Automotive, tra “invasioni” e opportunità di mercato

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L’Automotive è alla ricerca di nuove percorsi da intraprendere.

Sembrerebbe una notizia sensazionale se ormai non ci fossimo abituati a vedere annaspare il settore nel tentativo di individuare la giusta direzione da seguire, la strategia più efficace da adottare, le nuove soluzioni da proporre.

Negli ultimi anni il mercato Automotive ha cercato in tutti in modi di rivoluzionarsi, di tracciare una nuova strada costellata da intuizioni geniali e proposte innovative che andassero a braccetto con le richieste dei consumatori, tra cui il fondamentale tema dei costi.

Eppure, per un motivo o per un altro (complice anche una pandemia mondiale che ha arrestato il mercato), si tratta di un mercato che ancora fatica a innovarsi e rinnovarsi, spesso anche a causa di normative e regolamentazioni che ostacolano ulteriormente un settore ormai condannato a una sfida continua.

Tant’è che nell’ultima edizione del #FORUMAutoMotive si è parlato di molto di futuro della mobilità. Un futuro che include da un lato una nuova concezione di Dealer e dall’altro una transizione ecologica che coinvolge trasversalmente tutti gli attori coinvolti nello scenario attuale.

Ma quali sono i temi più caldi su cui si sta (ancora) concentrando l’Automotive?

La messa a rischio del Made in…Europe

È stato uno dei temi trainanti del #FORUMAutoMotive, che si è concentrato su quella che è stata definita come “l’invasione dei brand cinesi nel mercato europeo“.

Innanzitutto, partiamo dalla terminologia: “invasione“? Davvero? Mi sembra un termine fin troppo forte, non credete?

In un settore dove lo sguardo è sempre rivolto al futuro, dove si è sempre alla ricerca dell’innovazione perfetta per rivoluzionare il mercato…guardiamo alla Cina come un nemico pronto a rubarci un’ingente quantità di quote di mercato.

Che poi, rubare a chi? Con un’affermazione di questo tipo stiamo dando per scontato che il mercato dell’auto europeo sia solamente europeo e che l’ingresso delle auto cinesi implichi un annullamento dello spirito europeo dell’Automotive.

Ebbene…chi glielo spiega ora alle Case Madri giapponesi che sono state automaticamente inglobate nella cultura europea dell’auto? E a quelle coreane? Honda, Lexus, Nissan, Subaru, Hyundai, Kia…solo per citarne alcune.

È evidente che al giorno d’oggi non si può più parlare di mobilità europea. L’auto è globale. Ha una natura che va oltre i confini di qualsiasi nazione, accomunata da un elemento predominante: la utilizziamo per spostarci. Non ci interessa essere a Berlino, a Milano, a Londra (beh, questo forse un po’ sì visto che guidiamo sulla corsia opposta)…ci basta avere un mezzo a disposizione per andare da un punto A a un punto B.

Quella delle auto cinesi, più che un’invasione, è sicuramente un’occasione di competizione. Ma in un settore come quello dell’auto, soprattutto in un contesto storico come quello attuale, la competitività interessa diverse sfaccettature. Lo sbarco delle auto cinesi in Italia, tuttavia, potrebbe rappresentare anche un’occasione di rilancio di un altro grande tema che sta interessando l’Automotive in questi anni: la transizione energetica.

L’esasperante rincorsa all’elettrico

Obiettivo 2035: una mobilità completamente elettrica.

Dal momento in cui la Commissione Europea ha lanciato questo importante messaggio (e richiesta) per la tutela dell’ambiente, in campo Automotive si è generata una vera e propria corsa all’elettrico. Automotive Hyundai

Tutte le principali case automobilistiche hanno iniziato a lavorare per elettrificare la propria gamma e, alcune di loro, hanno già ottenuto importanti risultati. Audi, per esempio, ha stanziato 37 miliardi di euro per i prossimi 4 anni, destinati al comparto della ricerca e sviluppo, degli immobili e degli stabilimenti da costruire per rinnovare questo aspetto della filiera.

Su questo fronte, è chiaro come le aziende automobilistiche cinesi abbiano una marcia in più. Ma, maggior ragione, questo sottolinea anche quanto sia privo di fondamenta lanciare delle politiche anticinesi in un contesto in cui l’elettrico è reclamato dalla stessa Commissione Europea.

Tuttavia, se da un lato troviamo case madri pronte a sfidare la crisi dei chip e delle materie prime facendosi paladine di una mobilità sempre più sostenibile, dall’altro troviamo invece un contesto forse ancora poco preparato ad accogliere l’elettrico.

Mi riferisco alla mancanza di infrastrutture disseminate omogeneamente sul territorio; di modalità di riciclo o di eliminazione delle batterie, una volta terminate; di accessibilità a questa nuova tipologia di auto, che al momento strizza l’occhio a molti consumatori, ma che in pochi trova la giusta disponibilità economica per un acquisto di così alto livello.

Su questo punto, altrettanto cruciale, Stellantis sta lavorando all’interno del proprio processo di elettrificazione. Nel farlo, infatti, la realtà nata dalla fusione tra Fiat e Psa sta valutando il modo migliore per prendere in considerazione tutte le fasce di mercato, puntando sugli incentivi statali e su un differenziato utilizzo della tecnologia.

Il ruolo del noleggio

In questo contesto, dove l’elettrico fa gola ai più ma in cui l’accessibilità economica è ancora limitata, emerge senza dubbio anche il tema del noleggio.

Le stesse società di settore, una volta riaperti gli incentivi, hanno provveduto all’acquisto di auto green, per rinnovare il proprio parco mezzi.

automotive noleggioDel resto, come ha recentemente dichiarato anche Giuseppe Benincasa, direttore generale di Aniasa, “l’autonoleggio è il principale canale di ingresso sul mercato delle auto ibride ed elettriche, per il semplice fatto che il privato è poco disposto ad assumersi il costo di una tecnologia cara e in rapida evoluzione, dunque soggetta a una rapida obsolescenza“.

Per un mercato come quello dell’auto, questo è un ottimo messaggio. Ma purtroppo non ancora sufficiente.

L’Italia, in particolar modo, sembra non avere ancora colto gli enormi vantaggi che possono derivare dalle formule di noleggio. Anzi, nella maggior parte dei casi, gli italiani preferiscono investire in continui interventi di aggiornamento e manutenzione.

Questo è senz’altro un campanello d’allarme. Non solo per l’Automotive, ma anche per l’ambiziosa proposta della Commissione Europea. Questa, infatti, è fondata su solide radici e persegue obiettivi quanto mai importanti. Ma non trova riscontro nella realtà dei fatti.

Al di là della mancanza delle infrastrutture citata sopra, in molti Paesi manca una vera e propria cultura al noleggio e all’elettrico. Di conseguenza, gli automobilisti tendono a guardare con reticenza il mondo della nuova mobilità, preferendo il rumore del loro motore endotermico. Risultato? L’aumento dell’età media del parco circolante e un’inevitabile diminuzione delle persone interessate alle auto elettriche. Anche perché, come ricorda bene anche lo stesso direttore generale di Aniasa, “sono proprio le persone meno abbienti ad avere le auto più inquinanti e loro non possono certo spendere 40-50 mila euro per un veicolo elettrico“.

La grande ombra della fiscalità

Ultimo, ma non meno importante, tema su cui si interroga il settore Automotive è proprio quello della fiscalità dell’auto.

Un argomento noioso agli occhi dei più, ma allo stesso tempo fondamentale per il mercato dell’auto, soprattutto quando si parla di auto aziendale. Anche in questo caso, non essendo il fisco il mio pane quotidiano, riprendo le parole di Benincasa, che in un articolo condiviso su La Repubblica – Affari&Finanza, spiega: “L’auto aziendale è tra le più penalizzate in Europa e questo distorce la concorrenza a livello continentale.

[…] Il 1° Aprile l?Italia ha chiesto, e successivamente ottenuto, una proroga all’applicazione della direttiva europea che stabilisce la possibilità da parte delle imprese di detrarre completamente l’Iva sugli acquisti e sui noleggi di auto aziendali. Alla fine del 2025 […] saranno 18 anni che l’Italia tassa l’auto aziendale più che gli altri Stati europei. Da noi infatti l’imposta sul valore aggiunto è detraibile solo al 40 per cento, control il 100 per cento del resto d’Europa“.

Il messaggio di fondo è più che chiaro. Facendo dei rapidi calcoli, questo sistema permette all’Erario di incassare circa 1 miliardo di euro. Tuttavia, se l’imposta venisse uniformata a quella degli altri Stati, questo comporterebbe un aumento delle immatricolazioni. E questo cosa significa? Che se si favorissero le immatricolazioni di auto elettriche e ibride, la transizione energetica sarebbe più rapida e troverebbe anche nel sistema fiscale italiano un valido alleato per raggiungere gli obiettivi del 2035.

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