.