Anche se Airbnb è, insieme a Uber, il simbolo della nuova sharing economy, il primo sembra attrarre molta meno attenzione del secondo. Molto probabilmente, secondo noi, ciò è dovuto al fatto che, nonostante gli autisti di Uber possano lavorare quando gli pare, Uber li controlla in modo piuttosto stretto, tanto da fare partire class action in cui i giudici li considerano veri e propri dipendenti. Questo rende antipatica Uber, se si pensa che gode di valutazioni stratosferiche.
Airbnb, invece, viene generalmente considerata una soluzione più equa: chi ospita ottiene un reddito aggiuntivo alle proprie finanze, chi viene ospitato gode di sistemazioni accoglienti a costi inferiori a quelli di un hotel. Tutti sono contenti. Certo, questo non è il punto di vista degli albergatori, che considerano invece Airbnb un servizio che aumenta la loro concorrenza senza garantire gli stessi controlli e il rispetto delle leggi a cui loro sono invece tenuti.
Airbnb, dal canto suo, si concentra proprio sulla visione di una “casa” in affitto. Il suo fondatore e CEO Brian Chesky ha spesso parlato della possibilità di abitare temporaneamente in posti in cui chi ti ospita condivide con te parte della sua vita: piccole gentilezze, un rapporto personale e consigli per ristoranti e acquisti, ad esempio.
Un buon numero di città sta però mettendo alla prova questo concetto di “casa”, sostenendo che Airbnb causa una riduzione del numero di appartamenti in affitto per i residenti, che vengono invece destinate a ospitare i turisti. Parigi, per esempio, che è il mercato più vasto per il sito, nei mesi scorsi ha condotto inchieste e controlli sulle offerte Airbnb non autorizzate. Il Wall Street Journal riporta che, secondo l’amministrazione cittadina, due terzi dei circa 30.000 appartamenti in affitto sulla piattaforma sarebbero non autorizzati. Airbnb ha risposto che solo il 17% dei suoi proprietari dà in affitto appartamenti che non sono la loro prima casa. Ovviamente anche le associazioni degli albergatori protestano che Airbnb crea una concorrenza sleale (la Francia è un terreno difficile, come Uber sa bene).
A questo punto chi ha ragione? Airbnb è una piattaforma “social” con cui condividere la propria casa per qualche tempo, o un sito dove albergatori più o meno improvvisati offrono un servizio in concorrenza a quello più strutturato e rigido, nonché formale degli hotel?
La mia personale esperienza
Nel periodo di Pasqua di quest’anno ho soggiornato per qualche giorno a Roma con la mia famiglia (noi quattro più due nonni), per la prima volta in un appartamento prenotato su Airbnb.
L’appartamento, un trilocale più che sufficiente a ospitare sei persone (anche se ci siamo dovuti dividere un po’ tra le stanze) ha assolutamente mantenuto le promesse fatte sul sito: il posto era ordinato, carino, pulito, a due passi da numerosi mezzi pubblici. La cucina era un po’ spartana e mancavano alcuni appendiabiti (per i nostri gusti), però nel complesso l’esperienza è stata positiva.
Abbiamo conosciuto la proprietaria, prima per la consegna delle chiavi e poi per una breve visita finale (in cui, gentilissima, ci ha regalato anche una colomba). Ciò premesso, però, non è stata l’ospitata di alcune persone che sentono di avere qualcosa in comune. Di sicuro non abbiamo condiviso la casa in cui abita la signora, anzi: anche se probabilmente sto lavorando un po’ di fantasia, l’idea che ci siamo fatti è che la casa in cui siamo stati sia la casa dei nonni, riadattata a casa in affitto quando questi sono venuti a mancare.
Anche se il rapporto umano è stato sicuramente soddisfacente, non ci siamo di sicuro sentiti “a casa”, come vorrebbe farci intendere il fondatore di Airbnb. Il prezzo comprendeva la tassa di soggiorno richiesta dal Comune di Roma, c’è stato il regolare scambio di documenti che ci si aspetterebbe in qualsiasi hotel. La stessa proprietaria ci ha detto di usare sia Airbnb che Booking.com per trovare nuovi clienti: non esattamente il comportamento di chi arrotonda lo stipendio offrendo in affitto una stanza vuota.
Airbnb e la fiducia
Ma anche se non ci siamo sentiti a casa nostra, gli elementi più importanti del rapporto di fiducia tra ospitante e ospitato sono stati rispettati: la proprietaria dell’abitazione si è data da fare per creare un’esperienza piacevole, e noi abbiamo cercato di rispettare la sua proprietà e i suoi sforzi.
Questa condivisione della fiducia tra sconosciuti è l’elemento più pericoloso per gli hotel. Prima di Airbnb l’esperienza più comune che sicuramente, almeno qui in Italia, qualcuno avrà sentito raccontare (o ahimè provato di persona), è quella della casa presa in affitto per telefono o su Internet che alla fine si è rivelata una truffa. Per questo le strutture consolidate (hotel, campeggi, affittacamere) erano scelte quasi obbligate per il turista, a meno che non si inserisse un intermediario (l’ufficio turistico di zona, ad esempio) che ci metteva per così dire la faccia.
Ora, con Airbnb, nessun proprietario sano di mente metterebbe una casa inesistente o al limite della decenza, se non per una sola volta, e conscio del fatto che comunque sarebbe reperibile dallo stesso Airbnb (il quale, peraltro, viene la prima volta a scattare le foto da pubblicare online, altro segno di una certa professionalità). Questo fa sì che il vantaggio degli alberghi in termini di fiducia sia ora neutralizzato, e i proprietari possano competere su altri elementi, come soprattutto il costo, la comodità o altri fattori: il nostro soggiorno è costato sicuramente meno di quello in un albergo, e ci ha consentito di vedere alcune zone di Roma sicuramente più “vere” del centro storico.
Tutto questo fa sì che la minaccia di Airbnb per il settore alberghiero sia molto più complessa del semplice ragionamento sulla liceità o meno dell’offerta di appartamenti. La semplificazione dei rapporti di fiducia tra utenti, nata ben prima di Airbnb o Uber (eBay è il caso forse più emblematico), con lo sviluppo dei sistemi mobili è letteralmente esplosa.
La rivoluzione di Internet
Il cambiamento portato da Internet si sta sempre di più mostrando importante, come la Rivoluzione Industriale dell’800, cambiando non solo i modelli di business, ma la stessa società.
La diffusione della fiducia tra sconosciuti sta abbattendo moltissime barriere, rendendo obsoleti molti investimenti fatti dalle aziende. Non è un caso che le grandi catene alberghiere internazionali stiano passando dalla proprietà delle strutture al loro affitto e all’affiliazione: è il metodo più naturale per liberarsi dei costi fissi associati alla propria attività. Un altro parallelo che mi viene in mente è quello delle banche: nel momento in cui la fiducia non si misura più nel lusso della sede, ma nei commenti e giudizi degli altri clienti, anche gli istituti di credito dovranno trovare nuovi mezzi di comunicazione e nuovi investimenti.
Non che questo ovviamente elimini in un colpo tutti i problemi o i rischi di truffe: per questo sarà necessaria una risposta della società e degli enti di governo, in grado di tutelare tutti gli attori senza soffocare l’innovazione.
Il cambio di valore associato agli investimenti e agli asset porterà poi con sé un cambio di percezione del possesso, come spesso abbiamo notato su questo blog (e su cui per questo vi rimandiamo ai nostri post in merito).
Sarà una transizione pacifica, o sarà accompagnata dalle lotte anche violente che ci furono con la nascita delle prime fabbriche? Purtroppo sembra che alcune scene viste a Parigi proprio in tema di taxi e Uber non siano un buon presagio, ma la speranza è l’ultima a morire.