Dal possesso al noleggio, esperienze e identità

Noleggio di biciclette, monopattini, Uber
Noleggio di biciclette e monopattini

Nel 2008 l’antropologo Daniel Miller pubblicó un libro su uno studio condotto su 30 famiglie di una via di Londra. Il libro, intitolato The Comfort of Things (“Il conforto delle cose”), esplorava le varie tipologie di relazioni che legano le persone ai beni che possiedono.

Miller descriveva nel suo libro la casa di una coppia di pensionati, piena di mobili, fotografie incorniciate e cianfrusaglie accumulate in decenni. Poco lontano, un giovane libero professionista di nome Malcolm aveva un appartamento in affitto. Malcolm teneva le sue cose in un magazzino, per potersi muovere liberamente, e conduceva la sua vita perlopiù online. La sua vita era il suo indirizzo email, e il suo bene principale era il suo PC portatile.

Oggi viviamo secondo un modello che assomiglia molto di più a quello del giovane sempre in mobilità e non a quello della coppia di pensionati. Le cose che possediamo sono sempre di più custodite in un garage o un magazzino (oppure online, in un server localizzato chissà dove). Dopo esserci abituati all’idea di possedere musica in formato digitale, ora ci stiamo sempre di più abituando a quella di non possederla per nulla. Anche per gli spettacoli televisivi sempre di più ci affidiamo allo streaming piuttosto che all’acquisto delle serie su DVD: il termine “box set” indica sempre meno spesso una scatola di dischi e sempre di più un’offerta digitale da scaricare con il Wi-Fi.

Invece di possedere cose, noleggiamo esperienze.

Grazie alla proliferazione di App sui nostri smartphone, ottenere (oppure offrire) ciò che vogliamo, per brevi periodi, non è mai stato così semplice. Tuttavia, quella che chiamiamo (anche sul nostro blog) sharing economy non è basata soltanto sulla condivisione, ma sul noleggio. Per questo, forse, un nome più adatto di sharing economy, in molti contesti, sarebbe “pay as you go”, oppure in italiano “noleggio diffuso“, dove il termine noleggio (come quello di macchine o autovetture) richiama il concetto di pagamento per i servizi offerti, mentre il termine “diffuso” segnala come il fornitore di questa offerta non sia sempre e solo un’azienda strutturata, ma anche un singolo privato.

Noleggio di biciclette, bike sharingQuesta economia del “pay as you go” mette insieme due fenomeni connessi tra loro loro: la crescita del noleggio e il declino del possesso. In numerosi paesi i giovani millennial sembrano aver accettato il fatto che difficilmente potranno possedere una abitazione, ma si dovranno accontentare dell’affitto per il resto della loro vita. Allo stesso modo, presso i giovani è sempre meno diffuso il possesso della macchina, vuoi per la volontà di basarsi sul trasporto pubblico, vuoi per la preferenza per forme come il leasing o il car sharing. Volendo, è anche possibile noleggiare una capra per tenere a posto parchi e giardini…

Un mondo in cui possediamo meno cose e ne noleggiamo di più non è necessariamente un mondo in cui i consumatori sono privilegiati. Si pensi ad esempio al caso dei libri o dei film: con il passaggio agli ebook e ai formati digitali vengono meno alcuni dei vantaggi tipicamente connessi alle copie fisiche, come ad esempio la possibilità di prestare l’opera in questione a un amico.

Possesso è identità

Ma la sharing economy sta modificando anche le relazioni tra persone e il modo in cui ciascuno di noi e vede se stesso. Le cose che possediamo fanno parte di quell’ambito che il professore di marketing Russell Belk chiama “il sè esteso” (extended self). Nel suo libro Daniel Miller descrive come i oggetti, per quanto banali, possono rappresentare le relazioni. La collezione di souvenir e altri oggetti presenti in ogni casa costituisce una rappresentazione dei suoi abitanti.

Da questo punto di vista, il superamento del materialismo non equivale a un arricchimento spirituale. In genere, maggiore è la vicinanza ai oggetti, maggiore è quella alle persone. Gli esseri umani hanno infatti una spiccata tendenza ad assegnare agli oggetti l’essenza dei loro proprietari: non altrimenti si spiegherebbe il mercato degli oggetti appartenuti ai personaggi famosi del passato.

Per natura siamo portati ad applicare questo ragionamento anche con il denaro, che di per sé dovrebbe essere lo strumento fungibile per eccellenza. Gli psicologi che studiano questi temi hanno scoperto che le persone sono meno portate a restituire del denaro perduto o rubato quando è già stato depositato su un conto corrente, rispetto al caso in cui è ancora visibile sotto forma di banconote.

Quando i beni si dematerializzano, anche il loro significato tende a scomparire. Il desiderio di possiede i beni si ricollega alla volontà di mantenere un’identità distinta di fronte al cambiamento. Il Giappone registra danni una situazione di stagnazione economica, e forse anche per questo ha mantenuto una serie di norme sociali molto particolari e differenti da quello del resto del mondo sviluppato. Una di queste è la preferenza per il possesso di musica in formato fisico: l’85% della musica, in questa società per molti altri versi ipertecnologica, viene ancora acquistato su CD o su vinile. Il Giappone è anche l’ultimo dei paesi sviluppati a utilizzare ancora il fax.

Una delle chiavi di lettura per analizzare la recente situazione politica del Regno Unito e la Brexit si basa sul confronto tra coloro che possiedono e coloro che sono costretti a prendere in affitto, e non soltanto dal punto di vista del possesso delle abitazioni. Secondo alcune interpretazioni, molti di coloro che hanno votato per abbandonare l’Unione Europea ritengono che gli immigrati possano a tutti gli effetti utilizzare il loro paese come una sorta di enorme Airbnb, servendosi dei posti di lavoro e dell’ospitalità che serve loro senza dare nulla in cambio. Questi elettori scontenti vogliono sapere se la Gran Bretagna è ancora il loro paese o ne sono semplicemente i gestori per qualcun altro.

Casa dolce casaLa maggior parte dei giovani ha votato per restare nell’UE, ma nel complesso sono stati in pochi a votare. Questo è dovuto in parte all’età ma anche alla mancanza di una casa di proprietà: la probabilità che un millennial che vive in affitto voti è la metà di quella di un pari età che possiede la sua abitazione. In parte si tratta di un fenomeno meramente burocratico (bisogna passare un po’ di tempo in un posto prima di iscriversi nelle liste elettorali), ma in parte è dovuto al fatto che chi vive in affitto forma un legame meno forte con la società in cui vive.

Per secoli, ciò che si possiede è stato un segnale importante di come ci si relazionava con il mondo intorno a noi. Negli ultimi cinquant’anni, le case e le automobili sono diventate vetrine della nostra identità: le nostre scelte in tema di tende, colori dei muri, accessori dicono agli altri chi siamo e chi vorremmo essere. Questa è stata l’era di quello che Thorstein Veblen chiamava “consumo ostentativo”.

Ma nella nuova economia del noleggio diffuso avremo meno cose da mostrare come nostre, dato che il possesso sarà dematerializzato. Nonostante questo, la natura umana non è cambiata: siamo ancora scimmie evolute preoccupate del proprio status, in cerca di mezzi con cui salire nelle gerarchie sociali. Quindi troviamo altri mezzi e strumenti per mandare segnali agli altri: invece di usare ciò che possediamo, usiamo i nostri post su Facebook e la nostra galleria di foto, arrivando in alcuni casi fino al punto di impostare cene e vacanze con l’obiettivo di avere materiale da condividere.

Il vuoto di significati che si è aperto con la riduzione del possesso di beni potrebbe anche accrescere il contrasto a livello politico. Un modo con cui possiamo segnalare la nostra identità è anche urlare più forte quello in cui crediamo.

Se non possiamo mostrare ciò che possediamo, mostreremo ciò in cui crediamo.

Tag dell'articolo: noleggio

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