Secondo alcune fonti, Airbnb starebbe negoziando l’ingresso di nuovi soci, attraverso un’iniezione di capitale di circa 400/500 milioni di dollari, che, fatte le dovute proporzioni, darebbe alla società un valore complessivo di 10 miliardi di dollari.
Si tratta di un valore elevatissimo: in confronto, la catena di alberghi Hyatt vale “solo” 8,4 miliardi di dollari e il Wyndham Hotel Group solo (si fa per dire) 9,3 miliardi. Venendo a un altro ambito di confronto, quello con le startup di Internet (a cui comunque Airbnb appartiene, visto il su modello di business), solo Dropbox vale così tanto tra quelle emerse negli ultimi anni.
Ovviamente a questa notizia alcuni commentatori si sono schierati sul fronte di chi parla di bolla speculativa nel campo del consumo condiviso, in modo non dissimile a quanto avvenne con la cosiddetta Net Economy nei primi anni 2000. I critici citano come forze avverse alla sharing economy gli ostacoli normativi e le lobby degli operatori tradizionali, le accuse di evasione fiscale mosse proprio contro Airbnb a New York, e le disavventure sia di Airbnb che di Uber (tutti argomenti che il nostri lettori conoscono molto bene). Sarà, in sostanza, una battaglia condotta città per città o paese per paese, non un’idea che si diffonde rapidamente senza resistenze.
L’altro fronte della discussione è occupato dai sostenitori dell’economia della condivisione, che fanno presente come sempre più consumatori scelgano questi servizi e si fidino di questi siti. Si stima ad esempio che Airbnb, nato nel 2008, abbia al suo attivo 600.000 case e appartamenti in 190 paesi, e abbia favorito dalla nascita a oggi 11 milioni di transazioni l’anno scorso.
Una rivoluzione che affonda sempre di più le sue radici anche nella volontà di non sprecare risorse, anche se i motivi di base sono sicuramente egoistici (a volte risparmiare, altre volte avere un servizio migliore), e che sembra destinata a diventare sempre più comune in tutti i consumatori.
Airbnb è quindi ben posizionato per essere il leader incontrastato di questo mercato nascente, dove i costi di struttura sono bassi (Airbnb non possiede neppure una camera, anche se investe in server e software per far funzionare i suoi servizi).
Di certo però c’è anche che la sua valutazione, in meno di due anni (dall’ultima volta he ha raccolto fondi) è quadruplicata, e questo già partendo da un valore non basso. Questo, e l’interesse fortissimo riscontrato da altre imprese della sharing economy negli ultimi giro di raccolta investimenti (Lyft ha raccolto ultimamente altri 250 milioni di dollari, da fondi di venture capital e anche dai cinesi di Alibaba), spinge a essere molto cauti.
Siamo di fronte a una nuova era economica, o stiamo osservando una nuova bolla destinata a sgonfiarsi?